Anthony Hopkins e Jonathan Pryce sono rispettivamente Joseph Ratzinger e Jorge Bergoglio: I Due Papi. Due interpretazioni oniriche, ma la sceneggiatura del film del regista Fernando Meirelles lascia a desiderare
Una telefonata in cui chiede un biglietto per Lampedusa. Inizia così I Due Papi – il film disponibile nel catalogo Netflix – con Papa Francesco girato di spalle intento a parlare con il centralino di un’agenzia di viaggi per prenotare un volo aereo. La pellicola prosegue tornando indietro, arriva al 2005, quando il mondo viene a conoscenza della morte di Papa Giovanni Paolo II.
Ed è durante i giorni del Conclave che Ratzinger e Bergoglio fanno il primo incontro sulle note di Dancing Qeen degli Abba. Quella che segue è un’affascinante ricreazione quasi documentaristica che descrive in dettaglio il processo di quando un Papa viene eletto. Deciso che il nuovo Vescovo di Roma è “il naturale successore di Wojtyla”, ovvero Ratzinger, inizia la fase che ci porta a conoscenza dei (presumibilmente) reali caratteri e pensieri dottrinali degli ultimi due leader ecclesiastici.
Siamo testimoni di uno sviluppo del rapporto tra due personalità completamente opposte, ma che fanno parte dello stesso mondo.
Da una parte abbiamo Ratzinger (Anthony Hopkins), un uomo rigido e conservatore, amante della solitudine e della lingua latina. Dall’altra abbiamo Bergoglio (Jonathan Pryce), un uomo pop e progressista, amante del tango e del contatto con la gente. Entrambi però condividono il titolo di “primo” o “primo dopo”: ad esempio Papa Benedetto XVI è stato il primo a dimettersi dopo il 1415, mentre Papa Francesco è il primo Pontefice Sudamericano della storia. Tuttavia, il film (ahimé) lascia completamente perdere questi dettagli storici.
Infatti lo sceneggiatore Anthony McCarten – scrittore e giornalista che ha firmato la sceneggiatura di Bohemian Rhapsody – racconta due figure che si raccontano il loro passato – o meglio, che Bergoglio racconta la sua esperienza e Ratzinger ascolta – e che scherzano ironicamente su ciò che grossomodo già sappiamo degli eventuali percorsi che i due uomini prenderanno. Nonostante assistiamo a delle discussioni sulle responsabilità clericali, sappiamo benissimo che Bergoglio non firmerà mai le sue dimissioni da Cardinale e che Ratzinger non continuerà il suo percorso da Papa.
L’opera cinematograficasi si concentra principalmente sullo sviluppo del rapporto di Bergoglio con Ratzinger, sullo scontro, a tratti ironico, tra due punti di vista agli antipodi, lasciando da parte i crimini finanziari e lo scandalo degli abusi sui minori della Chiesa cattolica, lievemente citati. I Due Papi passa da una scena all’altra usando un jazz lounge tipico del cinema anni ’60, abbandonando la leggerezza data dalla musica degli ABBA rivolgendosi a lezioni dialogiche sullo stato didattico della teologia cattolica.
Il film sottolinea il fatto che il dogmatismo di Ratzinger, la cui elezione era apparsa come una sorta di ritorno alle origini, quel periodo papale fatto si sfarzo e riverenze, sia fallito per consegnare il posto ad un uomo genuino, del popolo, uno che ascolta i Beatles e parla delle disuguaglianze economiche.
I Due Papi, nonostante includa flashback interessanti delle interazioni ambigue moralmente di Bergoglio con la dittatura militare argentina degli anni ’70, si impegna a seguire una linea più generale piuttosto che esporre delle verità nascoste che, sicuramente avrebbero fatto infuriare il Vaticano, ma avrebbero portato lo spettatore a scoprire qualcosa di nuovo. E invece Bergoglio esce fuori come lo conosciamo: un simpatico “vecchietto” dal cuore umano, moderno e con la voglia di modificare un’istituzione ancora obsoleta; mentre su Ratzinger c’è stata un’operazione riabilitativa – passatemi il termine – dopo i tumulti che hanno segnato il suo mandato, facendolo emergere come un ecclesiastico attaccato si agli eccessi del passato, ma anche uno aperto al cambiamento proposto da Papa Francesco.
Ma i due papi sono veramente così? Che cos’è successo alla corruzione vaticana? Come è stata gestita la fase dello scandalo di abuso di minori? Sono interrogativi che rimangono irrisolti e fungono da materia strumentale per introdurci nella storia privata di due uomini con visioni diverse che diventano amici.
Quello che sicuramente apprezzo è il tratto umoristico che viene dato a I Due Papi:
Li vediamo non solo parlare di Dio e religione, ma anche di musica, sport e amore, li vediamo mangiare pizza e bere aranciata, tifare Argentina e Germania durante la finale mondiale di calcio, scherzare, ridere e discutere. Inoltre Fernando Meirelles impreziosisce le conversazioni tra i due con inquadrature pseudo-improvvisate e instabili; inclinazioni repentine e zoom a scatto enfatici; montaggi audiovisivi di notizie giornalistiche archivistiche. Interessante anche la scelta dell’uso efficace della fotografia in bianco e nero e sequenze proiettate attraverso gli stretti vicoli di Buenos Aires mentre viene descritto il passato di Papa Francesco in Argentina negli anni ’70, un periodo politicamente tumultuoso per il Paese.
Dunque, il regista tenta di aggiungere dinamismo a un film in cui Hopkins e Pryce, due attori eccelsi che sicuramente danno lustro ad una pellicola normale, senza infamia e senza lode – che difficilmente potrebbe competere ai premi più importanti, quali i Golden Globes e gli Oscar in cui la concorrenza è accanita – ma che sono bloccati da dialoghi standard, che mancano di guizzi e che si preoccupano più di trasmettere serenità e fiducia che uscire fuori dagli schemi e regalare quel “capolavoro” cinematografico che molti aspettavano.
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