Si è svolta a Bologna presso il Cinema Odeon la rassegna cinematografica del MUBI Film Club, con tre proiezioni nelle date 19 novembre, 3 dicembre, 10 dicembre.
Tre colazioni cinefile domenicali, in cui sono stati proiettati alcuni dei titoli di spicco della piattaforma MUBI: There’s Nothing Out There (1991) di Rolfe Kanefsky, Rotting in the Sun (2023) di Sebastiàn Silva, e una doppia proiezione che comprendeva due Western, Strange Way of Life (2023) di Pedro Almodóvar e First Cow (2019) di Kelly Reichardt. Gli incontri sono stati moderati dai critici Eugenia Fattori e Attilio Palmieri, che hanno introdotto ogni pellicola e condotto il q&a post visione. Delle visioni particolari, illuminanti e fuori dall’ordinario, che confermano l’ottimo e unico catalogo di una piattaforma tutta da scoprire.
There’s Nothing Out There
Prima di Scream, un altro film horror, che non ha avuto la stessa fortuna del capolavoro di Wes Craven del 1996, aveva giocato con il concetto di metacinema e con i cliché del genere. È il 1991, quando un giovanissimo regista di nome Rolfe Kanefsky, in pochissimi giorni e con un budget irrisorio, decide di cavalcare il grande boom dell’horror degli anni ’80 e del mercato delle vhs girando There’s nothing out there, che fin dal titolo dichiara la sua natura smaccatamente metanarrativa e parodica. La trama è quanto di più semplice ci possa essere in un horror d’exploitation: un gruppo di ragazzi, giovani e disinibiti, decide di trascorrere le vacanze in una sperduta baita in un bosco, e viene attaccata da un mostro alieno deciso a fecondare le ragazze per far proliferare la sua specie. La grande novità del film, oltre a un interessante discorso sulla sessualità e a un perfetto connubio tra orrore e umorismo, sta nella presenza di un personaggio (Mike) che è un grande appassionato di film horror, e che utilizza le sue conoscenze per anticipare le mosse del mostro e provare a convincere i suoi amici del pericolo a cui stanno andando incontro; tra continui sfondamenti della quarta parete, riferimenti ad altri horror famosi e sequenze che sono l’apoteosi del metacinema (l’incipit in tal senso è esemplare), Kanefski imbastisce un discorso sicuramente più di pancia rispetto a quello più intellettuale che verrà fatto da Scream diversi anni più tardi, ma nondimeno originalissimo per il suo tempo. Nonostante la scarsa ricezione, There’s nothing out there è un cult imperdibile per tutti gli amanti dell’horror, da accompagnare rigorosamente al documentario Copycat del 2015 (anch’esso presente su Mubi) che racconta l’assurda storia dietro la lavorazione del film.
Rotting in the Sun
Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival, a gennaio 2023, Rotting in the Sun è l’ultimo film del regista cileno Sebastián Silva e distribuito da MUBI.
Come per altri suoi lavori, il regista tenta di mettere in scena lati autobiografici attraverso una narrazione incalzante. Nella storia il tema della celebrità è messo in evidenza, non solo tramite la trama quanto attraverso l’intero universo cinematografico dell’autore: Sebastian Silva interpreta infatti se stesso, così come il fratello Juan Andrès Silva, e persino il cane presente nella storia è il vero amico fidato del regista.
L’aspetto ludico, tipico della poetica dell’autore, diventa qui parte essenziale del film. La storia tenta infatti di giocare sull’imprevedibilità della trama, creando legami tra i vari personaggi e proponendo una molteplicità di punti di vista.
La narrazione si apre dal punto di vista di Sebastián intento a leggere un libro intitolato L’inconveniente di essere nati di Emil Cioran. La lettura del libro suggerisce allora già il tipo di caratterizzazione del personaggio. L’aurea che lo circonda è grigia, il tema del suicidio già presente.
Lo spettatore segue Silva in varie ambientazioni, e persino in quelle più avvincenti pare trovarsi chiuso in una bolla di malinconia. Sono, anzi, proprio tali contrasti a sottolinearne la natura negativa.
L’incontro con l’influencer Jordan Firstman segna un contrasto ancora più netto tra le due personalità, opponendo la luce di quest’ultimo al buio che Silva pare portarsi appresso.
Ciò nonostante il film, disponibile su MUBI, svela lentamente come anche tale positività sia allora non altro che una maschera. Il senso di malinconia continua ad aleggiare costante nella narrazione, anche quando è lo stesso Jordan a divenire figura principale. Nella seconda parte del film, infatti, Jordan si fa protagonista impegnato alla ricerca di Silva, sparito nel nulla.
Altro punto di vista interessante è quello di Vera, la donna delle pulizie, complice di un mistero di cui lo spettatore conosce ogni retroscena e il cui sguardo si pone come critica alla superficialità di alcune dinamiche di classe.
Nonostante le tematiche siano complesse, il film tenta di giocare sull’ironia e su un registro comico. In questo modo il lato satirico e cinico dialoga con il lato più intimo ed esistenzialista, e l’uso di droghe alla ricerca di una creatività perduta sottolinea non soltanto il desiderio di riemergere, quanto la voglia di autodistruzione.
Strange Way of Life e First Cow
Strange Way of Life di Pedro Almodovar (in immagine di copertina, courtesy of MUBI) e First Cow di Kelly Reichardt formano un dittico interessante che propone un altro sguardo sul genere western, concentrandosi non tanto su pistole e conti da saldare, ma sugli spazi e su piccole storie intimiste che ribaltano la tipica mascolinità pioniera.
Il primo è un cortometraggio nato dalla collaborazione tra il regista spagnolo e la casa di alta moda francese Saint Laurent, che narra la storia d’amore di due cowboy riuniti dopo venticinque anni e costretti alla resa dei conti del loro rapporto turbolento. Il conflitto emerge rispetto ai ruoli opposti dei due: Jake (Ethan Hawke) è diventato sceriffo, Silva (Pedro Pascal) è ancora un fuorilegge, deciso a proteggere il figlio anche a costo di compromettere il rapporto con l’amore della sua vita. A essere messa in discussione qui è la virilità stereotipata tipica del genere, e con un intento fortemente estetizzante, Almodovar propone come soluzione finale a tutte le contraddizioni del western la possibilità di prendersi semplicemente cura l’uno dell’altro.
First Cow propone un ribaltamento ancora più radicale: scompaiono del tutto i cowboy e gli ambienti classici del genere, per fare spazio alla dimensione ristretta (anche nel formato, un 4:3 radicale per il genere più panoramico che ci sia) dell’idillio di due uomini che trovano conforto in una amicizia tanto atipica quanto potente e disinteressata. Il cuoco Otis e l’immigrato cinese King-Lu, sfruttando la presenza di una mucca di proprietà di un ricco signore locale, mettono in piedi un’attività fortemente redditizia, che si rivelerà una fortuna e successivamente la loro condanna. Il ritmo lento e l’essenzialità della messa in scena permettono allo spettatore di calarsi all’interno di questa storia intima, meno sfacciata rispetto al film precedente, ma non meno innovativa rispetto ai canoni del genere. Una riflessione sull’amicizia come prima cellula sociale e sulle basi del capitalismo americano, raccontata attraverso piccoli rapporti e piccoli gesti.
Scritto da Francesco Paolo Francini e Valentina Vitrani
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