Si è tenuta a Bologna la prima de La seconda vita, terzo lungometraggio del regista Vito Palmieri e film d’apertura del concorso ItaliaFilmFest del Bari International Film Festival.
A presentare l’opera, sul palco del Cinema Modernissimo, Gian Luca Farinelli, accompagnato dal regista e dell’attrice protagonista, Marianna Fontana. Prodotto da Articolture e Rai Cinema, con il sostegno dell’Emilia Romagna Film Commission, il film fa luce su una tematica complessa e assai problematica da affrontare, a cui il cinema stesso non sempre ha deciso di dedicare spazio: il reinserimento del detenuto nella società. Il coraggioso obiettivo del regista diventa allora quello di disseppellire storie spesso oscurate e che invece meritano di essere raccontate, soprattutto, comprese.
Marianna Fontana è al centro del film e con un’intensa interpretazione veste i panni di Anna, una giovane donna che dopo anni di carcere tenta di reinventare la propria esistenza. Due poli, uno positivo e uno negativo, seguono paralleli il percorso di questa, alle volte ostacolando la sua crescita.
Giovanni Anzaldo interpreta Antonio, figlio del fabbro del paese e si fa figura di una rinnovata speranza. È in lui che Anna riconosce la possibilità di essere nuovamente libera, e quindi, dopo una lunga detenzione, vede una nuova occasione per reinventarsi. Seppur la reclusione sia ormai terminata, pare tuttavia che la sua pena fatichi a dissolversi. A osteggiare la rinascita è allora la condanna morale che Anna non riesce a scrollarsi di dosso. Il personaggio di Marco, interpretato da Lorenzo Gioielli, porta alla luce lo sconfortante destino di molti detenuti dopo la scarcerazione, dove le stesse condanne ormai pagate vengono perpetuate dal chiacchiericcio giudicante della popolazione del paese.
In questo senso, risulta allora interessante prestare particolare attenzione alla scelta dell’ambientazione. Il film, girato nel piccolo comune di Peccioli, ritrae l’apparente bontà e intimità tra gli abitanti, per poi, l’attimo seguente, smontare e svelare il falso buonismo e mettere in luce il pregiudizio presente tra le piccole vie di un’isola felice.
La vita della protagonista prosegue sul filo del rasoio e la delicata regia riesce a lasciare spazio e intimità ad un equilibrio tanto precario. La macchina da presa si muove con uno scopo preciso, a volte lasciando decisamente poco spazio ai protagonisti, portando in primo piano i loro volti, altre, concedendo distanza. In quest’ultima occasione le vetrate degli edifici si pongono come limite tra gli stessi personaggi e la macchina da presa, dove i lineamenti del volto e i silenzi si fanno protagonisti della scena e lasciano allo spettatore il compito di chiudere il cerchio.
La regia si fa allora specchio del credo stesso dell’autore, che riconosce l’importanza di entrare in punta di piedi in un territorio così pungente, e quindi nella storia di Anna, nel film rappresentativa della stessa di molti altri detenuti.
Sul palco del Cinema Modernissimo, Marianna Fontana descrive la protagonista interpretata come un personaggio profondo e ricco di silenzio, sottolineando come la delicatezza del regista diventi per la storia un’arma preziosa per affrontare la tematica del reinserimento.
Un film, questo, costruito nel tempo e frutto di un legame con l’Associazione Cinevasioni, la cui collaborazione ha evidenziato una domanda sempre più urgente riguardante il destino dei detenuti, divenuta poi base di un progetto importante: La seconda vita.
Bologna è uno dei centri più attenti alle problematiche sociali: la stessa Fontana, nel Q&A finale, evidenzia come la casa di produzione bolognese Articolture creda e investa nel cinema indipendente, nonché in un cinema socialmente impegnato e retto da una dichiarazione di umanità. L’impact production diventa uno strumento essenziale nel film: la volontà di portare la realtà dentro la finzione è ben supportata dal lavoro a stretto contatto con le comunità di riferimento. Alcuni detenuti sono infatti stati coinvolti durante le riprese e l’intervento di molteplici figure professionali, come criminologi o mediatori, è stato essenziale alla produzione di un’opera senza veli. A sostegno della causa, ancor prima dell’uscita in sala, il film è stato presentato alle stesse persone in detenzione. Tra le carceri, quello di Bologna, Milano, Bolzano, Trani e altri ancora.
Al termine della visione una domanda rimane in sospeso, la stessa che il produttore Ivan Olgiati pone al pubblico in sala, lasciando loro la possibilità di riflettere: siamo davvero capaci di andare oltre il passato di una persona?
Dal 4 aprile La Seconda Vita è nelle sale italiane; a Bologna è disponibile al cinema Galliera.
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