Presentato a Cannes 74, Tre Piani di Nanni Moretti è quanto più di diverso ci si potesse aspettare dal regista italiano. Quello che ci troviamo davanti è, probabilmente, un film che segna una battuta d’arresto di una carriera sempre sopra la media.
Tre Piani è la tredicesima fatica di Nanni Moretti. L’opera, tra le più attese, è stata presentata al 74° Festival di Cannes ed è uscito nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 24 settembre. Il film è un adattamento cinematografico del libro omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo.
Dopo aver vinto la Palma d’Oro nel 2001 con il film La stanza del figlio e dopo essere stato presidente della giuria nel 2012, il regista italiano è tornato nella sua comfort zone di Cannes, ma le aspettative non sono state soddisfatte a pieno. Conoscendo le capacità di Moretti, posso tranquillamente segnalare che il drama comedy non è degno della filmografia di Moretti.
Il film del cineasta romano si discosta dal romanzo di Nevo che, originariamente, era ambientato a Tel Aviv, e si avvicina ad un contesto a noi più familiare: Roma. L’opera, infatti, è ambientata principalmente in un grande condominio borghese romano di Prati, zona Nord della Capitale. Qui siamo immersi nelle vite di tre famiglie che abitano su tre piani diversi di una stessa palazzina.
I tre piani rappresentati metaforicamente, sono le tre istanze della personalità freudiana: Io, Es e Super-Io.
Al piano terra conosciamo Lucio (Riccardo Scamarcio) e Sara (Elena Lietti), genitori premurosi la cui vita è completamente dedita alla figlia Francesca di sette anni che, spesso, è ospite dei vicini di casa Renato (Paolo Graziosi) e Giovanna (Anna Bonaiuto). Una sera, Renato, a cui Francesca è stata affidata, scompare con la bambina per diverse ore. Quando i due tornano, Lucio teme che alla figlia possa essere successo qualcosa di terribile, e la sua paura si trasforma improvvisamente in ossessione.
Al primo piano, invece, troviamo Monica (Alba Rohrwacher), una neomamma alle prese con la genitorialità e la solitudine, visto che il marito Giorgio (Adriano Giannini), ingegnere, è costretto, spesso, a lunghi mesi di assenza dalla propria abitazione per via del lavoro svolto per gran parte all’estero. Monica combatte una battaglia silenziosa contro la paura di diventare un giorno come sua madre mentalmente instabile.
All’ultimo piano, invece, ci sono i giudici Vittorio (Nanni Moretti) e Dora (Margherita Buy). La coppia vive insieme al figlio Andrea (Alessandro Sperduti). Dora, che è un magistrato di successo ed è appagata dal punto di vista professionale, è dilaniata dai continui contrasti tra i due uomini della sua vita. Un dolore dilaniante quando dovrà scegliere da che parte stare, una decisione che la consumerà poco a poco, soprattutto quando si accorge di essere testimone dell’allontanamento del figlio.
Il film si apre con un plot twist di tutto rispetto: un incidente stradale scioccante, una morte e una nascita. La palazzina di un quartiere tranquillo come Prati, improvvisamente, viene stravolta con drammi, ripercussioni personali e legali, atti di pedofilia che si protraggono nell’arco di dieci anni, mentre i bambini crescono, i mariti vanno e vengono e alcuni dei residenti più anziani muoiono.
E’ proprio questa serie di eventi che sconvolgerà la vita degli abitanti di questo condominio romano, cambiandoli radicalmente. Queste circostanze rivelano le loro difficoltà nell’essere genitori, fratelli, zii e vicini di casa, in un mondo in cui la convivenza sembra essere governata dalla paura e dal risentimento, dalle ossessioni e da un barlume di speranza, dove ognuno dei protagonisti sembra estraneo alle dinamiche familiari.
Letta così, la trama è veramente niente male. Peccato che il film si sgretoli via via lungo lo scorrere delle sequenze. E’ una commedia drammatica normale. E’ sbagliato dire che sia brutta, come è sbagliato dire che sia bella. L’unica cosa da dire è che non sembra un lavoro di Nanni Moretti. Non ci sono le accezioni socialiste e filosofiche, ma è più un racconto – mal sviluppato – di tre famiglie borghesi alle prese con le loro difficoltà della vita.
Per tutto il tempo ci aspettiamo che le tre trame, prima o poi, s’incontrino e ci facciano vedere una qualche sinergia. Ma niente di tutto questo. Come se Nanni Moretti abbia voluto prendere spunto da un Woody Allen qualsiasi e cercare di dipingere, con un velo di ironia non troppo velata, tre storie di vita comuni, tra loro parallele.
Peccato che manca totalmente quel dialogo tagliente e fascinoso e quell’umorismo noir che rende una drama comedy memorabile.
Per come è impostata la regia, sembra che siamo di fronte ad una soap opera o una fiction piena di collage di eventi e reazioni melodrammatiche, invece che un film di Nanni Moretti nudo e crudo. La narrazione a tratti è svilente e svuotata, come se non avesse nulla da dire se non denunciare una società chiusa in se stessa, priva di qualsiasi fondamento o collegamento umano. In poche parole, Tre Piani è un dramma borghese corale, dove gli uomini provano a sgretolare il castello di sabbia costruito faticosamente dalle donne.
Un’altra cosa sorprendente è il fatto che il luogo d’azione – il condominio – è slegato dalle storie. Le abitazioni non sono protagoniste, come ci potrebbe suggerire il titolo. È come se Moretti avesse avuto la smania di includere altre location, fallendo notevolmente, soprattutto per come ognuno di questi posti è stato rappresentato: senza stile e senza un incipit di richiamo.
E’ vero, inoltre, che il film è stato girato durante la pandemia, ma è vero anche che le strade di Roma, così spoglie, smorte e tiepide, sono totalmente irreali. Stiamo parlando di una città beatamente caotica, colorata, piena di vita. Perché farla apparire come una Detroit qualunque? E quelle vite grigie e cupe fanno da contorno a scene che spesso si presentano piatte e aride, come se gli attori avessero poco da dire e da esprimere, eppure stiamo parlando di eccellenze del cinema italiano. Ma che comunque, tutti loro, chi più e chi meno, non riescono ad imprimere carattere ai loro personaggi, come se fossero imprigionati in quello stile smorettizzato e privo di ogni caratteristica.
A parte questi lati negativi, pregevole il tentativo di Moretti di approfondire, in qualche modo, la complessità della genitorialità. E’ proprio il tema della genitorialità che rappresenta il vero ed autentico fil rouge che lega le storie delle tre famiglie che popolano l’edificio romano. Tuttavia, è anche in questo contesto che il regista delude ancora. Non riesce a sverzare quella critica sociale a lui – e a noi – tanto cara oppure a portare avanti l’atocoscienza empatica.
L’intento di interrogarsi a fondo su come la vecchia generazione possa tramandare un’eredità in termini di valori etici è degno di nota. Peccato che manca totalmente di lungimiranza morale, di profondità emozionale e ricerca sociale. Il tutto viene narrato con disincanto scostante, quasi freddo, inautentico.
Non sarà sicuramente Tre Piani a farmi stimare di meno Nanni Moretti, d’altronde stiamo parlando sempre di un regista che ci ha abituato a punte di diamante di una cinematografia politica, dedita alla “cosa pubblica”.
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