Adesso basta, nessun’altra

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Adesso basta, nessun’altra. Abbiamo sperato fino all’ultimo. Abbiamo sperato in un finale diverso. Abbiamo sperato che potesse tornare a casa, dalla sua famiglia, sana e salva. Abbiamo sperato nel lieto fine. Ma non è stato così, e lo sapevamo fin dall’inizio. Perché quando in Italia una donna scompare, e nella sua scomparsa è implicato un uomo, un ex, un partner, il suo triste destino lo immaginiamo già tutte, il che la dice lunga sulla società in cui viviamo. Stavolta è toccato a Giulia, ma sarebbe potuto accadere ad ognuna di noi.

Secondo i dati diffusi dal Viminale – e aggiornati al 19 novembre scorso – da inizio anno sono stati registrati 295 omicidi, con 106 vittime donne, di cui 87 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 55 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner. Quasi una ogni 72 ore. Sono numeri spaventosi ma non bisogna dimenticare che dietro i numeri ci sono persone, vite spezzate, sogni infranti e famiglie lacerate.

Come quella di Giulia Cecchettin, 103a vittima della violenza di genere, strappata alla vita a soli 22 anni con ancora passioni da coltivare, una laurea da festeggiare e tanti sogni da realizzare. La sua storia somiglia (purtroppo) a quella di tante altre donne uccise, strangolate, sfregiate, molestate, in nome di un amore che amore non era. Adesso basta.

A cosa sono servite le tantissime battaglie sulla parità di genere se troppi maschi continuano a considerare normale comportarsi come il marito di Paola Cortellesi nel film C’è ancora domani, ambientato però nell’Italia del Secondo dopoguerra, quando le donne erano considerate delle nullità ed erano costantemente minacciate, insultate, picchiate, senza neanche mai potersi lamentare?

La violenza di genere è trasversale ed intergenerazionale ed è il frutto di una società patriarcale vecchia di secoli, incapace di proteggere le sue figlie e di educare i suoi figli. E siccome si diventa ciò che si ascolta e si guarda, l’educazione al rispetto e all’affettività deve passare anche attraverso il cinema, la radio e la televisione, a cui, soprattutto in questi giorni, è affidato il duro compito di scuotere coscienze che nel frattempo si sono assopite.

Adesso basta, nessun'altra

In Italia le cose cambiano soltanto quando non si possono più nascondere. Già nel 1969, il movimento di liberazione della donna sperava di poter cambiare le cose e di far sì che il reato di violenza sessuale non fosse più considerato un’offesa alla pubblica morale. Per farlo, nonostante i soprusi nei confronti delle donne fossero all’ordine del giorno, una sola denuncia non sarebbe bastata. Serviva una scintilla, una voce che fosse in grado di parlare per tutte.

Due amiche della Montagnola, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, si lasciano convincere da tre ragazzi della Roma bene – Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira – ad andare ad una festa a Lavinio. Ma si tratta di una trappola. Le ragazze vengono in realtà condotte in una villa del Circeo dove, una volta chiuse in bagno, vengono spogliate, drogate, torturate e seviziate. Le violenze andarono avanti per 36 ore. Rosaria fu uccisa, annegata nella vasca da bagno, Donatella si finse morta e si salvò. Credendole entrambe morte, le gettarono nel bagagliaio e abbandonarono l’auto in via Pola. Per la prima volta sola, Donatella raccolse le ultime forze e iniziò a battere sul cofano richiamando l’attenzione di un metronotte.

Quei tre “bravi ragazzi” dei Parioli furono arrestati poche ore dopo: è il 30 settembre del 1975 e quel delitto particolarmente efferato scosse tutta Italia, passando alla storia come “massacro del Circeo”.

La miniserie Circeo ripercorre le 36 ore di terrore e il lungo processo che ne seguì durante il quale Donatella, sopravvissuta per miracolo, fu costretta a rivivere più e più volte quei momenti drammatici pur di convincere la corte – e l’opinione pubblica – che quei tre figli di papà meritassero l’ergastolo e non una pacca sulla spalla grazie al buon nome della famiglia. La battaglia di Donatella, che non si è mai fatta piegare dalla violenza e dal potere, nonostante siano passati quarant’otto anni da quella notte maledetta, è più attuale che mai.

Per Elisa – Il caso Claps ha saputo ricostruire 17 anni di omissioni, depistaggi e ritardi con rispetto e delicatezza e ha riacceso i riflettori su uno dei più sconvolgenti e intricati casi di cronaca nera oltre che su un tema quanto mai attuale: l’adeguatezza delle pene detentive. Più che pene più lunghe in questo Paese servirebbe avere la certezza della pena: non credo che sia necessario arrivare a misure estreme, piuttosto è importante fare prevenzione, sono le parole di Gildo, fratello di Elisa.

Adesso basta, nessun'altra

Elisa, infatti, è stata una delle prime vittime di femminicidio quando di femminicidio ancora non se ne parlava. Trent’anni fa, al Sud, avere un figlio psicolabile suonava peggio di avere un figlio assassino. Elisa, come Giulia, aveva un’anima gentile, generosa ed era sempre disposta ad aiutare il prossimo. Elisa è stata uccisa due volte: prima dal suo stalker, Danilo Restivo, e poi dal muro di omertà che ha costretto la sua famiglia a lottare per 17 lunghi anni per fare luce sulla scomparsa di Elisa e consegnare il suo assassino alla giustizia.

Ad oggi in Italia non esiste una legge che tuteli le donne che hanno subito molestie, anzi, si tende quasi a normalizzarle. Del caso di Greta Beccaglia, la giornalista palpeggiata in diretta da un tifoso al termine di una partita di calcio, se n’è parlato per mesi.

“Dai, non te la prendere” è stata la reazione del collega in studio che, di fronte all’evidenza, ha minimizzato la gravità del gesto mentre il tifoso è stato condannato a 1 anno e 6 mesi per violenza sessuale, pena mai scontata ma convertita in un percorso di recupero.

Meno di due anni dopo la stessa vicenda si è verificata in Spagna ma in questo caso il collaboratore della giornalista si è accertato di quanto fosse appena accaduto ed è scattata immediatamente la segnalazione alla polizia che ha portato all’arresto dell’uomo nell’arco di 10 minuti.

La cosa però non dovrebbe sorprenderci, del resto in Italia se il palpeggiamento dura meno di 10 secondi non può considerarsi reato.

“Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche, perché poi il lupo lo trovi”. Hanno suscitato sgomento e indignazione le parole pronunciate da Andrea Giambruno, giornalista di Rete 4 ed ex compagno della premier, che qualche mese dopo si è lasciato andare ad atteggiamenti volgari ed imbarazzanti e battute a sfondo sessuale nei confronti di una collega. In questo caso le donne molestate dall’ex first man sono state del tutto ignorate. Adesso basta. Educazione sentimentale, sessuale ed emotiva. Ecco cosa serve alla nostra società.

I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura.

Viene spesso detto «non tutti gli uomini». Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio.

Così si legge nella lettera della sorella di Giulia Cecchettin, Elena, al Corriere.

Per fortuna esistono uomini che non hanno paura di esporsi pubblicamente, schierandosi al fianco delle donne vittime di violenza, come Tananai che in occasione della Notte della Taranta è salito sul palco indossando una camicia dove sul retro c’era scritto “Adesso basta, nessun’altra”. All’indomani degli stupri di gruppo di Palermo e Caivano, Ermal Meta ha affidato ai social la sua denuncia e in meno di 24 ore ha ricevuto migliaia di messaggi, di testimonianze, da parte delle vittime di abusi che si sono sentite comprese ed ascoltate.

Un tema, quello della violenza domestica, che lo tocca da vicino: il cantautore di origini albanesi, infatti, non ha mai fatto mistero della sua storia familiare e ha più volte raccontato della violenza perpetrata da suo padre nei confronti della madre nelle sue canzoni (con Lettera a mio padre prima e Vietato Morire poi). Il cantante, durante una diretta Instagram, ha rivolto un appello alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, affinché “questa mattanza” contro le donne finisca.

La stragrande maggioranza delle donne – e degli uomini – che hanno subito violenze e maltrattamenti di qualsiasi natura non hanno denunciato per mancanza di fiducia. Nei confronti del prossimo innanzitutto, della società e della giustizia. A me non interessa fare polemica, a me interessa dar voce a quelle persone che hanno paura di parlare. Questo silenzio degli innocenti deve finire perché una società non può dirsi evoluta fin quando le persone, soprattutto le donne, avranno paura di camminare per strada da sole, di raccontare di essere state abusate per paura di non essere credute o addirittura di essere ritenute colpevoli.

Le donne sono stanche di sentirsi dire come devono difendersi, come devono proteggerci, come devono comportarsi per evitare di trovarsi in una situazione di pericolo, come devono vestirsi per evitare di provocare l’attenzione degli uomini. Sono stanche di vivere nella paura, di incontrare l’uomo sbagliato, di tornare a casa da sole, di passare in luoghi poco frequentati, di doversi sempre guardare le spalle. Adesso basta.

La violenza contro le donne non è un problema delle donne, è un problema degli uomini, degli uomini violenti, che non accettano un “no” o un “basta”, un rifiuto o un abbandono, che scambiano l’amore per possesso, che considerano la donna una loro proprietà e non sono disposti a riconoscerne la sacrosanta libertà di uscire con chi vuole, di vestirsi come vuole e di amare chi vuole.

Tamara Santoro
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