E’ finalmente uscita su Netflix La Casa di Carta 4, la nuova stagione della serie più popolare di lingua non inglese sulla piattaforma streaming
Lo ammetto: ho sempre preferito il cinema alla serialità. Per carità, lo streaming è una rivoluzione, una conquista. Ma nulla in confronto alla bellezza del cinema: il buio, il silenzio, l’adrenalina, i dettagli, la concentrazione della sala, l’audio, la grandezza delle immagini. E poi i sospiri, i commenti sospesi, le risate, i pianti. Il cinema è magia. E queste sensazioni non le cambio con niente e nessuno. Tuttavia, questa quarantena mi ha avvicinata alle serie tv più di quanto immaginassi.
Mi hanno detto “stai lontana da La Casa di Carta, crea dipendenza”. Ed io da dove potevo mai iniziare? Ovviamente, da La Casa di Carta. Avevo rimandato l’appuntamento con la serie spagnola per mesi, nonostante sia particolarmente sensibile ai temi della Resistenza. Mi aspettavo tutto e non mi aspettavo niente, eppure mi ha coinvolta come pochi lavori sanno fare. Premetto, non è una serie perfetta. Chi mangia pane e cinema percepisce subito le anomalie di scena.
Ma se vi dicessi che queste anomalie, ad un certo punto, spariscono? Non è che vanno via, sia chiaro, ma non sono totalmente rilevanti all’occhio dello spettatore. L’attenzione viene catapultata sulla storia, sui protagonisti e sugli eventi in continua evoluzione. E sta proprio qui il successo de La Casa de Papel: nel suo rendere irrilevanti le imperfezioni, nel rendere perfetto un progetto che non lo è. A coloro che non apprezzano il lavoro, li invito a vederlo in lingua originale, il risultato cambia, eccome se cambia.
Ma veniamo a noi, a La Casa di Carta 4
Per arrivare preparata alla quarta parte ho divorato – letteralmente – le prime tre stagioni. Mi sono lasciata coinvolgere dall’intelligenza del Professore (Alvaro Morte), dallo charme psicopatico di Berlino (Pedro Alonso), dall’irriverenza di Tokyo (Ursula Corbero), dall’ingenuità di Rio (Miguel Herran), dalla fermezza di Nairobi (Alba Flores), dalla risata contagiosa di Denver (Jaime Lorente), dell’empatia di Stoccolma (Esther Acebo).
Ho sofferto con Helsinki (Darko Peric) per la morte di Oslo (Roberto Garcia) e con Denver per quella di Mosca (Paco Tous). Ho apprezzato, più di qualunque altro, il personaggio di Lisbona (Itziar Ituno), alias l’ispettore Raquel Murillo, perché scegliere di lasciare la comfort zone della vecchia vita e seguire i propri sentimenti è un coraggio che non tutti hanno, è un lusso che non tutti si possono permettere. Ed è, più o meno, con queste sensazioni delle passate stagioni che ho iniziato a vedere La Casa di Carta 4, tutta d’un fiato.
Vi avverto, all’interno della recensione non leggerete mai uno spoiler, ma delle semplici considerazioni personali.
Non mi piace chi anticipa gli avvenimenti e non lo farei mai. Dunque, la quarta stagione è, senza dubbio, all’altezza delle precedenti, capace di rivelare profondità nascoste di ogni personaggio, facendoci avvicinare, ancora di più, a questa banda si spregiudicati. La terza parte era iniziata con la pianificazione della più grande rapina mai fatta. L’obiettivo dell’azione del gruppo era quello di salvare Rio, che era stato catturato e torturato dalle autorità.
La stagione si era conclusa con la banda bloccata nella Banca di Spagna, con Nairobi in fin di vita, con il Professore destabilizzato che crede che Lisbona sia morta, e con la dichiarazione di guerra lanciata da Palermo (Rodrigo De La Serna), facendo saltare in aria un blindato della polizia. Dopo questo finale al cardiopalma, La Casa di Carta 4 riprende proprio da dove eravamo rimasti e con Tokyo narratrice degli eventi, sempre lunatica e imprevedibile.
Tra colpi di scena e omaggi all’Italia
Quello che vi posso dire con certezza è che La Casa di Carta 4 non ci lascia senza colpi di scena, in grado di farci evadere totalmente dalla quotidianità. Ci troviamo nel pieno caos delle azioni. Passiamo momenti nel pieno divertimento ad attimi di arrabbiatura. Ridiamo, speriamo, soffriamo insieme a tutto il gruppo, come se anche noi fossimo all’interno della Banca, nel pieno di una rapina intenti a salvare la vita ai nostri compagni.
Il Professore, con l’aiuto di Marsiglia (Luka Peros) cerca in tutti i modi di portare in salvo la sua squadra, farli uscire vivi e con l’oro in mano. Per tutto il tempo, non ho fatto altro che chiedermi: “Come faranno ad uscire salvi dalla Banca? Cosa accadrà tra di loro? Chi romperà gli equilibri? Lisbona tornerà libera? Come faranno a sfuggire dalle grinfie di Alicia Sierra?”. Ed è per questo che considero il creatore della serie Álex Pina uno dei migliori nel settore, capace di dimostrare una maturità registica e stilistica. Certo, per fare il salto di qualità, in una plausibile quinta stagione, deve necessariamente modificare alcune cose: ambientazione, strategie d’azione, dialoghi.
Tuttavia, non lo nego, ho ammirato Pina soprattutto per aver dimostrato qualità nell’omaggiare l’Italia, senza scadere nella banalità. Già con la scelta di far conoscere al mondo la storia dei partigiani con Bella Ciao, quel canto che è un inno di libertà, mi aveva convinto a scegliere di vedere la serie. Nella terza parte, invece, si è addentrato nella nostra cultura, nelle nostre bellezze artistiche di Firenze. Perché proprio la città di Dante ha fatto da sfondo a numerosi flashback dei protagonisti: da piazza del Duomo a piazzale Michelangelo.
A prendersi un posto di rilievo ne La Casa di Carta 4 è anche la musica italiana, in cui lo sceneggiatore ci ha deliziato di una versione unica di Ti Amo di Umberto Tozzi e di quella di Centro di gravità permanente di Franco Battiato, marchiando definitivamente la serie con colori italiani. Ma Pina non omaggia solo la nostra bella terra, ma anche Die Hard e il maestro della pop culture Quentin Tarantino, regalando sfumature d’autore alla serie iberica.
La Casa di Carta 4 offre un ampio spazio ai personaggi di spicco, dimostrando di ramificare la trama sui protagonisti e giocare, con coerenza, tra passato e presente.
Come le precedenti stagioni, è un thriller elegante, uno specchio sul mondo in via di sviluppo, in cui il denaro – in questo caso l’oro – e i sentimenti di fratellanza e amore sono bisogni primari. La serie è un pendolo che oscilla costantemente tra due poli estremi: quello del socialismo e quello del capitalismo in cui, fino alla fine, non sai mai chi avrà la meglio.
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“perché scegliere di lasciare la comfort zone della vecchia vita e seguire i propri sentimenti è un coraggio che non tutti hanno, è un lusso che non tutti si possono permettere”. bella questa considerazione su Lisbona