In una società ancora profondamente tradizionalista, il clima di rivoluzione e cambiamento degli anni Sessanta passa attraverso le gesta e la scelta coraggiosa di Eva Kant. È questo il perno centrale di Diabolik e nella storica dicotomia tra bene e male. La nuova fatica dei Manetti Bros. è un ritratto di eleganza minimalista e impeccabile della donna che ha deciso di lavorare accanto al Re del Terrore.
Un tuffo nel passato. Questo è stato per me Diabolik – nelle sale cinematografiche dal 16 dicembre – a quando ero una bambina di 7/8 anni che “rubava” di nascosto i fumetti in camera del padre per scoprire le nuove avventure di quel ladro temibile ed affascinate. Ma ancora di più per ammirare le gesta di quella donna con uno chignon perfetto e biondissimo che non ha paura di niente e nessuno, e che qualche anno dopo capii che si trattava dell’emblema della modernità.
L’adattamento cinematografico delle avventure dei personaggi creati da Angela e Luciana Giussani nel 1962 è una scommessa vinta. Niente effetti speciali, azione minimal e supereroi assenti, un omaggio fedele al “genio del male”, un’opposizione netta al cinecomic che va tanto di moda negli ultimi anni e che ha monopolizzato l’industria cinematografica internazionle.
Ci troviamo alla fine degli anni ’60 a Clerville, uno stato fittizio presumibilmente allocato nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, in particolare nell’attuale dipartimento francese del Var. Facciamo immediatamente l’incontro con Diabolik (Luca Marinelli) che, con abili trucchetti, sfugge ad un inseguimento notturno della polizia. Un ladro senza scrupoli, glaciale, che non trapela la minima emozione. Nessuno conosce la sua identità, “potrebbe essere chiunque”.
Nel frattempo in città arriva la misteriosa ed affascinante ereditiera Eva Kant (Miriam Leone). La donna porta con se un diamante rosa, un gioiello dal valore inestimabile che potrebbe fare gola al ladro più temuto del paese. Proprio mentre tenta di acciuffare l’oggetto, Diabolik non rimane indifferente allo charme seducente di Lady Kant che ha a che fare con il viceministro della Giustizia Giorgio Caron (Alessandro Roja), uomo viscido ed innamorato di Eva.
In tutte queste peripezie l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea) e i suoi uomini faranno di tutto per trovare il Re del Terrore. Ma questa volta Diabolik non “gioca” più da solo, nelle sue molteplici e pericolose avventure può contare sull’aiuto della donna che gli ha rubato il cuore. Un sodalizio che li travolgerà in mille peripezie, dove l’uno ha bisogno dell’altra, perché nessuno può salvarsi da solo.
Trovo profondamente azzeccata la scelta dei Manetti Bros. di dare una visione cinematografica al non-mondo sospeso di Diabolik. Perché contemporaneizzare una storia di fine anni Sessanta? È stato bello vivere sul grande schermo le vicissitudini e gli imprevisti dei classici fumetti delle Giussani.
La contrapposizione perenne tra crimine e legalità si insinua nell’emotività dello spettatore e nei suoi protagonisti.
Luca Marinelli e Miriam Leone sono perfetti. Lui è già un ladro di fama nazionale, sguardo color ghiaccio e intransigente, Eva rappresenta la parte più umana e calda dello scaltro e anaffettivo ladro mascherato: cosa sarebbe Diabolik senza Eva? Lei invece è una donna forte, ma ancora allo stato embrionale che ha bisogno di emozioni e di adrenalina per vivere la sua esistenza: l’entrata in scena dell’attrice sicula con aria altera e portamento da regina è una perla interpretativa.
Quando i due si incontrano esplode una magnetica attrazione tra cambi di identità e colpi da portare a termine. Sarà forse perché entrambi sono nati dalla fervida penna di due donne, ma tra loro c’è assoluta parità criminale. Il loro rapporto, inizialmente sbilanciato a favore di lui, si è evoluto nel corso della storia, diventando assolutamente paritetico nel finale. Eva si presenta come una personalità complessa, ricca di sfaccettature e profondamente contraddittoria, caratteristiche che invece mancano al Re del Terrore, cinico criminale.
Valerio Mastandrea, che fa un lavoro enorme sulla dizione (dimenticatevi il suo romano), un uomo tutto d’un pezzo che impersonifica egregiamente l’indulgenza e la rettitudine della legge. Non è mai riluttante alla legalità, nemmeno quando c’è di mezzo la politica. La caccia a Diabolik per ripristinare l’ordine in città è avvincente ed appassionante. Lo scontro tra due gentiluomini che in fin dei conti si rispettano, probabilmente si stimano. Per dirla alla Freud: Diabolik è l’Es, mentre Ginko è il Super-Io.
Ma la parte che mi è piaciuta di più è la dicotomia tra due donne completamente diverse ma immerse nella stessa epoca degli anni Sessanta.
Da una parte troviamo Elisabeth (Serena Rossi), moglie fedele e remissiva di Diabolik, relegata in una vita piena di apparenze, “seppellita” in una villa lussuosa e ignara dell’uomo che ha accanto. Incarna perfettamente quel trend delle “donne casalinghe e sottomesse” degli anni Cinquanta e che con il passare del tempo si rifugiava in valori conservatori.
Rappresenta dunque il polo opposto del femminismo raffigurato da Eva, una donna che non è certo dolce e docile. Una femminista ante litteram che non concepisce di dover essere al servizio o succube di un uomo. Un personaggio molto più reale che di fantasia. Un esempio di avvenenza, fermezza, eleganza e intelligenza. Decisa nelle sue scelte, simbolo di emancipazione ed eguaglianza, libera ed indipendente.
Eva è l’anti-principessa Disney. Una donna che non ha bisogno di essere salvata da un uomo. Lei si salva benissimo da sola, semmai è proprio la Kant a dover salvare l’uomo di cui si è innamorata al primo sguardo.
Per quanto riguarda la parte tecnica, la sceneggiatura è scritta in un linguaggio semplice, veloce e cronologico, di facile comprensione per un pubblico di ogni età, dettata da un prologo avvincente. Un tocco eccezionale è rappresentato anche dalla colonna sonora firmata da Pivio e Aldo De Scalzi. Le musica calzanti, mai scontate o triviali, che accompagnano le avventure di Diabolik e Lady Kant. Menzione a parte devo farla per le canzoni originali di Manuel Agnelli – La profondità degli abissi e Pam Pum Pam – e quella sequenza iniziale.
La fotografia asettica dai colori fumè gestita da Francesca Amitrano ci immerge completamente nel periodo di fine anni ’60. Stesso discorso va fatto per la scenografia, dove i dettagli sono irreprensibili e curati maniacalmente, dagli interni alle auto, e per i costumi, dove nulla è lasciato al caso. I Manetti Bros. Hanno fatto un lavoro enorme nel non farci riconoscere luoghi come Milano, Bologna e Trieste.
Diabolik restituisce quell’atmosfera meravigliosamente retrò, riportando quella nostalgia del passato. Un omaggio ad una storia senza tempo dai toni teatrali e sgargianti. Chissenefrega se non è un film perfetto o limitante. Un classico è un classico, non ha bisogno di nient’altro.
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Finalmente una recensione di Diabolik non affrettata, accurata e soprattutto linguisticamente e ortograficamente corretta. Sono un’insegnante di italiano e poche volte mi capita di leggere considerazioni di giornalisti, blogger e freelance in un italiano comprensibile. Una boccata d’aria. Complimenti!
P.S. Sono una fruitrice incallita di Diabolik e condivido ogni parola scritta. Permetti di citare l’articolo: “Chissenefrega se non è un film perfetto o limitante. Un classico è un classico, non ha bisogno di nient’altro”.