Per Mattia Insolia (qui intervista all’autore), scrittore siciliano di ventisei anni, non poteva affacciarsi all’occhiello esordio migliore. Candidato al Premio Strega 2021, Gli Affamati parla di tutti e di nessuno di noi. Racconta di Paolo e Antonio Acquicella, fratelli di rispettivamente ventidue e diciannove anni lasciati soli a lottare contro un destino che sembra spezzare le sue catene intorno a loro troppo tardi.
Poco tempo fa, ho trascinato questo libro al mare con me, convinta che le radiazioni soporifere e le onde potenti potessero essere la culla perfetta dentro la quale perdermi in questo viaggio. Niente di più sbagliato.
Gli Affamati non è un libro da sbranare sotto l’ombrellone e lo si capisce già dalle prime pagine, in cui ci viene sottoposto davanti un tragico incidente di cui scopriremo le cause e le implicazioni solamente completando la lettura.
Arrivare fino alla fine è un impegno, ci vogliono tanti ingredienti diversi da buttare in pentola: stomaco, coraggio, compassione ed empatia. Leggendo, mi sono ritrovata a chiudere gli occhi e a dovermi prendere una pausa almeno un paio di volte.
Gli Affamati è un urlo disperato, un urlo che i due fratelli soffocano di continuo sotto lenzuola spesse fatte di illusioni facili a cui aggrapparsi, le uniche briciole rimaste per riuscire a mantenere un falso equilibrio costruito sopra macerie fatte di abbandono, segreti, odio e rabbia.
Stessa casa, stessi amici di sempre, solite serate passate a sbronzarsi e a maledire chiunque secondo loro avesse colpe. Una corsa sfrenata lontano dal proprio dolore, ma che sfogliando le pagine di volta in volta diventerà sempre più difficile da nascondere e da contenere, specie per Paolo.
‘’Le profondità che stava scandagliando quella notte non le avrebbe mai più sfiorate. Avrebbe camminato in superficie, verso una meta che non c’era. In punta di piedi per paura di rompere la scorza di finzione che non aveva il coraggio di incrinare. Quella consapevolezza fu una condanna. (…) E si domandava perché quando lottava era capace di farlo come un leone, ma quando amava sapeva farlo solo come un coniglio.’’ Pag.112
Tutto sembra procedere con un ritmo noioso ma quantomeno controllabile, gestibile, per i fratelli Acquicella. Paolo lavora in fabbrica ed è lui quello ‘’coi pantaloni’’ in casa, Antonio invece ha paura di gettarsi tra le braccia della vita e rimane fermo dov’è. Se si muove lo fa soltanto in direzione di Italo, il suo migliore amico.
Per Paolo, suo fratello è uno scansafatiche ma allo stesso tempo sa di doverlo proteggere ad ogni costo, prendersi cura di lui, l’unico che gli è rimasto dopo la morte brutale del padre e l’abbandono della madre.
È proprio da questo punto in poi che la narrazione del libro si incrina insieme all’apparente quiete degli Acquicella: la madre dei due, dopo essere fuggita dal marito violento e averli lasciati da soli con lui, busserà alla loro porta e insieme a lei tutti i demoni sepolti della loro famiglia, in un grido collettivo.
‘’Paolo aveva fatto bene, a fare quello che aveva fatto. Lui non ne avrebbe avuto il coraggio, ma era stata la cosa giusta. Giovanna non meritava una seconda possibilità. Quando era sparita non era cambiato nulla ed era cambiato tutto.’’ Pag.36
Per concludere, posso affermare con assoluta certezza che Gli Affamati sia in grado di atrofizzare un cuore.
Nonostante ne avvertissi l’assoluta e impellente necessità, non sono riuscita a piangere. Non ho battuto ciglio. Ho continuato la mia giornata in maniera normale ma non ero lì, ero altrove, distesa tra le parole della dolce quanto struggente lettera finale di Antonio, una conclusione meravigliosa per un’opera che non ha mai smesso di distruggermi e ricostruirmi daccapo.
Alla fine, rimane impressa dentro la luce che entrambi gli Acquicella portano con sé, che se adeguatamente intravista, riesce a colpire più forte dell’oscurità. Questa è la storia di un’esistenza rovinata che si rifiuta di continuare ad essere solo una storia, vecchia e passata. La speranza, se la si riesce a percepire, vince su tutto il resto.
Annalisa Masiero
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