Lamb, di Valdimar Johansson, uscito in marzo 2022 e distribuito in Italia da Wanted Cinema, è un film unico e molto creativo.
La sua idea parte da una storia piuttosto semplice che, come lo stesso regista Valdimar Jóhannsson fa intendere, è basata su un racconto folkloristico della Scandinavia.
In pratica, Ingvar (Hilmir Snær Guðnason) e Maria (una straordinaria Noomi Rapace), una coppia di pastori, marito e moglie, assiste alla nascita nel proprio gregge di un ibrido, una bambina che ha metà del corpo in forma di pecora e metà del corpo in forma di essere umano.
Questa bambina, a cui decidono di dare il nome di Adda (che intendiamo essere anche il nome della loro figlia prematuramente scomparsa) crea una nuova realtà all’interno della coppia di pastori.
Difatti, se all’inizio del film vedevamo un uomo e una donna sempre più spenti, chiusi in se stessi e quasi incapaci di instaurare anche una banale conversazione, la nascita della bambina con metà corpo di agnello fa riscoprire loro il bello della coppia e soprattutto della famiglia.
All’inizio della pellicola infatti ascoltavamo pochissime battute tra i due. Spicca a titolo di esempio la conversazione sul tema del viaggio nel tempo, dove osserviamo anche come i loro desideri non coincidano: Ingvar vorrebbe viaggiare nel futuro, per superare questa fase, mentre Maria vuole correggere il passato. Invece l’arrivo di questa creatura riesce ad accendere nuovamente e in maniera copiosa la fiamma dell’amore, della passione, della famiglia.
Tuttavia la pecora che ha partorito questa bambina cerca di riprendersi sua figlia, ma la nuova madre, ossia la madre umana, non accetta questa situazione e uccide la rivale.
Chiuso questo primo atto, entra in scena il terzo personaggio umano principale che vedremo in Lamb. Si tratta di Pétur (interpretato da Björn Hlynur Haraldsson), il fratello di Ingvar. Tra l’altro, intendiamo presto che tra Pétur e Maria in passato c’è stata una relazione e, sebbene lei si sia lasciata tutto alle spalle, lui ancora rimpiange con nostalgia il loro passato insieme.
In un primo momento Pétur guarda con ribrezzo alla piccola Adda, spaventato e inorridito dalla sua natura ibrida, tanto da desiderare di ucciderla. Ma proprio sul punto di compiere l’estremo gesto si affeziona alla creatura e alla sua innocenza, capaci di riportare così tanta gioia e serenità in una famiglia praticamente distrutta.
La trama del film è piuttosto semplice e procede su questa linea, senza lesinare alcuni colpi a effetto particolarmente efficaci. E nella sua semplicità sta tutta la sua forza.
Difatti, Lamb è un film che lascia molto spazio alla riflessione dello spettatore, semplifica l’intreccio narrativo offrendo libertà pressoché illimitate all’interpretazione. Non vi sono diretti collegamenti al mondo religioso, in particolare quello cristiano, dove l’agnello racchiude una simbologia molto precisa: la sua importanza all’interno della famiglia dei protagonisti e della stessa pellicola (testimoniata dallo stesso titolo, che non indica nemmeno un articolo, come si trattasse di un’entità unica e indiscutibile) non può essere causale. Tra l’altro, questa famiglia in cui la contadina si chiama Maria sembra dirigere l’attenzione in maniera quasi esplicita alla sfera religiosa.
Tuttavia, è altrettanto facile immaginare tematiche ambientaliste ed ecologiche dietro la trama di Lamb, con questa umanità che arraffa qualcosa che non le appartiene, qualcosa che la natura ha generato, strappandoglielo con la forza e la violenza per poi subire la vendetta della natura stessa.
Possiamo anche immaginare il mondo rappresentato, in cui sono presenti quattro personaggi principali e poche altre figure indistinte e quasi insignificanti, come un microcosmo intermedio tra il nostro mondo e l’aldilà, una sorta di purgatorio in cui affrontare una prova ultraterrena.
O potrebbe essere anche semplicemente uno scenario metaforico per tantissime situazioni, dalla rappresentazione del valore della famiglia, dell’amore e dei legami tra le persone, l’importanza che i bambini possono avere nella nostra vita, la forza della loro innocenza, in particolare nelle persone e nei cuori ormai spenti di determinati individui.
Lamb è un film che nella sua semplicità permette veramente di volgere lo sguardo in tantissime direzioni differenti tutte estremamente valide.
Il primo merito per questo risultato va sicuramente individuato nella regia, molto coraggiosa, basata spesso su inquadrature fisse che analizzano le persone attraverso i luoghi in cui si trovano e che sotto certi aspetti ricordano il tratto del documentario. La fotografia poi è un ottimo supporto, grazie ai panorami assolutamente mozzafiato dell’Islanda, che costituiscono il personaggio in più di questa pellicola.
Ma assolutamente straordinaria è Noomi Rapace, che è riuscita a offrire una interpretazione assolutamente straordinaria, superlativa, talmente brava che a tratti sembra quasi che riesca a comandare le lacrime che le scorrono sul viso. La sua interpretazione si basa in maniera eccelsa sulla perfezione del suo sguardo, a volte spento e abbandonato a un destino di rimpianti e di un passato che non c’è più, a volte sospeso e speranzoso in un futuro inaspettato e spaventosamente gioioso, ma anche sull’efficacia di poche ma potenti battute.
Non sono da meno le interpretazioni del marito Ingvar e del cognato Pétur, ma, senza ironia, anche l’ottima gestione della folta presenza ovina, inclusa la gestione della bambina ibrida, merita un enorme plauso.
Lamb è quindi un film emozionante senza alcun dubbio, non privo di alcuni tratti inquietanti centellinati col contagocce.
Difatti, costantemente, inavvertitamente, siamo portati a vivere uno stato di tensione strisciante, assistendo a una situazione che possiede quasi i tratti del proibito e del sacrilego. Sappiamo che l’atto a cui assistiamo, il peccato che i “genitori adottivi” di Adda compiono, comporterà una pena. Comprendiamo subito che dietro questa malformazione o questo miracolo, a seconda di come lo si vuole leggere, comporterà delle conseguenze. Le inquadrature un po’ furtive che vediamo di tanto in tanto nella pellicola, qualcosa che si agita nella tormenta, un “sussurro” cinematografico mai quieto, sono tutti elementi che annunciano un cataclisma, una catastrofe sul punto di manifestarsi.
Un film che è un thriller, quasi un horror, ma possiede i tratti stilistici del documentario, il tutto attraverso una storia semplice, quasi una fiaba per bambini, sfruttando pochissimi elementi oltre il massimo del loro potenziale. Lamb è sicuramente qualcosa di straordinario, forse qualcosa di unico.
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