In selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma, L’Arminuta tocca corde profonde e intime, ci spinge ad affrontare le nostre paure e a riflettere sui nostri legami. Un’opera riuscita, dettata da un cast in stato di grazia e da una storia che arriva senza riserve.
Tratto dal bestseller vincitore del Premio Campiello 2017 di Donatella Di Pietrantonio – che insieme a Monica Zapelli ha scritto il soggetto e la sceneggiatura del film, mantenendo una continuità stilistica con il romanzo – L’Arminuta è l’opera terza di Giuseppe Bonito – che torna da indagare la famiglia dopo Figli – è un film sulla maternità e sull’adolescenza, dove al centro c’è il tema sul senso di appartenenza.
Ci troviamo nel pieno degli anni Settanta, dove l’Italia era teatro di speranze e incertezze, di tensioni e riflessioni. Ma in un paesino non definito dell’entroterra abruzzese le cose girano in maniera diversa. La vita felice e armoniosa di una ragazzina in un bel quartiere di città con una famiglia borghese diventa all’improvviso solo un remoto ricordo.
L’arminuta – che nel dialetto abruzzese significa la “ritornata” – arriva in una cascina fatiscente di campagna. La ragazzina (Sofia Fiore), della quale non sapremo mai il nome, ha 13 anni quando viene “restituita” alla famiglia biologica, come se fosse un oggetto scaduto. Non lo sa ancora, ma l’attende una vita umile e modesta, che non ha nulla a che fare con la sontuosità benestante vissuta nei primi anni della sua esistenza.
Ad accoglierla ci sono i genitori naturali: la madre (Vanessa Scalera), una donna dallo sguardo dolente, consumata, spenta, sfuggente; ed il padre (Fabrizio Ferracane), un uomo crudo, severo ed esigente, abituato al duro lavoro. Ma la sua famiglia non finisce qui. A riempire la sua quotidianità, ci sono quattro fratelli. Se con il ribelle Vincenzo (Andrea Fuorto) inizia un rapporto incestuoso, è con la sorella minore Adriana (Carlotta de Leonardis) che instaura il classico rapporto di sorellanza, un legame forte e sincero che evolverà nel corso di tutte le sequenze.
Il trasferimento nella nuova casa costringe la ragazzina a scambiare la vita precedente di figlia unica con una casa in cui condivide la camera da letto con quattro fratelli, tra cui tre adolescenti. Il suo richiamo d’aiuto è sottolineato quando cerca di scappare e tornare dalla madre adottiva (Elena Lietti), una donna raffinata e benestante, moglie del cugino del padre, che non riusciva ad avere figli e desiderava una bambina tutta sua. La sua storia viene svelata poco a poco grazie a dei flashback.
Il senso di disorientamento pervade la ragazza: come fa a ritrovarsi senza una spiegazione in un luogo di campagna arcaico e bigotto? Come fa una ragazzina con un’istruzione e un’educazione borghese ad essere costretta a strangolare un pollo vivo a mani nude? Come è arrivata ad essere trapiantata in quella famiglia che non conosceva e che non l’ha voluta? Come mai la sua esistenza sia stata sradicata così improvvisamente?
Il film è un concentrato della tripletta di emozioni umane: amore, desiderio e perdita, dove al centro c’è il classico dualismo tra città ed entroterra, modernità e arcaicità, mare e campagna, ricchezza e povertà, italiano e dialetto. Il tutto esposto perfettamente dalla scelta estetica dei colori: vividi e accesi nel primo caso, spenti e neorealisti nel secondo.
In mezzo a questo trambusto c’è l’arminuta, una sorta di fil rouge che lega i due mondi estremi, una ragazzina capace di sopportare l’inimmaginabile, il cui racconto viene filtrato attraverso una tematica costante per tutta la narrazione: la maternità. Veniamo, in un certo senso, intrappolati nelle tensioni e nelle emozioni prima di una madre e poi dell’altra.
Nonostante sia un film imperfetto, a volte didascalico, resta la rappresentazione di conflitti interni e quel senso di vergogna quando ci si sente inadatti, fuori posto, inadeguati. C’è, inoltre, il timore di sbagliare, la preoccupazione di un futuro incerto. L’impulsività emotiva e la forza del riscatto sono accompagnate dalle musiche della colonna sonora che portano la firma di Carmelo Travia e Giuliano Taviani.
Meraviglioso e perfetto il cast che riesce, in maniera estremamente naturale, a dare anima ad ogni personaggio, regalando interpretazioni non verbali polarizzanti.
A partire da Sofia Fiore, capace di buttarci addosso le sue ansie e le sue paure. Vanessa Scalera è magnetica con i suoi sguardi assenti e malinconici, piegata dal senso del dovere e mortificata come donna. Fabrizio Ferracane eccelle in un ruolo che gli calza a pennello. Elena Eletti offre un’interpretazione compiuta di una donna e madre carica di un dolore incessante. Carlotta De Leonardis è estasiante, soprattutto per la usa giovane età.
L’Arminuta è un pugno emotivo allo stomaco, a tratti urticante, realizzato con un’invisibile intraprendenza e girato con un’intensità impressionabile. Un racconto intenso, intimo e toccante di come una vita può cambiare per sempre in un solo giorno.
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