Safari di Jovanotti è l’album della maturità sua (e nostra)

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Safari, album di Jovanotti che rappresenta la linea divisoria tra il “prima” ed il “dopo”, è l’album che ha venduto in poche settimane 600000 copie, consacrando il rapper toscano – fino a quel momento politicamente impegnato in testi di denuncia sociale – a cantautore, oserei dire, molto innamorato.

E tu ragazzo l’hai già trovata? Quella che ti fa sentire un naufrago che tocca la spiaggia e appoggi la guancia sulla sua pancia di sabbia, con il fiato corto per il piacere sottile di aver rischiato di perdervi e invece no, che l’amore più di un colpo di fulmine è un gran colpo di fortuna. Non lo sai ancora ma ci saranno momenti sereni, tra un po’ di anni probabilmente, in cui le avversità ti sembreranno remote, vivrai il tuo amore come il contadino vive il suo pezzo di terra fertile, gli è grato e pensa che sarà sempre così.” A questa domanda il nostro Jovanotti, nel 2008, risponde “Signorsissignore!”. Non un “sì” qualunque, un “sì” così deciso da dare la genesi a “Safari”, uno spartiacque fra i temi del passato e quelli del presente e del futuro. Una maturità umana frutto di una revisione severa delle priorità nella vita: l’amore prende il posto della critica sociale, ma non dimentica mai lo studio antropologico.

Senza l’amore sarei solo un ciarlatano, come una barca che non esce mai dal porto!”, direbbe qualche anno più tardi, come a volersi giustificare di questa scelta così apparentemente demagogica.

Safari: Jovanotti recensione

Insomma, senza indugiare ulteriormente, è giunta l’ora di ripetere il solito rito settimanale, lo facciamo insieme? Allora su la testina del vinile e giù con l’ascolto. Non prima di aver scelto il mio fedele e gustoso alleato di ascolto. Cosa berrò stasera? Guardo il calendario e mi rendo conto che da poco è passato l’otto dicembre, e ricordo una cosa che può sembrare una vera e propria coincidenza: in questa data Hemingway – da sempre mio mentore letterario – compie il suo primo “Safari” in Africa. La sua birra era la Lager Tusker, prodotta dalla Kenya Breweries Ltd, fondata nel 1922 dai fratelli George e Charles Hurst. Un anno dopo la fondazione George venne ucciso da un elefante durante una spedizione nella savana e in ricordo di questo evento la birra fu chiamata Tusker, “elefante” in swahili, e la figura di questo imponente mammifero venne impressa sull’etichetta delle bottiglie. Durante la mia ultima spesa di birre ricercate ho fatto incetta anche di questa Lager, e sarà proprio lei ad essere stappata in questo mio “safari” domestico, ma musicale.

Adesso in sella all’elefante galoppiamo sulle note di questi cinquantadue minuti di amore.

safari jovanotti

Primo brano di Safari è “Fango”, canzone a cui sono particolarmente affezionata, una naturale prosecuzione del discorso iniziato con “Mi fido di te”, dedicato ad una vicenda toccante nella vita di Lorenzo: la morte di suo fratello Umberto, istruttore di volo, a causa di un terribile incidente. Un titolo che potrebbe dare l’idea della sporcizia, così come della sconfitta. Il fango se ne sta lì, per terra, nelle pozzanghere, solo, in attesa di essere calpestato, schiacciato, dimenticato eppure non rinuncia mai a urlare al mondo le sue componenti: acqua e terra, che per noi rappresentano la vita. Jovanotti in questo primo brano di Safari ci parla di un gettarsi sulle cose prima del pensiero, di un sollevarsi per guardarle dall’alto e contemplarne la bellezza, la preziosità. Ci parla di scale da salire che vengono paragonate a scivoli perché se è vero che la vita è un percorso in salita è anche vero che il dolore, la sofferenza, la disperazione, possono diventare la via d’accesso per la nostra felicità. Sta qui il senso di tutto, il senso del dolore: trasformare le scale in scivoli, abbracciare la disperazione è farne felicità. Non cercare la fuga dal dolore ma imparare a danzare sul suo dorso.

Amore a trecentosessantagradi in questo album, Safari, dal ricordo del caro fratello alle piccole emozioni quotidiane, lo stupore e la meraviglia delle sensazioni che rinascono dal fango per toccare il cielo. Nel secondo brano “Mezzogiorno”, il nostro Lorenzo continua il discorso del pezzo precedente, riconoscendo la forza del dolore e arricchendolo di un concetto prezioso quanto nessun altro: la libertà.

“ E ogni cicatrice è un autografo di Dio
Nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio
Per quanto mi identifichi nel battito di un altro
Sarà sempre attraverso questo cuore
E giorno dopo giorno passeranno le stagioni
Ma resterà qualcosa in questa strada
Non mi è concesso più di delegarti i miei casini
Mi butto dentro vada come vada”

Terzo brano di Safari, che sarà negli anni futuri, uno degli ultimi veramente ispirati dell’intera discografia nazional popolare, è la tanto inflazionata quanto dedicata e sognata in ogni sua sfaccettatura “A Te” (con la t rigorosamente in maiuscolo, come a sottolineare “Tu: mio mondo, mia essenza, mio tutto”).

Se non “la” canzone d’amore (il podio è inossidabile per “La Cura” di Battiato), sicuramente la sua più degna rivale. Una canzone che riesce a spogliare l’amore di inutili congetture e ricondurlo alla sua più evidente e necessaria semplicità.

E tu ragazza, tu l’hai già trovato? Ma come chi? Lui, quello che ti darà un nuovo punto di vista sul tuo corpo, quello che diventerà la misura di tutto. La misura del tuo seno? Le sue mani chiuse a conchiglia. La tua taglia? Non più una quarantadue, ma il suo braccio che ti cinge da parte a parte. Con lui scoprirai quanto può essere profondo il desiderio, quanto spessore hanno le parole quando vengono esaminate al dettaglio per trovare significati e doppifondi. Quanto lunga può essere l’attesa, infinita tra il primo ti amo detto da te e il primo ti amo detto da lui. Vi prenderete in giro, vi prenderete sul serio, vi prenderete in giro per tenervi sul serio. E comincerai a esprimere i desideri alle stelle, perché pregare i Santi sarà imbarazzante, per tutti i pensieri impuri che ti troverai a fare.” Eccola la vocina nella mia testa, più fastidiosa della ventola del bagno che ad intermittenza sembra parlare a buffo e lamentarsi delle mie elucubrazioni a suon di note vocali (o audiolibri, come direbbe Federica).
Sì, cara ventola, esiste, come qualcosa che ci è sempre stata, come una quadratura del cerchio necessaria e sufficiente, come il più ingombrante dei pensieri quotidiani e il più alleggerente.
Mentre mi prodigo in questo dialogo immaginario con la mia autocoscienza, che se fossimo in un fumetto di Zerocalcare (leggi qui ) avrebbe senz’altro le sembianze di un dinosauro o del Mammut di Rebbibia, il quarto brano di Safari è già passato in rassegna. In “Dove ho visto Te”, Lorenzo ripropone la sua formula standard e rodata del passato, ovvero ripetere parole varie ed eventuali che trascinano alla mente luoghi e posti, arricchendola di arrangiamenti davvero notevoli. Trascinante musicalmente con lo splendido solo del fisarmonicista ottantaquattrenne Frank Marocco, session man di fama mondiale, vero maestro di eleganza e raffinatezza.

E le mie gambe han camminato tanto
E la mia faccia ha preso tanto vento
E coi miei occhi ho visto tanta vita
E le mie orecchie tanta ne han sentita
E le mie mani hanno applaudito il mondo
Perchè il mondo è il posto dove ho visto te 

All’inizio citavo la meravigliosa “Mi fido di te”. Era il 2005 quando questa canzone ha invaso i nostri ascolti, colorato le nostre giornate e definito i nostri umori. 2005 per me vuol dire liceo, prima cotta, prima buca. Se è vero che il primo amore non si scorda mai, figurarsi il primo palo-in-faccia. Questo brano più che altri riporta immediatamente i pensieri a quei giorni, anche con una punta di sadismo ed invidia per la leggerezza di quegli anni scevri da ogni peso di responsabilità esistenziale, delegata interamente ai miei genitori. Nel 2018 il mondo è il posto dove “ho rivisto Te”.

safari jovanotti recensione
safaJovanotti e figlia. Fonte

“Il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è di dargli fiducia.”, insegna ancora Hemingway. Difficile per chi è così abituata a prendere decisioni da sola. Hanno scritto che il cuore ha la forma di un pugno chiuso, di bomba a mano, comunque un organo combattente. Io di combattere non ho più voglia, di stare in guardia, con il cuore serrato. Mi hanno detto occhio non vede, cuore non duole. Ma fegato rode, stomaco brucia, schiena si piega, ginocchio vacilla, dente digrigna, anima in pena, testa di cazzo. Quindi fiducia è la parola chiave, anche “In Orbita”, quinto brano di Safari.

“Come due bimbi proprietari di una stella
In una febbre tropicale al polo sud
sognai i miei vecchi sorridenti in riva al mare
Mentre guardavano la mia barca andare via
Benedicendo la mia rotta dentro al cuore
Perché ogni tempo porta dentro un dispiacere
Perché ogni giorno porta dentro un pò d’amore
Che ci tiene in orbita”

A proposito dei miei, in queste puntate ormai vi ho raccontato di tutto, da amori passati e dolenti (mai sbagliati), ad amori sognati; amici caposaldo e altri velleitari. Mia nonna sempre presente, costante invadente ed ombra edificante di tutta la mia essenza, così come mia madre. Ciò che ci ha sempre legate è stato il rituale del film sul divano dopo il lavoro. Ho avuto la fortuna di godermela in solitaria per molti anni (poi è arrivato il secondogenito) e di vedere convogliate su di me tutte le attenzioni. Ogni volta che un film aveva qualche scena più cruenta le correvo in braccio. Tra i suoi tanti meriti quello che la ha sempre contraddistinta è l’essere stata una madre dalle dita a maglie larghe, mi lasciava vedere il più delle minacce là fuori, temendo invece il dolore là dentro di me. Quello che non poteva mai sapere se covassi o no, quello che in qualche forma, ne aveva la certezza, è fisiologico ci sia.


Mamma, più cresco più tutto è stretto”, non so esattamente a cosa mi riferissi quando le confidai questa cosa, ma la avvertì la pressione dei sentimenti che mi faceva piangere senza motivo, di rado ma accadeva.

Un mondo che ci ha fatti crescere sotto il peso delle aspettative, siamo figli di un’ansia generalizzata e frutto di una modernità che – calata nella natura nostalgica della nostra società – è diventata più un limite che una risorsa per i popoli. Discorso che Jovanotti in questo ultimo brano del Lato A di Safari, con la title track riesce a mettere bene a segno.

““ho diamanti sotto ai miei piedi”
ho un oceano dentro alle vene
ognuno danza col suo demone
e ogni storia finisce bene ” 

Il “safari” che viene descritto in questo brano non è un viaggio in una quattro per quattro tra le dune del deserto, ma la giungla di pensieri che ognuno di noi ha nella propria testa. I dolori, le inquietudini, le sofferenze e le paure, ma anche le incertezze, i dubbi, le fantasie che ci assalgono. Questo tipo di safari, cioè di ingabbiamento di pensieri ansiogeni, si presenta nella nostra mente soprattutto di notte, quando siamo da soli e al buio; tutti i nostri tormenti e le nostre paure diventano maggiormente enfatizzate quando i demoni ci assalgono.

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safL’Urlo di Edvard Munch, la rappresentazione artistica dell’ansia per eccellenza

Fine del Lato A di Safari, è ora di alzarmi da questo divano, dare un altro colpo di gola alla mia adorata Lager Tusker e godere delle b-sides di questo fantastico vinile, in cui compare la mia preferita, ma poi ne parleremo.
Mentre le parole di una funkeggiante “Temporale” riempiono il silenzio di questa stanza che riempio da sola da alcuni mesi, dopo il mio ritorno in patria (ci chiamano “figli boomerang” a proposito delle ansie suddette. Non lo sapevate? Siamo quei figli plurilaureati, masterizzati e senza un lavoro decente, costretti a rinunciare alla vita agognata per ritornare nella cameretta dell’infanzia) mi tornano in mente mille scene che vengono interrotte da una serenata incantevole “Come Musica”. Nella vita il tuo destino è sempre segnato da un bivio: o nasci preda o predatore; o nasci bisognoso di dare attenzioni o di riceverle. Ebbene un brano come questo io più che riceverlo, ho sempre sognato di dedicarlo. Una malinconia mi assale e mi fa ripensare all’ultima volta che mi sono innamorata razionalmente, non è stato poi così bello. Non come quando quella volta durante l’adolescenza (e anche molti più anni dopo) lo feci così “cretinamente”. Amare profondamente è la più grande delle fortune, è la musica della nostra vita. E su questo filone il nostro Lorenzo ha incentrato anche le successive due canzoni di Safari, “Innamorato” e “Punto”. La prima descrive esattamente l’innamorarsi così “cretinamente”, di un amore puro e – a tratti – adolescenziale; di quelli che vuoi semplicemente urlarli al mondo, facendo eco sulla tua felicità.

Ed ecco il momento della mia preferita, “Punto”.

“Vorrei che questa pagina tornasse bianca per scriverci Ti Amo, punto!”

In tutti questi anni mi sono innamorata diverse volte, ma ho amato una sola volta. Mi sono innamorata come un meccanico, oleando tutti gli ingranaggi e ripetendo sistematiche azioni di pulizia di quest’ultimi per mantenere in piedi alcuni rapporti; mi sono innamorata come un fiorista, ho messo semi che speravano sfociassero in una pianta sempreverde, ho innaffiato il primo baccello, ho trapiantato in vasi più grandi per lasciare il giusto spazio alle radici che diventavano sempre più grandi, il grande abbastanza per “abbracciare qualcun altra”. E ho amato come una bambina, commettendo errori, punendolo col silenzio, punendomi con le urla che echeggiavano nel nostro nido. Ho dato tanto e ho ricevuto lo stesso, poi il tempo ha scelto per noi altre strade. Una vera benedizione, per quanto possa dolere ammetterlo a posteriori. Poi sono cresciuta, e ci sono ricascata di nuovo in questa giostra emozionale, tanto che tornando a casa la sera puntualmente mia madre mi continua a chiedere dove ho infilato quel cuore lì, stavolta. Innamorarsi come una cretina è infilare il cuore dove non ci sta proprio e se lo infili dove non deve finisce per incastrarsi.

Il vinile di Safari continua con “Antidolorifico Magnifico” e “Mani Libere 2008”, mentre io sono sul sito pronta ad acquistare il ticket per il “Jova Beach Party”, che darà la possibilità alle coppie che vorranno di sposarsi civilmente, officiati dallo stesso Lorenzo, dj set after wedding offerto. Questa è la volta buona che mi converto al rituale del matrimonio.

Fabiana Criscuolo
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