Gucci alla Milano Fashion Week 2020 omaggia il cinema, il dietro le quinte dando un nuovo senso alla normalità.
Il cinema in origine era suggestione ipnotica, ritualistica, cioè qualche cosa di religioso. Si usciva di casa, si parcheggiava la macchina in qualche posto, poi ci si incolonnava in cortei tutti rituali: il biglietto, la tenda che si apriva, la mascherina, guardare la platea mezza illuminata, riconoscere degli amici. Poi questa luce che si attenua, lo schermo che si accende e comincia la rivelazione. Il messaggio. Un rituale antichissimo, di sempre, insomma, che ha cambiato forma e modi ma era sempre quello: sei lì per ascoltare e per osservare. La bellezza. L’arte senza limiti.
L’omaggio a Fellini e alla sua arte
Una voce fuori campo accompagna nella giornata di apertura della Milano Fashion Week la Sfilata Gucci Donna Fall Winter 2020-21 al Gucci Hub, ed è quella di Fellini, il regista premio oscar, simbolo di una Italia che del Made in Italy può ancora fare sfoggio e vanto. Fellini, nel centenario della sua nascita.
Alessandro Michele, direttore creativo della maison del lusso Gucci porta il backstage delle sfilate direttamente sul palco della Milano Fashion Week 2020, come sul set di un film da proiettare al cinema. Il dietro le quinte che diventa il protagonista principale. Una macchina da presa, degli amici attorno disposti ad aiutarlo, una troupe, una troupe straordinaria. Una troupe proprio di circensi, li definisce il designer. Di quelli che mentre montano il circo fanno spettacolo, ugualmente lo fanno mentre lo smontano e già stanno partendo e anche la partenza diventa spettacolo.
Gucci e l’omaggio al cinema alla Milano Fashion Week 2020
È forse una dichiarazione d’amore al cinema forse un pochino troppo privata quella di Gucci alla Milano Fashion Week 2020, forse narcisistica, ripeto spudorata, senza limiti. Ma, comunque, è quello che è successo su quella passerella.
Ho sempre pensato alla sfilata come a un accadimento magico capace di sprigionare incantesimi. Un’azione liturgica che sospende l’ordinario, caricandolo di un sovrappiù di intensità. Una processione di epifanie e pensieri dilatati che si accomodano in una diversa partizione del sensibile. In questa festa che si nutre di attesa, il mio pensiero trova la sua forma e si fa pubblico. Annoda ossessioni e spinte antigravitazionali. Sosta sull’improbabile.
Accarezza quella nostalgia d’umano che altri chiamano imperfezione. Cuce, con la precisione dell’amore, ogni più piccolo dettaglio della scena per offrirlo a una comunità di interpreti. C’è l’incanto del dono, in questo rito che non ammette repliche. C’è la promessa di una consegna preziosa. Le luci si spengono. Gli adunanti sostano in attesa, con mani aperte. Tutto tace perfettamente, per accogliere i miei battiti storti e le mie vertigini.
A questa tribù di spettatori emancipati offro la mia poetica. Che ne facciano interrogazione profonda. Che mi aiutino a comprenderla. Potranno tradurla o tradirla. Usarla per ridestare domande sopite. Oppure semplicemente respingerla, in assenza di varchi di compassione. Il dono è materia viva, un rebus il cui significato non appartiene a nessuno.
Anche oggi abiteremo questo rito, per me sacro. Un corteo di passi disegnerà lo spazio, come rintocchi nel tempio. Misteriose imbastiture presteranno il loro giuramento alla luce. Una partitura di note magnificherà profezie impresse su corpi in movimento.
C’è tuttavia qualcosa che, in questa cerimonia, solitamente rimane sepolto: lo sforzo del partoriente che accompagna il tremore della creazione il ventre materno in cui la poesia, da forma a forma, fiorisce. Ho deciso quindi di alzare un velo su ciò che ama nascondersi. Che esca dall’ombra quel miracolare di mani sapienti e di respiri trattenuti. Che si faccia visibile quell’intelligenza collettiva che cura la gestazione, con brivido che infuria. Che si costruisca un trono per quell’alveare scalcagnato e un po’ folle che ho scelto come casa.
Perché quella è la casa che venero: il varco benedetto attraverso cui la bellezza esce dal guscio.
Alessandro
Alessandro Michele accoglie i suoi ospiti facendoli passare dal backstage, che di fatto è un anticamera. Lo stesso direttore creativo di Gucci è lì, alla portata di tutti. L’ospite vive l’esperienza della sfilata dal punto più intimo. E, una volta seduti, una giostra Felliniana mostra le modelle e le vestieriste che le preparano, ognuna davanti al proprio stand con le indicazioni. Uno spettacolo nello spettacolo. A scandire il tempo c’è un metronomo di led, che incombe sulle teste di tutti i presenti. Il tempo, dopo la sfilata Uomo dello scorso gennaio, torna a ossessionare Michele. Ci sono ancora tutti i suoi personaggi, colorati ed eccentrici. Malinconici e fiabeschi, anche in questa Milano Fashion Week 2020.
Leggi anche
- Meeting del Mare 2022: un’edizione all’insegna della pace - Agosto 2, 2022
- Una semplice domanda, Alessandro Cattelan [Recensione in anteprima] - Marzo 14, 2022
- La brutalità della polizia italiana e i problemi irrisolti delle politiche aziendali: Genova, esattamente come vent’anni fa - Luglio 20, 2021