Harry’s House a Bologna e Torino: è l’Italia che ha portato a casa Harry Styles

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Harry Styles, forte del suo nuovissimo album omonimo (qui la recensione), è approdato col suo tour anche in Italia, a Bologna (precisamente Casalecchio di Reno), il 25 luglio.

Si respira a partire da giorni prima l’arrivo di Harry Styles a Bologna, perché le fan sono in fila dal 20 luglio (con 5 giorni di anticipo) sperando di ottenere il posto più vicino al palco e strappare un’interazione all’artista. A Torino sono molte di meno solo perché la maggior parte fa il bis, addirittura circola la voce che alcune siano andate prima a prendere il numero a Bologna e poi a fare la fila a Torino.  Le due date in Italia hanno fatto sold out in pochi minuti nel 2019 e fino a pochi mesi fa sono state rimandate costantemente a causa della pandemia, alimentando quella che era già molto simile a un’ossessione e rendendo l’hype dei fan alle stelle quando finalmente ci si è avvicinati alla loro attuazione. Il giorno del primo concerto è isteria fin dai primi minuti: il parcheggio dell’Unipol è pieno di tende, il numero di fan che arrivano per il parterre raggiunge livelli spropositati e il team organizzativo è completamente impreparato a gestire così tante persone, così tanto giovani, con così tanto caldo. Quelle che hanno passato le notti fuori raccontano della totale noncuranza degli operatori dell’arena, che non hanno collaborato con gli organizzatori della fila, non hanno riservato spazi né si sono assicurati che non avvenissero pericoli. Se il giorno del concerto si sperava potesse esserci maggiore competenza, è da escludere quando si comincia a transennare orde di fan perlopiù sotto i vent’anni tra le 13 e le 14 completamente sotto il sole: ombrelloni, gazebo, qualunque protezione è completamente assente e mentre sempre più persone si accasciano a terra chi si occupa della sicurezza scatta selfie e fotografie, i più energici canticchiano.

È all’interno di questo contesto che ci si rende conto di cosa rende diverso il giorno del concerto di Harry Styles da qualunque altro: basta guardarsi intorno per pochi minuti per notare l’attenzione con cui tutti i fan sono vestiti e preparati, come se fosse la sera del ballo di fine anno.

Sotto al sole, amiche che si vedono per la prima volta dopo anni passati a comunicare su Whatsapp e Twitter si abbracciano e si scattano foto, genitori si emozionano vedendo i propri figli finalmente felici di poter partecipare all’evento che attendevano da anni quasi perdendo le speranze. Mentre la zona si riempie di persone vestite a festa, con gli inconfondibili dettagli che rimandano alle iconiche esibizioni del cantante (il boa per i Grammy’s, le iniziali sul fondoschiena per il Coachella, i cuori della tuta al Wembley…), i brillantini a là Euphoria e i capelli con la piega, la piastra, le treccine. non vi è la vergogna di apparire esagerati, di stare male con vestiti troppo succinti o di sembrare fuori luogo: tutti sanno che se c’è un posto e un momento in cui osare, è proprio questo. Le ore passano velocemente e in poco tempo si assiste all’esibizione dei Wolf Alice, che si dicono emozionatissimi di essere finalmente in Italia e che svolgono la loro line up il più veloce possibile perché sentono l’impazienza nell’aria. Sono pochi quelli all’interno dell’arena che non conoscono tutta la scaletta delle canzoni preshow, che variano da Sex on fire dei Kings of Leon a Bohemian Rhapsody, ma la più cantata rimane Best Song ever, la storica canzone della boyband cui il cantante faceva parte: un ricordo agrodolce di come il modo migliore per crescere sia sapere da dove si viene. Harry Styles sa benissimo di venire da un piedistallo: da una famiglia benestante prima al successo sfrenato in giovane età, ha avuto l’accortezza di nutrire le amicizie più importanti e non rinnegare il suo passato da marionetta della Sony, ma non si va da nessuna parte senza una buona dose di talento e arrivati a questo punto non deve più nemmeno perdere tempo a provare di averlo. È dalle ultime note di Bohemian Rhapsody, infatti, che si percepisce la crescente emozione dei fan e, appena appare una farfalla nel maxischermo sul palco e comincia una musica arricchita da suoni della natura e di animali, il pubblico perde la testa. Music for a sushi restaurant apre il concerto di Harry Styles con l’energia già papabile dei membri della band, che entrano con delle tutine abbinate e inspiegabilmente a maniche lunghe, poi seguiti da Styles che entra saltellante e non si ferma nemmeno per prendere aria. Saluta e ringrazia il pubblico subito, facendo il giro del palco che gli permette di vedere gran parte del parterre e mandare saluti e baci a più persone possibili mentre le oltre 12.000 persone sotto i suoi piedi perdono la voce. Golden e Adore You, i successi di Fine Line, arrivano subito dopo i saluti. È con Adore You che il cantante comincia a testare l’amore del pubblico, attendendo l’ultimo “Just let me adore you!” per rispondere “Okay!”. Se dopo ogni Adore You il cantante è solito fare un discorso sempre simile, in cui ringrazia di essere presenti e illustra la sua idea su come creare l’ambiente, in Italia entrambe le giornate godono di un’attenzione speciale: l’artista, infatti, sta imparando l’italiano tra uno shooting di Gucci e una luna di miele in Toscana e regala al pubblico l’intero speech nella loro lingua madre.

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“Sto imparando l’italiano, ma molto lentamente, quindi perfavore siate pazienti con me. Alcuni dei momenti più felici e speciali della mia vita sono stati in Italia […] quindi a tutti voi va il mio amore. […] Stasera vorrei che foste liberi di essere chi volete.”

Daylight e Cinema, due tra i più bei singoli dell’ultimo album di Harry Styles, arrivano subito dopo, seguiti da Keep Driving, il cui bridge è il più atteso del concerto perché l’artista è solito mimarne le parti più esplicite. Si sposta nella parte più interna al palco per cantare due tra le canzoni più lente della lineup, Matilda e Boyfriends. La prima è una canzone che si rifà alla protagonista del romanzo di Roald Dahl, proveniente da una famiglia che la trascura in virtù della sua eccessiva intelligenza e che Harry Styles dedica “a tutti coloro che sentono parli di loro”. Boyfriends è come sempre introdotta da un’esplicativa e molto urlata dedica: “To Boyfriends everywhere: Fuck You!”.

Il cantante si sposta di nuovo nel palco principale cantando Lights up, il primo singolo del secondo album, il brano che lo ha affermato nelle classifiche mondiali e che lo descrive più lucidamente di molte altre. Satellite arriva subito dopo, uno degli ultimi brani di Harry’s house, che prende letteralmente vita sul palco, come il cantante ha potuto sperimentare durante le One Night Only a Londra e a Los Angeles in cui ha suonato tutto l’album dall’inizio alla fine e ha potuto testare quali canzoni piacessero di più. Canyon Moon, Treat People with Kindness, What Makes you beautiful  e Late Night Talking sono il cuore di quelli che il cantante illustra come i “15 minutes of dancing”, prima di arrivare a quelli che invece sono i minuti in cui il pubblico viene portato alle lacrime senza pietà con Love of my life e Sign of the times. La chiusura però non è mai malinconica: i tre pezzi più forti della sua discografia arrivano uno dopo l’altro, mentre il cantante incita a cantare sempre più forte, ballare e saltare fino a perdere il controllo. Watermelon Sugar, brano che gli ha assicurato un Grammy nel 2020, è seguita da As it was, che glielo assicurerà nel 2022, per poi chiudere con Kiwi, che non ha ricevuto enorme successo nelle classifiche, ma che è nel cuore dell’artista e dei fans da anni. Durante tutto il concerto il cantante non perde mai il contatto coi fans: saluta, manda baci, interagisce con i cartelloni che trova più interessanti e cerca di dire qualche frase in italiano qua e là: “Aspettare.. aspettare..” e “Tutto sotto controllo” sembrano piacergli molto. Nel corso del tour si sono venuti a creare piccoli gesti di scherno da entrambe le parti: lui minaccia di doversi comportare bene per avere Medicine, brano bonus che concede solo a certe tappe, le fan urlano “Leave America” più forte del resto di As it was per lamentarsi dell’eccessiva lunghezza dei suoi tour negli States.

Si chiama Love on Tour e porta nella Harry’s House, che è un po’ la casa di tutti perché è il luogo in cui tutti sono circondati da persone che amano e possono fare ciò che amano, vestiti come vogliono e lontani dai problemi e dalle negatività all’esterno.

Così anche il giorno dopo il Pala Alpitur di Torino comincia a riempirsi alle prime luci del giorno, ma a differenza dell’Unipol non viene colto di sorpresa completamente. Arrivando poche ore prima, la folla non è più dispersa e nessuno lamenta bruciature e sofferenze, le entrate sono organizzate all’interno (al fresco) e il viale concede diversi spiazzi all’ombra. Se durante l’esibizione dei Wolf Alice la folla sembrava meno energica rispetto alla sera prima, è a partire dalle prime note di Sushi che si capisce di essersi sbagliati. Persino Harry Styles è emozionato e borbotta qualcosa di simile al primo speech in italiano, ma deve riprendere l’inglese presto. Qui il cantante è molto più a suo agio rispetto alla sera prima, interagisce molto di più coi fans e regala persino un divertente aneddoto su come confonda le parole simili in italiano e faccia spesso brutte figure. Come a Bologna, anche qui il cantante intona le prime note di Se Telefonando, ma lascia cantare il pubblico fino alla fine del ritornello e poi dice emozionato che Mina è la sua preferita. Anche Torino ottiene Medicine, non l’ha dovuta sudare come la folla di Bologna, e il cantante dice felicemente di non veder l’ora di tornare in città. Tra una canzone e l’altra ritenta qualche frase, un’altra che gli piace molto è l’espressione “sciogliere il nodo”. A questa tappa ci sono alcuni dei suoi più cari amici nel pubblico, primo fra tutti Alessandro Michele (direttore creativo di Gucci), perciò è una data speciale. Per molte fan è il “final show”, la maggior parte delle più grandi è riuscita a seguirlo a più tappe andando anche all’estero e chiude con questa data il suo piccolo tour nella consapevolezza che per godere di nuovo della compagnia rasserenante di Harry Styles passeranno anni. All’uscita da Torino si respira il sapore del ritorno da un lungo viaggio, quello che ha portato persone da tutte le regioni e da tutto il mondo (ci sono tra la folla americani, spagnoli, tedeschi…) a riunirsi in due ore che celebrano l’amore e la libertà. Nessuno vuole tornare nel mondo reale e nessuno vuole che Harry Styles, come un moderno Peter Pan, voli via. Eppure, dopo poche ore è già a Fiumicino, pronto per atterrare a Madrid e a lasciarsi alle spalle l’Italia, per rivederla chissà tra quanti anni: “and it’s just another day”.

Giulia Scolari
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