Uscito nel 2004, Che ne sarà di noi di Giovanni Veronesi è una commedia drammatica di poche pretese e che richiama un pubblico adolescenziale. Un film che segna la prima esperienza di Silvio Muccino come sceneggiatore e vede Elio Germano tra i protagonisti.
Parlare di Che ne sarà di noi oltre dieci anni dopo averlo visto non è una cosa semplice. Cambiano le prospettive, le esigenze, i gusti, l’età e, con queste, cambia il giudizio dell’opera. Questo è un film che piace. Piace a chi ha sta per prendere la maturità, a chi è indeciso sulla propria vita, a chi vuole avere una svolta nel proprio percorso professionale e sentimentale. Ma tutti loro hanno una cosa in comune: meno di 17 anni.
E, ammetto, a me era piaciuto. L’avevo trovato fresco, frizzante, spensierato. Un classico film da vedere d’estate, prima di tornare alla routine scolastica di settembre. Ma, oggi, le cose sono leggermente cambiate. A ventotto anni trovo Che sarà di noi sempre un film scanzonato, ma anche mediocre. Ma, mi spiego. Vedere quel popo di attori interpretare personaggi dozzinali un po’ mi fa scadere la considerazione che ho del lavoro di Giovanni Veronesi.
La storia riguarda quella di tre amici che hanno appena conquistato la tanto sognata maturità. Ognuno di loro, però, si trova davanti a dei problemi esistenziali da risolvere: Matteo (Silvio Muccino) è in preda ad una relazione altalenante con Carmen (Violante Placido), una ragazza che ha qualche anno più di lui, capricciosa, con battute sempre fuori luogo e perennemente imbronciata. Nonostante lui sia innamoratissimo, lei lo tratta come un ragazzino utile solo come passatempo, giudicandolo troppo piccolo e immaturo.
Poi abbiamo Paolo (Giuseppe Sanfelice), il classico bravo ragazzo, nonché il primo della classe: educato e timido, ma con il futuro già scritto dai genitori pressanti e invadenti. Infatti, dopo la maturità dovrà iscriversi alla facoltà di Economia a Milano e proseguire i suoi studi. Infine abbiamo Manuel (Elio Germano), il classico ragazzo anticonformista, ribelle e insoddisfatto di vivere nella sua mediocre quotidianità, fatta di una madre vedova che lo vuole relegare in un negozio di animali.
Sapendo che Carmen andrà in vacanza a Santorini, la suggestiva isola greca, Matteo costringe i due amici ad andare in vacanza in Grecia, traendoli in inganno. Lungo il viaggio, i ragazzi incontrano Bea (Valeria Solarino) e Monica (Myriam Catania), due ragazze attraenti, con una certa esperienza nelle relazioni, che decidono di accompagnarli sull’isola.
Oltre a questo gruppetto, a Santorini ci sono anche Valentina (Katy Louise Sanders), una ragazza acqua e sapone, diversa dalle altre, detta “Cicalina” e segretamente innamorata di Matteo; e Sandro (Enrico Silvestrin), un tamarro benestante che ha un certo fascino su Carmen.
Durante la vacanza, i tre ragazzi saranno immersi in un vortice di sogni, passioni, paure, emozioni, libertà, che li porteranno a capire le proprie inclinazioni e a farli fare il fatidico passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta. Alcuni di loro sapranno rispondere alla domanda: “che ne sarà di noi?”.
Questa commedia di Giovanni Veronesi presenta un cast giovane, dove a spiccare è un eccezionale Elio Germano che, nonostante sia alle prime esperienze sul grande schermo, si capisce immediatamente la qualità interpretativa. Tra le cose più belle del film c’è, senza dubbio, la pittoresca isola greca, la vera protagonista degli eventi, enfatizzata da una fotografia sensazionale. Anche la colonna sonora è adatta al contesto raccontato.
Tuttavia, il punto debole dell’intera storia di Che ne sarà di noi è la sceneggiatura, scritta da Silvio Muccino. Nonostante vediamo un’evoluzione concreta dei personaggi, c’è una mancanza di messa a fuoco che, via via, fa perdere al film la sua presa su di se. Inoltre il messaggio sull’adolescenza e la transizione alla vita adulta è talmente inflazionato che non ha l’impatto a cui aspira. Anche il tentativo di miscelare serietà e comicità è irrisolto e inconcludente.
Nonostante molti lati negativi, Che ne sarà di noi rimane un film godibile, alla fine dei conti tutti noi siamo stati quei tre liceali alla ricerca di un’occasione per abbandonare la propria ordinarietà e trovare un guizzo. Non dobbiamo vederla come un’opera che rimarrà nella settima arte nei secoli, ma come un omaggio al mondo delle emozioni dei giovani, imperfette e naturali.
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