I Premi Oscar come le “quote rosa”. L’ammissione dell’incapacità educativa

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Nel tentativo di promuovere una maggiore inclusione e diversità a Hollywood, l’Academy ha annunciato che i film in competizione agli Oscar per il miglior film devono soddisfare una serie di criteri applicabili sia davanti alla macchina da presa che dietro le quinte.

Ma stiamo davvero parlando di inclusione oppure è un’ammissione di colpa per una mancanza educativa che negli anni si è estesa a macchia d’olio?

“Incoraggiare una rappresentazione equa dentro e fuori dallo schermo per riflettere meglio la diversità del pubblico che va al cinema”

Con questa motivazione, l’Academy Awards ha presentato i nuovi criteri di selezione che entreranno in vigore a partire dagli Oscar del 2024. Secondo questi, un film che si presenta per ricevere la candidatura alla statuetta più ambita, dovrà rispondere ad almeno due su quattro standard.

Tra i nuovi requisiti richiesti per essere candidato ai premi Oscar si prevede l’appartenenza di almeno uno degli attori protagonisti a minoranze etniche; oppure il 30 per cento del cast dovrà essere composto da due tra le seguenti categorie: donne, LGBTQ+, minoranze e/o disabili.

Potrei star qui a dire come gli analfabeti funzionali stiano tarpando le ali a registi, sceneggiatori e produttori cinematografici. E invece no, il mio obiettivo è cercare lucidamente di fotografare la condizione di disagio culturale che sta invadendo le società e capire perché l’Academy abbia redatto nuovi requisiti.

Negli ultimi anni, il concetto di libertà si è confuso malamente con un senso sovversivo di tutte le regole del dialogo rispettoso del pensiero altrui, che non ha nulla a che fare con derive anarchiche. La violenza e l’arroganza delle proprie idee – portando il padrone di queste a pensare “io sono nel giusto e tu no” -, immesse in uno sterile confine politico ed ideologico che riduce a balorde e stereotipe definizioni qualsiasi forma di espressione non conforme alla nomenclatura del sistema, sono penetrate all’interno di ogni settore.

Come qualsiasi industria, anche quella cinematografica e dello spettacolo ha rivelato tutta la sua incapacità strutturale ed educativa. E adesso, evidentemente, deve espiare le sue colpe.

Senza mai tentare un percorso innovativo e realmente progressista e libero dalle imposizioni di un regime culturale costituito, adesso l’Academy si trova – costretta? – a rivoluzionare un sistema che già era imperfetto di suo, ma che ora rischia di danneggiare e limitare la creatività degli addetti ai lavori. Il fallimento di una società ormai logorata sotto ogni punto di vista è visibile a chiunque. E il brutto è che non sembra esserci un cambiamento di rotta.

Oscar 2016

Un’apatia dovuta ad una stanchezza mentale che pervade le istituzioni da anni e che, invece di educare e, in alcuni casi, rieducare, si preferisce mascherare un malessere comune con requisiti di dubbia efficacia.

Dunque gli Oscar sono diventati come le famigerate “quote rosa” che, in un Paese dove il maschilismo imperante e ossidato difficilmente favorisce la nomina di donne in politica, sono state necessarie – ma davvero? – affinché una donna ricoprisse dei posti di rilievo. Un triste ed angosciante modus operandi dove noi donne siamo viste come “quota”, ovvero come persone da mettere lì perché lo dice la legge o un regolamento e non perché meritevoli di esserci. Siamo giudicate per il cromosoma X e non per il nostro curriculum. Che cosa mortificante!

Non vi sembra che quest’ottica non fa altro che accentuare le discriminazioni che si proponevano di eliminare? Le donne, così come gay e altre minoranze, potrebbero ottenere un posto o un Oscar non perché guadagnato, ma perché loro riservato. Come i posti dell’auto davanti un supermercato.

Tuttavia, non tutti i “mali” vengono per nuocere. Per coscienza e ottimisticamente parlando, devo aggiungere che l’obbligatorietà della rappresentanza della diversità – che ad oggi appare opportuno tutelare, e di questo sono fermamente convinta – a lungo andare si renderebbe sempre meno necessaria. In quanto, istituzionalizzata e appresa, l’inclusione (spero) diventi naturale.

In tal modo sarà superata la discussione sulla diversità, sull’inclusione delle minoranze e sull’ossessione del politically correct, e verrà quindi spontaneamente premiato il merito, a prescindere dal genere, dall’orientamento sessuale, dalla cultura di appartenenza e quant’altro.

Sono fiduciosa!

Isabella Insolia
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