The Ballad of Darren, il nono album dei Blur, è arrivato quasi a sorpresa dopo otto anni dal precedente lavoro in studio e ci ha restituito un gruppo in gran forma, ma soprattutto un disco che sa raccontare il tempo che passa senza restare ancorato ad un eterno presente da classifica.
Damon Albarn, si comincia per forza da lui e non per il mero ordina alfabetico, è di sicuro uno degli artisti inglesi più influenti del secondo 900 e non solo. Probabilmente sulle prime battute potrebbe aver sofferto la guerra delle hit con i fratelli Gallagher, ma più passa il tempo e più riuesce a stagliarsi come una figura di assoluto rilievo nel panorama musicale non solo inglese ma mondiale.
Proprio durante uno dei suoi progetti alternativi, che riescono a mettere a frutto la sua duttilità creativa, il buon Damon ha cominciato a buttar giù l’ossatura dei brani che sarebbero andati a comporre The Ballad of Darren. Album che se musicalmente ricorda alcuni dei lavori dell’Albarn solista, è decisamente un disco che poteva uscire solo da sessioni di studio in band. The Narcissist e Barbaric sono di certo i brani che più strizzano l’occhio alla classifica ed ai passaggi radiofonici, ma il disco nella sua interezza riesce ad accompagnare l’ascoltatore in un percorso fatto di emozioni sussurrate e di riflessioni cucite su melodie essenziali, come essenziale è il tempo di qualità che ricercano Albarn e soci. Lo stesso frontman ha dichiarato in un’intervista che il disco è piano di canzoni suggestive, a volte commoventi “perché così è la vita”.
A 55 anni non si può scrivere un’altra Girls and Boys o una song2, si è per forza di cose attirati e concentrati su altre tematiche. Per questo l’ultimo disco dei Blur non è un album sull’eterno presente del britrock bensì un diario di viaggio in cui ogni pagina è una battaglia con quello che ci si lascia alle spalle: persone, amori, amicizie e sugli orizzonti sempre meno lontani che ci si trova davanti.
Già dal titolo c’è un richiamo alla storia della band, giacché probabilmente il Darren citato è “Smoggy” Evans, guardia del corpo di lunga data della band che fece anche finta di essere uno di loro sul palco del Festival di Sanremo nel 1966 (su questo episodio vi invitiamo a cercare le surreali motivazioni. Fatto sta che il disco, nato probabilmente in una stanza di Montreal con vista sul grande murales che raffigura Leonard Cohen, racconta di separazioni, di rotture, di perdite e di ricerca di un luogo dell’anima dove rifugiarsi, vedi alla voce The Everglades (For Leonard) o anche Avalon.
“Ho guardato nella mia vita e l’unica cosa che ho visto è che non tornerai”, il disco si apre in modo chiarissimo, e senza avere le liriche a portata di mano probabilmente ci si perde gran parte del valore di questa ultima uscita della band di Colchester. I testi, infatti, risultano essere mappa fondamentale in questo percorso di vita racchiuso in 36 minuti. Un breakup record a tutti gli effetti ma in senso molto ampio. Perché ci sono le relazioni amorose, quelle amicali. Il riunirsi di una band che più volte per evitare di disintegrarsi completamente ha dovuto sciogliere le fila per qualche anno salvo poi ritrovarsi sempre affiatati in studio, come dimostra questo disco. Tutto questo parla solo di una cosa, del crescere, del cercare di restare uniti nonostante le differenze che affiorano con gli anni, e quando questo non è possibile impegnarsi a fondo per limitare i danni e non farsi più male del dovuto.
Crescere è doloroso, ma è l’unico modo che conosciamo per arrivare in fondo al viaggio, sembra essere questo il mood sottostante a tutto il disco la cui produzione è stata affidata a James Ford, già deus ex machina dietro gli album degli Arctic Monkeys. Non a caso tra le due band sono fioccati complimenti e reciproci attestati di stima. La felicità è tale solo se condivisa, per questo all’interno di una band è più facile affrontare il dolore che inizialmente porta a chiudersi in sé stessi. I Blur con The Ballad of Darren non nascondono le ferite, anzi, cercano il modo di parlarne e di andare avanti, per questo motivo The Ballad of Darren risulta essere uno dei lavori più riusciti della loro seconda vita.
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