Amata di Elisa Amoruso, un film senza giudizi sulla maternità: la recensione

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La maternità è un tema pieno di sfumature, spesso indagato dalla settima arte con intensità emotiva e profondità psicologica. Elisa Amoruso ha raccontato in modo personale e senza giudizi questo difficile percorso nel film Amata, presentato all’82ª Mostra del Cinema di Venezia durante le Notti Veneziane delle Giornate degli Autori, al cinema dal 16 ottobre. 
Amata di Elisa Amoruso, un film senza giudizi sulla maternità: la recensione

L’opera “prende spunto da un fatto accaduto a Milano: un neonato lasciato in una culla per la vita con una lettera struggente da parte della madre” e offre uno sguardo crudo e autentico sulla maternità moderna, mostrando le sfide quotidiane di due donne, le cui storie si muovono su due binari paralleli. “Alla nascita di un bimbo il mondo non è mai pronto”, è con questa frase di Wisława Szymborska che si apre il racconto di Nunzia e Maddalena, diverse ma unite da un filo invisibile di speranza e dolore. 

Nunzia, interpretata da Tecla Insolia, è una giovane studentessa fuori sede con tanti sogni e ambizioni. La sua vita universitaria è fatta di sfide e opportunità, ma un evento inaspettato e non pianificato sconvolgere il suo equilibrio: una gravidanza. Le paure di non essere all’altezza per un’esperienza simile e il timore di dover rinunciare ai suoi sogni per conciliare la maternità si insinuano nel suo cuore. Le sue giornate sono costellate da dubbi e solitudini, mentre chi la circonda sembra incapace di comprendere fino in fondo il tumulto interiore che la consuma.

Dall’altra parte di Roma c’è Maddalena, che ha il volto di Miriam Leone, ingegnera edile elegante, immersa nella sicura vita borghese. Apparentemente non le manca nulla, ha un matrimonio solido con Luca (Stefano Accorsi) e una bella casa. Nella sua vita però manca qualcosa che la natura sembra non volerle dare: un figlio. Ogni tentativo di maternità si è infranto contro il muro invisibile di aborti spontanei e dolorosi. Maddalena si sente inadeguata alla società e schiava di un sogno che le sfugge e la rende spigolosa e arrabbiata. Mentre la pressione sociale aggrava il suo senso di impotenza si apre il percorso dell’adozione.

Amata di Elisa Amoruso, un film senza giudizi sulla maternità: la recensione
La storia di Amata è un intreccio di scelte complicate, di vulnerabilità e forza d’animo, dove la vita mostra la sua imprevedibilità ma anche la sua capacità di unire anime apparentemente distanti. Nunzia e Maddalena ci mostrano come la maternità può essere vissuta in modi diversi, ma la vera sfida è accettare sé stesse, che non deve essere visto come un atto di resa, bensì un gesto di coraggio e consapevolezza. 

Il montaggio parallelo, che si dispiega lungo tutte le sequenze narrative, diventa non solo un espediente tecnico, ma un vero e proprio strumento espositivo. Un lavoro che permette allo spettatore di seguire due storie distinte che, pur mantenendo la loro unicità, si riflettono e si influenzano a vicenda. Il montaggio consente di far emergere il dialogo silenzioso tra le due storie, dove i momenti di tensione e quelli di sollievo si rincorrono in un equilibrio dinamico. Una scelta stilistica che favorisce un ritmo narrativo coinvolgente, che mantiene viva l’attenzione attraverso un percorso emotivo complesso ma coeso. L’intreccio culmina in un punto di equilibrio che bilancia con sensibilità i due estremi, regalando una visione completa e sfaccettata della maternità.

Ottimo il lavoro di Ilaria Bernardini (autrice del romanzo dal quale è stato trasposto il film e sceneggiatrice dello stesso) nel restituire in verità narrativa le testimonianze reali. Ogni scena, ogni dialogo, trasmette l’intensità di un lavoro che va oltre la semplice finzione cinematografica, regalando allo spettatore un’immersione emotiva sincera. Perché non esiste un modo “giusto” o “sbagliato” di vivere la maternità, ma solo un cammino che riflette la storia e le scelte di ogni donna,
 è un’esperienza soggettiva e personale.

Buone le interpretazioni, soprattutto quella di Tecla Insolia, che conferma essere la migliore attrice della sua generazione, in grado di offrire una performance straordinaria nel calarsi nei panni di una giovane donna alle prese con le complesse sfide della maternità. La sua capacità di esprimere emozioni autentiche ha reso la prova intensa, portando sullo schermo le sfumature psicologiche e i conflitti interiori legati a questa esperienza. Sia Insolia che Leone hanno saputo restituire al pubblico una rappresentazione realistica delle difficoltà e contraddizioni che la genitorialità può comportare.

Amata di Elisa Amoruso, un film senza giudizi sulla maternità: la recensione 1

Amata è di forte impatto emotivo, crudo nella sua veridicità senza ricorrere a edulcorazioni o compromessi. Ci mostra la fragilità di una società ossessionata da modelli irraggiungibili e ideali di perfezione spesso distorti, mettendo a nudo la sofferenza di chi si confronta quotidianamente con aspettative sociali impossibili da soddisfare. Il film ci ricorda quanto il confronto costante con tali standard possa lentamente erodere la fiducia in sé stessi, generando insicurezze profonde e un senso di inadeguatezza.

La maternità è una questione spinosa, coinvolge sia chi desidera avere figli sia chi sceglie di non farlo. In entrambi i casi, la società impone pressioni e aspettative che possono trasformare una decisione personale in un problema collettivo o mediatico (come il caso da cui è tratto il film). Le donne si confrontano costantemente con aspettative sociali riguardo l’età “giusta” per diventare madri e con considerazioni trattate in modo esasperato di chi associa la realizzazione femminile alla maternità, rendendo difficile affermare serenamente la propria scelta.

Il punto non è diventare madri o rinunciare alla maternità, ma avere la libertà di scegliere il proprio cammino e assecondare i propri desideri e valori, e questo nel film viene raccontato molto bene. Essere donna è un viaggio silenzioso e profondo, un dialogo continuo con noi stesse. Significa ascoltare la nostra voce interiore, accogliere fragilità e forze come parte di un unico respiro. È riconoscersi in ogni emozione vissuta e in ogni scelta fatta con consapevolezza. Essere donna significa appartenere prima di tutto a sé stesse, rispettando la propria essenza, accogliendo la propria unicità, affermando con forza la propria identità e abbracciando ogni scelta con orgoglio, al di là di ruoli e aspettative imposte.

Isabella Insolia
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