Malcolm & Marie è il nuovo film originale Netflix. Zendaya e John David Washington sono protagonisti di una storia domestica girata in bianco e nero. Un’opera ideata, prodotta e girata durante il primo lockdown dovuto dalla pandemia di covid-19
Ho sempre trovato affascinanti quei film in cui il dialogo è il vero protagonista. Attrarre lo spettatore con le parole è una delle cose più complesse che abitano la settima arte. Far parlare due personaggi richiede una consapevolezza molto più ampia, bisogna fare attenzione al ritmo, alla psicologia e ai silenzi. Ma il rischio di essere didascalici e risultare un po’ noiosi è sempre elevato.
Sam Levinson ha il coraggio di portare sullo schermo una storia di solo dialogo, con solo due protagonisti e in un solo ambiente dmestico. Una sfida al limite della follia, soprattutto perché siamo abituati a produzioni maestose, con scenografie stravaganti e cast variegato. Una sfida solo in parte vinta con Malcolm & Marie, un film che racconta un rapporto di coppia imperfetto, una storia d’amore tossica, tirata allo stremo, satura dai continui litigi e dalle continue incomprensioni. Un’opera che riverbera intorno all’ego, all’arte e al cinema.
Concepito di nascosto durante la pandemia e girato in sinuoso ed affascinante bianco e nero, Malcolm & Marie ci introduce nelle vite di Malcolm (John David Washington), regista iperbolico egocentrico e Marie (Zendaya), psicotica frustrata che ha ispirato il film dell’uomo appena presentato. La telecamera di Levinson scivola inizialmente avanti e indietro fuori dalla casa, sbirciando attraverso le finestre, mentre la coppia torna a casa tra entusiasmo e risentimento.
Ci troviamo in un’augusta Malibu, è l’una di notte e Malcolm è eufurico per aver presentato il suo film alla première. Di tutt’altro stato d’animo, invece, è Marie. La ragazza è risentita perché Malcolm non l’ha ringraziata durante il suo discorso, nonostante la storia che ha portato in scena è proprio quella della fidanzata, parla della sua vita da tossicodipendente in via di guarigione.
Ma quella è solo la punta dell’icerberg di una coppia frustrata, repressa da un sistema che li soffoca dall’interno. Tra colpi e contraccolpi i due si attaccano, fanno pace e si attaccano di nuovo. Il filo conduttore delle continue liti è la critica e il dibattito di Malcolm su come il suo lavoro viene accolto dalla critica “attraverso una lente politica”. Come uomo di colore, si risente dai giornalisti che lo paragonano a Barry Jenkins, quando considera William Wyler più vicino a lui. “Non tutto quello che faccio è politico solo perché sono nero”, dice.
In lunghi monologhi, Malcolm attacca come i cliché, la politica dell’identità e dell’autenticità, il perbenismo di facciata siano le metriche prevalenti della critica cinematografica, piuttosto che ciò che è sullo schermo. L’uomo è in aperta polemica con i recensori – soprattutto quelli caucasici – che non riescono ad analizzare oggettivamente un film nel quale vi sono protagonisti afroamericani senza metterci di mezzo il razzismo. Una situazione che trascina lui stesso e Marie in un vortice che li inghiottisce poco a poco, annientandoli della retrologia della loro relazione.
Malcolm è Sam Levinson?
E’ impossibile non porsi questa domanda per tutta la durata di Malcolm & Marie. Il cineasta ha dato voce a un personaggio nero, tramutandolo in suo alter ego, descrivendo la questione razziale nel cinema. Ma dentro ci ha messo la psicologia di coppia, le ombre di una relazione apparentemente perfetta all’esterno, i dialoghi folli, a tratti inverosimili, di due personaggi esasperati, la tossicodipendenza e le riflessioni della differenza tra uomo e donna.
L’implicazione autobiografica, che scava in profondità in una relazione imperfetta, è la parte più interessante, insieme all’estasiante fotografia di Marcell Rév che presenta il film come “senza tempo”. L’opera è stato girata in bianco e nero su pellicola Kodak, che gli conferisce un fascino che ricorda i classici romanzi di Hollywood.
La regia sfiora la perfezione: la telecamera regala abilmente inquadrature strette e vicine per catturare l’emozione dei personaggi, ma anche inquadrature ampie che sviscera i sentimenti dei protagonisti e di come Malcolm & Marie si percepiscono a vicenda, come la percezione soggettiva influenza il modo in cui le persone agiscono e reagiscono anche nei momenti privati.
La colonna sonora è efficace quando rimane di sottofondo. La scena musicale più importante è quando Marie suona una canzone di Dionne Warwick per enfatizzare il suo stato d’animo, o quando Malcolm canta insieme a James Brown. L’azione si svolge in una sola notte, la scenografia è ambientata all’interno di una di quelle case eleganti e spaziose in stile moderno, che marca lo status economico della coppia con finestre dal pavimento.
Forse la parte meno interessante di Malcolm & Marie è proprio il rapporto tra i due personaggi. La coppia si divide tra attacchi di rabbia e amore intenso. E, per quanto siano in sintonia i protagonisti, non riescono ad essere empatici fino in fondo, non riescono a coinvolgere il pubblico interamente nella loro storia, è come se tutto ciò che dicono rimbalza perché senza peso. La coppia cade a pezzi proprio davanti ai nostri occhi, ma non riusciamo ad essere pienamente coinvolti.
L’emotività interiore necessaria per trascinare lo spettatore nella narrazione è stata sostituita dall’estetica.
L’epopea emotiva è stata messa in secondo piano dal solenne bianco e nero, dall’appartamento elegante e moderno e dalla bellezza dei protagonisti. Nulla hanno potuto la colonna sonora, i monologhi intensi, gli appassionanti – a loro modo – scontri tra i due a colpi di urla, le sequenze ad alta pressione, le performance forti ed impegnate di Zendaya e Washington.
In una storia come quella di Malcolm & Marie, lo spettatore deve sentire altro, deve percepire che c’è in gioco qualcosa di più alto, deve comprendere l’importanza metafisica della storia. Altrimenti, è solo osservare il perfetto comparto tecnico e l’interpretazione di due grandi interpreti.
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