In uscita su Netflix il 15 febbraio, La legge di Lidia Poët è la nuova serie tv italiana, un racconto in costume sulla prima avvocatessa donna, un personaggio rivoluzionario, dedita alle battaglie volte all’uguaglianza. Abbiamo visto e recensito lo spettacolo in anteprima.
Diretta da Matteo Rovere, La legge di Lidia Poët è a metà strada tra un racconto di una storia vera e un legal drama piuttosto semplicistico, ma capace di catturare l’attenzione di chi lo guarda fin dalle prime battute. Ci troviamo a Torino nel 1883, pochi anni dopo la nascita del Regno d’Italia, quando Lidia Poët (Matilda De Angelis) viene ammessa all’Ordine degli Avvocati, diventando di fatto la prima avvocatessa donna nella storia italiana.
Un percorso che dura poco, dato che vide annullare tutto dalla Corte d’Appello di Torino proprio per la sua volontà di esercitare la professione a tutti gli effetti. Una possibilità negata perché disdicevole per l’epoca che una donna battagliasse in un’aula di tribunale e perché si sosteneva che le donne non potessero praticare l’attività con serenità a causa del ciclo mestruale.
Frasi del tipo, “se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna”, ci fanno comprendere benissimo l’aria che si respirava all’epoca e come le donne erano derise, sminuite, relegata ad una posizione di sfondo alla società, come una sorta di bamboline non pensanti. L’idea che i diritti che appartenevano agli uomini fossero estesi anche alle donne era un qualcosa di impensabile. Era visto scandaloso anche voler imparare a guidare una bicicletta, figuriamoci presenziare in tribunale in qualità di avvocato.
La faccenda accese un intenso dibattito non solo nel nostro paese, ma fu seguito da oltre venti quotidiani italiani i quali sostenevano i ruoli pubblici tenuti da donne. Una decisione, quella della Corte, che poteva segnare qualsiasi cammino, ma non quello di Lidia. La giovane Poët, ragazza brillante, moderna, ostinata, appassionata e desiderosa di far valere le sue competenze e metterle al servizio degli altri, non si arrese ad una società profondamente bigotta e ostracizzante verso il suo sesso.
Da qui parte la storia della miniserie, nella quale Lidia, messa alle spalle al muro da un giudizio ingiustamente maschiocentrico, chiede aiuto al burbero fratello Enrico Poët (Pier Luigi Pasino), anche lui avvocato, il quale, seppur con tutti i dubbi del caso e i contrasti sui diversi punti di vista, si lascia trascinare dalle intuizioni della sorella nei vari casi che li vedono coinvolti. Ad appoggiarla nelle sue battaglie c’è anche il giornalista della Gazzetta Piemontese Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), fratello della moglie di Enrico, Teresa (Sara Lazzaro), che si rivelerà un prezioso alleato.
Nonostante sia una storia realistica, la serie tv non è una biografia, né tantomeno un racconto storico. I creatori Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo, hanno confezionato un prodotto classico e leggero, velatamente ironico, una serie con una struttura verticale che scivola piacevolmente. I sei episodi, seppur slegati tra di loro, con indagini didascaliche e prevedibili, hanno un fil rouge che li unisce: il periodo di forte transizione per le donne e il fermento di una nuova cultura al femminile alle porte, pronta a rovesciare una società maschilista.
La legge di Lidia Poët è sicuramente uno spettacolo concettualmente femminista e godibile. Un progetto accurato: i costumi di scena sono estasianti, realizzati in ogni minimo dettaglio, la fotografia e la scenografia sono magnetiche, la prima gioca sui colori caldi e freddi e la seconda ci rimanda al XiX secolo.
Menzione al cast che vanta alcuni dei migliori attori del panorama italiano come un calzante Eduardo Scarpetta, una convincente Sara Lazzaro, un piacevole Pier Luigi Pasino e un brillante Dario Aita. E poi Matilda De Angelis, la quale ha dato rilievo all’ennesima interpretazione rilevante, perfetta e scintillante nel ruolo della protagonista anticonformista. Un’interpretazione alla quale hanno tenuto testa
Una serie tv che vuole raccontare i tratti di una donna forte, realmente esistita, non stereotipata, attiva nella difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne. Una capace di ribaltare l’opinione pubblica di una Torino ottocentesca in piena trasformazione.
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