Dopo quasi venti anni dalla morte di Benedetto Craxi, da tutti conosciuto come Bettino, il regista Gianni Amelio si avventura in un racconto degli ultimi momenti vissuti dal leader socialista, interpretato da un magistrale Pierfrancesco Favino, nella città di Hammamet.
Un soggetto certamente non facile da mettere a fuoco quello del presidente Craxi, uno degli uomini politici più importanti per la Repubblica italiana oltre ad essere stato il primo socialista “Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Una figura controversa e centrale nella storia politica italiana
Grande innovatore e rivoluzionario del linguaggio e della tradizione politica italiana, ma allo stesso tempo simbolo di una politica malata e corrotta, fatta di tangenti e di finanziamenti illeciti. Fu proprio lo scandalo Tangentopoli che spinse il leader a rifugiarsi in Tunisia per scappare della giustizia italiana. La storia di Hammamet, però, inizia qualche anno prima con il 45esimo congresso del Partito Socialista, quello del rilancio del riformismo e della sesta elezione di Craxi come Segretario, con percentuali bulgare e l’internazionale in sottofondo.
Una scenografia fedele alla realtà quella delle prime scene. Il regista sin dai primi minuti del film pone l’attenzione su Vincenzo Balzamo (Giuseppe Cederna), un compagno onesto e devoto che prova a mettere in guardia il leader sui rischi che corre il partito a causa del sistema di tangenti messo in piedi. Craxi però non ne vuole sapere.
Ad Hammamet troviamo, invece, un Craxi ormai malato e stanco, ma ancora perfettamente in grado di esercitare le sue abilità politiche e carismatiche, circondato dall’amore – a volte quasi ossessivo e sottomesso – della figlia Anita (alias Stefania) interpretata da Livia Rossi e da una moglie (Silvia Cohen) totalmente assente. Nonostante Favino attiri su di sé tutti gli occhi del pubblico, la sua immensa bravura non basta davanti ai personaggi di Anita e di Fausto (Luca Filippi), forse troppo presenti e troppo fastidiosi per via di una recitazione piuttosto ricca di enfasi.
Nel film non entra la politica se non per il dialogo tra Craxi e un anonimo “avversario” politico
interpretato da Renato Carpentieri, che in poche scene duetta armoniosamente con Favino restituendo una dimensione politica al racconto e interrompendo la monotonia. In ancor meno battute Claudia Gerini, una storica amante del presidente – ma che è l’amante di tutti gli uomini potenti – riesce ad esprimere appieno il suo personaggio di una donna innamorata di un uomo che ormai non c’è più.
Purtroppo la presenza di alcuni buchi all’interno della trama non permette al pubblico di appassionarsi e immedesimarsi nelle vicende dei personaggi, dal momento che questa appare fumosa e ambigua, ma allo stesso tempo inaspettatamente ciclica.
Molto particolare la scelta di inserire una scena surreale e onirica, in cui un attimo prima siamo sul Duomo di Milano e un attimo dopo davanti al palco di club con uno spettacolo di varietà, che assume le sembianze del Club Silencio in Mulholland Drive. Una scena che forse vuole evidenziare e far notare il cambio di società, lo stacco tra la Prima e la Seconda Repubblica, un cambiamento che non ha travolto solo la politica, ma anche e, forse soprattutto, la televisione.
Hammamet sembra voler raccontare la solitudine e il silenzio che circonda il Presidente Craxi negli ultimi mesi della sua vita
quasi a citazione delle famose pause craxiane, lasciando però nello spettatore un senso di vuoto e inquietudine che a lungo andare diventa disagio. La storia di Craxi diventa il pretesto per raccontare la storia di un uomo che ha perso ciò che lo definiva nella società, che diventa un uomo qualunque contro la sua volontà e come tale non viene mai nominato nell’intero film. Ma Craxi non è un nome che si dimentica semplicemente non nominandolo mai.
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