Nanni Moretti ha confezionato il film per eccellenza, il suo testamento artistico. Il Sol dell’Avvenire racconta della politica, del lutto, dell’amore, della morte, della musica, della poesia, della guerra, del dolore, della disillusione verso il cinema che ha lasciato per strada l’arte per favorire uno spettacolo fine a sé stesso. Un’opera autoreferenziale, ma anche autocritica e autoironica sui complessi e sugli spauracchi di un artista alle battute finali.
Presentato in concorso al Festival di Cannes, Il Sol dell’Avvenire è un meraviglioso manifesto artistico di Nanni Moretti: sincero, nostalgico, ironico, la celebrazione più autentica della sua carriera. Mette in scena tutta la sua vita, con un eccesso di verità da far tremare le gambe. Una riflessione sulla ricerca di un “centro di gravità permanente” che metta ordine nella vita. È incredibile come il regista romano sia sempre in grado di allibirmi con l’autocoscienza e il giudizio di sé, con il coraggio di esporre le sue debolezze e mancanze, così come la spudoratezza delle sue idee.
Tre sono i piani narrativi nei quali Moretti ci catapulta: il primo ci racconta di Giovanni (Nanni Moretti), un regista impegnato nella creazione del suo nuovo “film pessimista sull’amore” mentre è nel pieno di una crisi coniugale con la moglie e produttrice del suo film Paola (Margherita Buy); il secondo è la pellicola che Giovanni sta realizzando, ambientato nel 1956 e che vede il segretario (Silvio Orlando) e la vicesegretaria (Barbara Bobulova) del PCI di una sezione romana alle prese nel capire come reagire alla rivolta di Budapest; il terzo piano ci proietta in una dimensione onirica di Giovanni, nella quale si riflette nella storia d’amore fra due ragazzi, tra musica leggera e cinema.
Nanni Moretti traccia un bilancio lucido e cinico sui mutamenti artistici di un uomo divertente e commovente, anche se sempre fuori posto e con quel filo di malinconia nostalgica che si trascina dietro.
Il regista riversa in Giovanni le sue ossessioni come la cinefilia, le canzoni pop e la figura materna, ma anche e sue idiosincrasie come gli zoccoli, i sabot e la violenza cinematografica gratuita. Giovanni è un sognatore nostalgico, una sorta di incontro tra il felliniano Guido Anselmi di 8 e mezzo e il morettiano Michele Apicella, un personaggio consapevole della metamorfosi della politica e del suo tanto amato cinema, dove in lui emergono l’ideologia “moderata” e utopistica di comunismo alla Marx ed Engels e la ferma opposizione allo streaming.
Il fulcro de Il Sol dell’Avvenire è nell’estasiante sequenza in cui Giovanni tiene in ostaggio il set del film d’azione di un giovane regista che la moglie Paola sta producendo. Dopo un monologo estenuante e i cameo di Corrado Augias, Renzo Piano, Chiara Valerio e l’evocativo Martin Scorsese (che non risponde al telefono), Giovanni si allontana amareggiato e avvilito dal set nel quale si sta girando la grossolana scena di violenza contro cui ha lottato per ore. Appare inizialmente come una resa fallimentare, perché “la gente vuole vedere questo”, ma è soprattutto un gesto che vuole abbracciare la vita ed il cambiamento, aprendosi al nuovo e al reale.
Nanni Moretti porta sul grande schermo una fotografia inebriante del costume italiano, della nevrosi e della psicanalisi, delle canzoni pop e dei dialoghi arguti. Il Sol dell’Avvenire ne restituisce tutte le sfumature del regista, un film pieno zeppo di frasi memorabili, battute micidiali e sequenze leggendarie. Le scene si succedono in un carosello senza tregua che mescola passato, presente e futuro, ma anche realtà e fantasia, in un flusso continuo di personaggi e situazioni nostalgiche, comiche e drammatiche. Il film accelera, frena, sembra bloccarsi per poi ripartire in impennata. Travolgente.
Un’opera esistenziale sulle possibilità e sui “se”, sulla critica politica, sul comunismo che non c’è mai stato, sulla bellezza del cinema divorato dallo streaming, sull’amore straziante e tenero, sulle seconde opportunità, sulle rivoluzioni, sulla morte e sulla vita. Il Sol dell’Avvenire è una riflessione con sé stessi, un percorso catartico su ciò che abbiamo perduto e dimenticato, ma anche su ciò che vorremmo ricordare nelle nostre vite.
È straordinario come Moretti sia in grado di far ridere, pensare, emozionare, incuriosire, irritare, piangere. Un cortocircuito di pura genialità, un incrocio tra privato e pubblico in grado di riconnetterci con noi stessi. Il Sol dell’Avvenire è il suo film della “maturità”, se di maturità si può parlare, con tutti i suoi slanci, i travagli interiori, le crisi. Ha vinto il cinema.
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