La Storia Di Un Uomo Solo è la narrazione di una vita apparentemente perfetta. Il protagonista ha tutto ciò che gli serve per essere felice. Ma la felicità è uno stato d’animo, non uno specchio in cui riflettersi. Cosa succede agli altri quando la tua presenza viene a mancare nella loro vita?
La Storia Di Un Uomo Solo: la cura ad un bisogno
Ci sono giorni in cui l’unico stato d’animo che riesco a provare è una gran confusione, dentro, fuori, in mezzo, in equilibrio e in squilibrio tra le mie molteplici facce: quella che mostro a tutti, quella che mostro a pochi, quella che decifrano tutti, quella che decifrano in pochi. Quella che tengo solo per me.
Molti dei miei pensieri sono cianfrusaglie, di quelle che accumuli negli anni e di cui non ti riesci a separare perché in fondo sono dei ricordi. Come lo scontrino della birra presa al primo concerto insieme (ve li ricordate ancora i concerti?.) impilato nel portafogli, ormai completamente sbiadito, ma che non butti per la paura di chiudere.
Per un periodo piuttosto breve della mia vita sono stata una adepta della cultura orientale, leggevo libri sullo Zen, ascoltavo lezioni di grandi guru, ho anche provato a meditare (mannaggia Ludovica e le sue idee bizzarre alle idi di agosto), ma il risultato è stato pessimo. Una cosa però l’ho capita da questa breve parentesi della mia vita, che la cultura occidentale insegna a colmare i vuoti riempiendoli, quella orientale svuotandoli. E per settimane mi sono chiesta se fosse più facile riempire, accumulare, o svuotare, svuotarsi. E mentre me lo chiedevo continuavo a riempire, ad accumulare. Cosa? Esperienze, pensieri, situazioni, persone.
E in giornate in cui è tutto un accumulare, riunioni, eventi, incontri, appuntamenti, report da compilare, consegne da rispettare, agende da predisporre… ecco che è tornata a bussare forte in me, lei. Lo ha fatto in maniera vigliacca, spacciandosi per confusione, per surplus di stanchezza. Lo ha fatto senza bussare, senza chiedere permesso, è arrivata, si è fatta strada e stanotte ha avuto finalmente la meglio. Sto parlando della Signorina S., la mia solitudine.
Una volta che l’ho riconosciuta, l’ho salutata e – dopo il solito scambio di convenevoli tra me e lei – abbiamo fatto un patto: stavolta non sarà un gioco delle parti, sarà un braccio di ferro dal quale ognuna delle due avrà ottenuto qualcosa. E così decido di leggerle una storia, un libro che sembra essere stato scritto in prospettiva di questa serata, che porta (anche) il suo nome “La Storia Di Un Uomo Solo” di Donato D’Aiuto, che abbiamo già conosciuto con La Preda.
Facciamo finta che il lemma uomo sia sinonimo di specie e non di genere cara Signorina S, e proviamo a venire a capo di questa lunga notte. Io ti leggo questa storia, ma tu lasciami mettere su un vinile e riempire di gin il mio bicchiere.
Vivi si Muore degli Zen Circus è l’ascolto della serata
“Pochi libri cambiano una vita. Quando la cambiano è per sempre, si aprono porte che non si immaginavano, si entra e non si torna più indietro”, sosteneva Christian Bobin.
Forse La Storia di Un Uomo Solo non è il libro che ti cambia la vita, ma è quello che ti fa fare un viaggio nel tuo inconscio e guardare in faccia la Signorina S, smettendo di affrontarla con lo sguardo basso, ma con sguardo fiero e leale, perché in fondo siete due facce della stessa medaglia.
Riempio il mio bicchiere, metto nel giradischi Vivi Si Muore degli Zen Circus e lascio che il primo brano provi a riportare il respiro alla giusta intensità e il numero di battiti del cuore alla frequenza più consona. Ma il primo brano è “L’Amore è una Dittatura”, e ogni buon proposito di riequilibrio del karma va a farsi fottere.
“Tu stammi vicino
Anzi lontano abbastanza
Per guardarti il viso
Dalla stanza dei miei occhi
Aperti o chiusi, non importa
Sono occhi
Quindi comunque una porta aperta”
Cara Signorina S. vengo al libro, hai ragione, te l’ho promesso. La storia narra le gesta un uomo che ha una vita segnata: la fidanzata di sempre, il lavoro da giornalista e la tranquillità. Un giorno il destino arriva e spariglia le carte, il padre muore in un incidente e Claudia (la compagna) lo tradisce con l’amico del liceo. E così, il protagonista decide di porsi come obiettivo quello di capire quante persone avrebbero sofferto se egli fosse morto.
Ed ecco svelata la ragione della scelta di questo vinile “Vivi si muore”.
Intanto che ripercorro la summa di quest’opera letteraria, rileggo la dedica apposta sulla prima pagina e mi soffermo su una frase del terzo brano di questo vinile: Il Fuoco in una stanza.
“Facciamo un giro sulla Circumvesuviana
Mentre il vulcano sputa questa luna piena
Che ci guarda mentre tu mi dici basta
Non più il cielo, il fuoco in una stanza!”
La luna era elemento centrale anche nella Preda, ultima creatura dell’Autore di La Storia di un Uomo Solo, e stasera la cerco in cielo, con la consapevolezza che questo satellite è una delle poche cose che riesce a mettere in connessione pensieri e persone. La guardo con la consapevolezza che è la stessa che sta guardando anche Jack. Ma non c’è. Anche lei mi ha abbandonata stasera, siamo solo io e te.
Ma veniamo al romanzo in questione cara Signorina S., quindi la storia si esplica in un arco temporale che va dal tradimento di Claudia fino a questo esperimento antropologico e sociologico del protagonista che culmina con la sua morte.
Nel mezzo di La Storia di Un Uomo Solo però troviamo però altre due grandi protagoniste: la vodka e Sara.
Un capitolo che merita una menzione speciale è il terzo, in cui l’autore conia la sindrome del Punto e Virgola, il segno di interpunzione che io preferisco da sempre e che spiega anche l’incipit e la mia smania di accumulatrice seriale. Il riconoscere la fine di qualcosa, ma il non accettarla del tutto. E così al punto si affianca una virgola, quella porticina semi aperta alla speranza.
“Il punto e virgola è segno di qualcosa che non si vuole mai finire, lo si vuole tenere in vita. Gli scrittori usano il punto e virgola per non concludere un periodo, ma per farlo continuare.” D. D’Aiuto
Ma tornando all’interezza della nostra opera, il profilo tracciato dall’autore del suo beniamino è quello di un uomo mediocre, che si trova ad esercitare il lavoro plausibilmente dei suoi sogni, per cui ha studiato, ma facendolo in maniera mediocre, senza mai di fatto uscire dalla propria comfort zone. Scrive articoli dozzinali e porta a casa la pagnotta, senza mai avere mai, di fatto, il coraggio di fare davvero il salto di qualità. Trovando rifugio in una sola amica: la vodka.
Eppure quello che non accade in una vita può accadere in un secondo. Ed è ciò che è successo al nostro protagonista incrociando gli occhi di Sara una mattina mentre stava correggendo con la vodka il suo caffè del mattino, seduto al tavolino del bar, prima di recarsi in redazione.
L’incontro non si può preparare, non è l’esito del conoscere una persona. L’incontro è l’evento inatteso, miracoloso, magnetico, inspiegabile che accade e trasforma la vita degli amanti.
Ed è questo quello che è successo al protagonista dopo l’incontro con Lei. Un incontro così totalizzante che è riuscito a fare persino a meno del “suo veleno”, come lo chiama l’autore. Del resto ognuno riempie come può, io riempio con il lavoro, lui riempie con l’alcol. Vero Signorina S.? Eppure da te non posso scappare. Come non è riuscito a farlo il nostro protagonista.
Do un altro sorso lungo al mio gin, lo bevo d’un fiato, prima di riempirne altre due dita e rifletto sul tema dell’incontro e sulle anime gemelle, chiedendomi se Sara avesse alla fine fatto quel passo in più verso la sua felicità, separandosi da un destino scritto e un matrimonio insperato.
Una volta ho definito la persona che vorrei accanto come l’anima sentinella, più che gemella. Una persona con cui io non debba fare il paio, ma che mi supporti e sopporti. E che possa tirare fuori il bello di me. Non il meglio, quello so farlo da sola e senza grossa fatica (o così credono gli altri), ma il bello. La luce. Quel barlume di leggerezza nel pensiero che non mi concedo più da tempo. Che arrivi col grimaldello e butti giù questo muro. Che sia reticente alle mie reticenze. Che non abbia paura di abbracciarmi nonostante i miei aculei. Che anziché provare a snaturarmi e voler per forza prendere questo Cactus e trasformarlo in una primula, innaffi le mie spine e si ricordi che dentro c’è un cuore morbido. Forse non si vede, ma c’è. Che abbia la pazienza di aspettare che sia io a metterglielo in mano. Che rispetti i miei tempi. E i miei silenzi. Io che sono così rumorosa e chiacchierona.
Mentre queste elucubrazioni iniziano a dare una parvenza di sollievo al mio cervello, provo a dare un volto alla sentinella e un nome ai miei pensieri e rivedo Jack mentre sta scrutando la luna.
Il vinile a questo punto, senza accorgermene è già al suo sesto brano, L’Anima Non Conta.
“Amici a non finire
Sembra di impazzire
Ti dicono bravo, bravo, sei speciale,
Ma quanto sei bravo, sei un portento, sei geniale
Ma finché non te lo dice lui, o non te lo dice lei
Non conta”
E io sono giunta all’ultima parte di questo racconto, quello in cui si svela finalmente il nome del protagonista, quando però è troppo tardi; quando l’esperimento è compiuto e adesso la sua profezia si è avverata.
E ora mi rivolgo a te Signorina S, e lo faccio per dirti che ti sono grata per molte cose, ma soprattutto perché, anche nei momenti di totale sconforto, non ha mai smesso di contare e di aspettare e di farmi rendere che anche nella mia Solitudine sono io. Che so essere certezza per gli altri, senza pretendere che gli altri siano certezza per me.
Sono sempre io, quella che mangia dalla pentola, che ha crackers e caffè alla base della sua piramide alimentare, quella che poi si offende, quella che però ti dirà “non fa niente”, quella permalosa, quella che si sente in colpa se si riposa, quella che si nasconde se sta male, quella che ha il terrore di vomitare ma vomita prima di ogni riunione. Sono sempre io, quella che comunque e sempre resta curiosa della gente, curiosa dell’amore, e accetta il rischio, accetta i cookies pur di continuare, perché la paura più grande è di annoiarsi, ma ancora di più di annoiare.
Sono sempre io, quella che, come neve di aprile, chiede semplicemente di caderti addosso e, al caldo, scomparire. Perché l’amore ti salva, basta dargli fiducia. Fare proprio come Sara, essere vittima e carnefice.
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