Presentato al 72° Festival di Cannes, Il Traditore di Marco Bellocchio rappresenterà l’Italia per la corsa ai prossimi Premi Oscar. Il film è una fotografia atipica dei vent’anni più importanti dello Stivale, una cronistoria raccontata da un punto di vista inedito e spiazzante, in un momento storico necessario e in maniera sottile, civile e preziosamente politica
Da sempre considero l’oniricità di Marco Bellocchio un elemento aggiunto al cinema italiano, ancora uno dei pochi registi a fare grande cinema, dove le sue pellicole d’autore sono uno dei punti di riferimento della settima arte. Ne Il Traditore, come fece con Buongiorno, Notte, si addentra con coraggio in un tema socio politico difficile, scegliendo di raccontarlo da un punto di vista particolare e con una chiave di lettura attenta e non pretenziosa.
Il film è un’epopea crime, è un biopic in pieno stile Bellocchio, è visionario e ambizioso, è vivace ed esasperante, riunisce l’orrore e il delirio onirico con frequenti riferimenti storici.
La bravura imponente di Francesco Favino
A rendere il film al limite della perfezione è uno degli attori italiani più bravi, il trasformista per eccellenza Pierfrancesco Favino. La maestosità e l’eleganza dell’attore italiano è impareggiabile, la sua interpretazione è stupefacente, la sua facilità nel passare dal siciliano stretto al portoghese è ammirevole. Un professionista alla sua miglior prestazione di sempre, capace perfino di farmi provare empatia con Tommaso Buscetta, responsabile di 366 arresti.
Una menzione particolare vorrei farla ad un sempre strepitoso Luigi Lo Cascio, nei panni di Totuccio Contorno, amico fraterno di Buscetta. Con Il Traditore Bellocchio si è preso ancora una volta la responsabilità di alzare l’asticella del cinema sociale e, nonostante ricalchi il mondo della criminalità raccontato nelle serie tv, mantiene la sua prospettiva con classe e tocchi ironici.
Assistiamo a una scalata epica e trionfante mentre seguiamo il “viaggio” di Tommaso Buscetta dal 1980 al 2000.
L’opera narra gli ultimi vent’anni del testimone chiave che ha reso possibile il primo “maxi processo” contro la mafia durato dal 1986 al 1992, racconta gli anni più essenziali, non solo per Buscetta, ma per la storia politica italiana. Nelle circa due ore e mezza di film, non c’è un vero guizzo, d’altronde non serve neanche, e non c’è nemmeno la messa in scena di un eroe, come in molti hanno avallato e criticato, ma Bellocchio ha il merito di portare sul grande schermo le fragilità e le debolezze del “Boss dei due mondi”, rendendolo un uomo umano e vulnerabile.
Il Traditore inizia raccontando la Sicilia dei primi anni ’80, aprendosi con una grande festa per Santa Rosalia, un party vecchio stile simil Il Padrino dove le famiglie affiliate a Cosa Nostra stanno discutendo su come controllare il commercio dell’eroina. Successivamente siamo testimoni della guerra tra i Corleonesi e le vecchie famiglie mafiose. Bellocchio non fa sconti alle brutalità della mafia con lunghe sequenze d’azione con sparatorie: oltre 150 omicidi e vendette trasversali alla Scorsese maniera, diffondendo i suoi momenti più macabri per garantire il massimo impatto.
Quando Buscetta viene arrestato dalla polizia brasiliana ed estradato in Italia nel 1984, sceglie di testimoniare contro i suoi nemici, di dissacrare quel “mondo d’onore” al quale faceva parte e non si riconosceva più, al fine di garantire la sicurezza di sua moglie e dei suoi figli, rendendolo un uomo segnato per il resto della sua vita.
Buscetta e Falcone, l’incontro della svolta
«Io non sono un pentito. Io sono un uomo d’onore». Inizia così la confessione lunga 487 pagine di Tommaso Buscetta al magistrato dell’antimafia Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi), generando un legame omo-sociale con una dinamica interessante e inaspettata. Tommaso, mentre descrive la sua defezione come un atto di eroismo in risposta al tradimento corleonese dei vecchi valori morali della mafia, impara a stimare e “amare” – come lui stesso confessa all’amico Totuccio – quel giudice tollerante e comprensivo. Tuttavia, mentre il mafioso muore nel suo letto all’età di 72 anni, Falcone viene fatto esplodere nel 1992. La sequenza della “strage di Capaci” è forte, gelida, Bellocchio ce la fa vivere direttamente, come se stessimo noi dentro quella Fiat Croma bianca.
Il (comico) maxi processo
Le scene in aula durante il “maxi processo” creano uno spettacolo a tratti comico, carnevalesco, un vero teatro dell’assurdo, compreso il (falso) processo Andreotti, accusato di fraternizzare con la mafia. Di fronte ai giudici intimidatori, Buscetta è sicuro, composto e pacato durante tutte le udienze, compresa quella con Riina (Nicola Calì) ed esclusa quella con il leader della DC, in cui fornisce la sua testimonianza in una scatola trasparente a prova di proiettile dando le spalle ai corleonesi, posizionati in gabbie nella parte posteriore della stanza.
La sua testimonianza ha fatto la storia, aprendo la porta ad altri pentiti che hanno trasformato le prove dello Stato in cambio di pene detentive ridotte.
La dignità non è sacralizzante
Nei 148 minuti de Il Traditore, in cui le musiche operistiche di Nicola Piovani completano la strepitosa riuscita della pellicola, Bellocchio non elude le dimensioni politiche della storia, esaminando i legami tra Cosa Nostra e le altre istituzioni scoperchiate da Buscetta. Il film è ampiamente emotivo, non sacralizza, non rende eroica e non glorifica la figura di Buscetta. Il suo personaggio invece è orgoglioso, dignitoso e umanamente crudo, visibile quando il regista ci offre un flashback – che si interrompe bruscamente a metà film durante un dialogo tra Buscetta e Falcone, e riprende chiudendo la sequenza finale – in cui ci racconta attraverso i ricordi di Tommaso, il suo primo omicidio. Bellocchio è come se ci volesse dire che le persone possono cambiare per sempre i loro modi e il loro punto di vista, ma i loro demoni non potranno mai dimenticare ciò che hanno fatto.
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