L.A. Times, l’ultimo racconto dei Travis tra Glasgow e Los Angeles [Recensione]

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L.A. Times è il decimo album in studio della band di Glasgow. Il suo frontman Fran Healey lo ha definito “L’album più personale dei Travis dai tempi di The Man Who”.

Prodotto da Tony Hoffer (Air, Beck, Phoenix), L.A. Times è stato scritto da Fran Healy nel suo studio ai margini di Skid Row, Los Angeles, la città dove ha vissuto negli ultimi dieci anni. Vivere nei pressi di Los Angeles ha in qualche modo messo in connesione Fran Healy con artisti come Chris Martin, ma non solo. Proprio l’amicizia con il frontman dei Coldplay è stata importante per la gestazione di questo album. Lo stesso Healey ha raccontato di come abbia chiuso uno dei singoli del disco Raze the bar proprio insieme a Martin:

Ho chiamato Chris, stavo avendo un momento di ‘non so come sistemare il disco’. L’avevo ascoltato troppo. Avevo bisogno di orecchie nuove, così ho chiamato Chris, abbiamo guidato fino alla Pacific Coast Highway e l’abbiamo ascoltato. Aveva un sacco di commenti da fare e ha scelto quella canzone in particolare. Diceva: ‘Oh mio Dio, è fottutamente fantastica’. Così siamo tornati a casa e lui è andato al pianoforte e ha iniziato a suonarla. Io gli ho detto: “Dovresti cantarci sopra”. E lui: “Sì, canterò, ma dovresti far cantare anche altre persone”. Così ho chiamato Brandon (Flowers leader dei Killerse lui mi ha detto: “Certo”.

La forza dei Travis è, anche, nel loro restare uguali a sé stessi pur attraversando le diverse epoche musicali che li hanno visti sempre protagonisti. Sin dalla fondazione la band è rimasta la stessa e ha saputo scrivere e riscrivere musica fondandosi su un imprinting sempre riconoscibile. Prima di tutto la voce del loro cantante ma anche la sapiente costruzione di melodie e liriche sempre permeate di malinconia senza mai scadere nella futile nostalgia.

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In questo senso L.A. Times segue la stessa scia dei loro album più riusciti. Da Glasgow a Los Angeles, passando per New York i Travis sanno essere musicisti cittadini del mondo. Naked in New York City è l’ennesima dimostrazione della versatilità compositiva della band. Healy ritiene New York la sua città preferita, poiché ti offre la libertà di essere ciò che vuoi, ma le persone, a suo dire, si preoccupano ancora degli altri. “…and New York’s a piece of me now” è il verso che conferma questa compenetrazione non solo musicale.

Non solo amore ma anche conflitto, non a caso Los Angeles è stata scelta come punto focale di questo album perché riesce ad essere il luogo, non solo fisico, in cui le contraddizioni si presentano molto prima che in altri luoghi del mondo. Un luogo, insomma, dove si può toccare con mano l’infinitamente bello ma anche il più deprecabile dei lati negativi della società. Dove si può correre veloci nel futuro ma allo stesso tempo trovare salde radici nelle proprie tradizioni. A fare da contraltare a questo risvolto nordamericano però troviamo sempre Glasgow dove è stata registrata parte dell’album, per una conferma basta guardare alla canzone Bus e al suo video.

Sono passati quasi trentacinque anni da quando i quattro ragazzi di Glasgow si incontrarono alla School of art formando i Travis, da allora molte cose sono cambiate e moltissime sono rimaste le stesse. L.A. Times, già dalla copertina firmata da Stefan Ruiz storico collaboratore della band, segna una continuità pur nel rispetto del tempo che passa. Alle immagini fanno eco le canzoni del disco che sanno restituire l’atmosfera tipica di Healey e soci. Un album che piacerà agli amanti dei Travis e che saprà attirare alla band nuovi estimatori più giovani che forse non hanno vissuto i primi meravigliosi album della band che tornano a risuonare in queste nuove dieci canzoni.

Raffaele Calvanese
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