Come tutti i più grandi artisti che si rispettino, Franca Valeri è uscita di scena con l’ultima grande standing ovation. Con il traguardo della triplice cifra aveva ricevuto un riconoscimento speciale ai David di Donatello. Ed è oggi, nel giorno del centenario di Enzo Biagi che ha deciso di andarsene. Lasciandoci un vuoto incolmabile: professionale, artistico e, soprattutto, umano.
Questo è un articolo che non avrei mai pensato di scrivere, almeno non così presto. Perché pochi giorni fa avevamo festeggiato il suo secolo di vita e, di certo, sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non oggi. Perché non si è mai pronti a salutare i giganti, quelli che, in un modo o nell’altro, rimangono scalfiti nel tuo modo di vivere per l’enorme quantità di insegnamenti che ci hanno trasmesso.
«Papà era ebreo. Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse. Fu il momento più brutto della mia vita. Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era morto davvero. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo. E ancora: Per me la giovinezza incominciò il 25 aprile: una giovinezza tardiva. Ma è stata bella. In quell’Italia tutto pareva possibile. E allora non vedevo l’ora che papà tornasse per dirgli che volevo fare l’attrice».
Franca si è spenta intorno alle 7.40 nella sua casa di Roma, circondata dall’affetto della famiglia.
Era nata a Milano il 31 luglio del 1920 e il suo vero cognome era Norsa. Scelse Valeri, come quello d’arte, su consiglio di un’amica e ispirandosi allo scrittore e poeta francese Paul Valéry. Durante la guerra scappò con la madre e nel dopoguerra, contro il volere della famiglia e da autodidatta, iniziò la sua carriera con piccole parti a teatro e poi alla radio.
Alla fine degli anni ’40, con la compagnia del Teatro dei Gobbi, si trasferì a Parigi portando in scena vari spettacoli. Negli anni ’50, quando l’Italia si stava dirigendo verso il Boom Economico, iniziò a lavorare al cinema, esordendo con Federico Fellini in Luci del Varietà, dove interpretava la parte di una coreografa ungherese. Da lì in poi lavorò ad una lunga serie di commedie, accanto a giganti del mondo dello spettacolo come Alberto Sordi e Totò.
Negli anni ’60 venne diretta in alcune commedie a colori, di cui era anche coautrice della sceneggiatura. Durante questo decennio fu una presenza costante del varietà televisivo. Poi, dagli anni ’70 lavorò soprattutto in televisione, firmando come autrice alcune commedie di successo, e anche come doppiatrice.
La notorietà arrivò anche e soprattutto grazie ai suoi personaggi televisivi: la Signorina Snob, la Sora Cecioni o Cesira la Manicure. Nel 2014 si esibì all’Ariston proprio con la Sora Cecioni. Nel 1951 pubblicò per Mondadori Il diario della signorina snob, più tardi, nel 2005, anche il libro Animali e altri attori e nel 2010 un’autobiografia intitolata Bugiarda no, reticente. Appassionata di bel canto, nella sua carriera ha anche curato la regia di numerose opere liriche.
Un’artista geniale, che ha saputo raccontare le donne con un’ironia intelligente e graffiante, capace di far ridere e riflettere nella maniera più intelligente ed arguta che esista. Ci ha insegnato a dire “cretinetti” in un’epoca patriarcale e a pensare da donne libere e indipendenti.
Che eleganza salutarci dopo averci dato la possibilità di celebrarla in vita. Una donna amabile, con uno stile ineguagliabile.
Una donna come Franca Valeri nasce una volta ogni 100 anni.
Da oggi l’arte, l’antifascismo e la storia culturale hanno una protagonista in meno in quest’Italia che arranca. Tocca a noi non dimenticarla e portarla oltre il tempo.
Arrivederci, Signorina Snob!
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1 commento su “Franca Valeri, 100 anni prima di salutarci. Che eleganza!”
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