Nosferatu di Robert Eggers: recensione

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Il nome di Robert Eggers è dotato di un potere magnetico, affascinante e tenebroso, grazie a una filmografia ancora non vastissima, ma senza ombra di dubbio di livello estremamente elevato. The VVitch, Lighthouse, The Northman. Tre film che ci hanno immersi in mondi spaventosi, angoscianti, viscerali e sinceri.

Ora accanto al nome di Robert Eggers compare quello di Nosferatu, il Vampiro cinematografico per antonomasia, la rivisitazione di Murnau del Conte Dracula.

Eggers va quindi a toccare un tema come quello del vampirismo, già estremamente trattato, forse anche piuttosto inflazionato dalle numerose love-stories che il cinema dell’ultimo ventennio ci ha offerto, dalla saga di Twilight a quella di Underworld, fino a Dark Shadows e Dracula Untold e chi più ne ha più ne metta. Poteva essere una mossa azzardata. Ma non se ti chiami Robert Eggers.

Il grande regista statunitense si cimenta in un remake che, come affermato da Willem Dafoe poco prima dell’anteprima del film al Cinema Barberini di Roma, non è un remake, ma un’opera originale. E come ogni opera di Eggers, Nosferatu ci fa immergere completamente nel mondo che crea. In questo caso l’Europa centro-orientale di metà Ottocento, a metà strada tra mondo liberale e autoritarismo, tra scienza e superstizione, tra ordine e caos, ragione e paura, vita e morte.

Muoversi su una trama già nota ai più consente a Eggers di approfondire l’universo narrativo di Nosferatu, il mondo che lo genera e che a sua volta ne è generato.

In questo modo possiamo osservare le azioni e ascoltare le parole di Thomas Hutter e Friedrich Harding (due convincenti Nicholas Hoult e Aaron-Taylor Johnson), giovani rampanti che cercano di farsi strada nell’alta borghesia germanica tramite l’impegno nel mondo del lavoro, desiderosi di costruire una famiglia e di vivere appieno una vita che sembra pronta a dare loro tutto quello che desiderano.

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Credit: Courtesy of Focus Features / © 2024 FOCUS FEATURES LL

Tuttavia, osserviamo anche schiudersi le porte di un mondo occulto, macabro, angosciante e stranamente affascinante, fatto di delirio, superstizione, paura ed erotismo quasi necrofilo, rappresentato da una Lily-Rose Depp che concentra su di sé ogni attenzione possibile dello spettatore ogni volta che è inquadrata.

Infine entriamo pienamente in contatto con quel mondo occulto, un mondo che speravamo di aver celato per sempre dietro il velo della conoscenza, della civiltà, del progresso sociale, chiuso nei meandri oscuri e spaventosi di quella che è considerata l’età più buia dell’Europa: il Medioevo. Ma entrare in contatto col famoso e temuto Conte Orlok costringerà a tornare in quegli antri tenebrosi, portando il giovane Thomas a visitare le regioni a est della Boemia, la minacciosa Transilvania, le sue terre di selvaggi e nomadi, priva di strade, priva di città, piena di superstizioni e paure quasi primitive, fino a giungere presso un minaccioso e gotico castello deserto.

La magistrale prova che Bill Skarsgard offre in Nosferatu fa poi il resto. Il giovane attore svedese, figlio di Stellan (Dune, Pirati dei Caraibi, L’ultimo inquisitore, Millennium) e fratello di Alexander (The Northman, Melancholia), regala una prestazione notevole, mostrando una totale interiorizzazione del personaggio in un encomiabile lavoro globale, dallo studio delle mimiche del corpo fino all’impostazione della voce e della pronuncia delle parole, in un inglese sempre perfetto nel contenuto quanto imperfetto nella forma.

La sua figura tra l’altro sarà quasi sempre avvolta dall’ombra, dal mistero, dall’incommensurabilità. Come un dio della morte tornato sulla Terra dopo un periodo di esilio e pronto a riscuotere le vite che gli sono dovute.

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Credit: Courtesy of Focus Features / © 2024 FOCUS FEATURES LLC

Non manca anche il confronto diretto tra superstizione e scienza nei due personaggi del Professor Eberhart Von Franz e del Dottor Sievers, il primo interpretato dal carismatico Willem Dafoe, il secondo da un Ralph Ineson che cresce con il passare dei minuti. Entrambi attori feticci di Eggers, giunti al terzo lavoro con lui, rappresentano i due poli tematici attorno a cui il film ruota, nonché i sicuri pilastri di appoggio quando i personaggi cardine non sono sulla scena.

Nosferatu di Robert Eggers è quindi un film in cui ancora una volta giocano un ruolo fondamentale le prestazioni degli attori. Il regista ha nuovamente le idee molto chiare sul mondo che vuole rappresentare, non importa quanto complesso, profondo e tenebroso esso sia, e la sua lucida visione traccia più che un semplice sentiero per i suoi interpreti. Al resto poi ci pensano loro stessi con prestazioni immense (Skarsgard e Depp sono quasi da storia del cinema).

Tuttavia il vasto arsenale di Robert Eggers non si ferma solo a un cast brillante e ben diretto. La sua fotografia, ancora una volta gestita dal fedele Jarin Blaschke, si conferma ancora una volta come un altro dei suoi punti forti. Non c’è più il gioco di chiaroscuri di The VVitch, il misterioso bianco e nero di Lighthouse o le tonalità fredde e scandinave di The Northman. Qui prevale un prezioso gioco di ombre che si fa sempre più claustrofobico seguendo lo scorrere della trama, fino a quando l’Ombra definitiva del Nosferatu non cala inesorabile sulla sua vittima ultima.

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Il sole del finale è l’unica vera nota di calore, una liberazione che viene ottenuta dopo indicibili sofferenze, come una orribile piaga estirpata per mezzo della fiamma. Per il resto, il film si muove su colori tendenzialmente sempre freddi, sempre angosciosi. E perfino quando delle note di colore si palesano a noi, il volto pallido e gli occhi e i capelli scuri di Lily-Rose Depp li risucchiano come avidi parassiti.

Il completamento del Nosferatu di Eggers è però fornito dall’immagine stessa del vampiro. Abbandoniamo l’idea da teen drama di un essere affascinante e misterioso, bello seppur diabolico, attraente quanto pericoloso. Nosferatu è un mostro e come tale Eggers lo rappresenta.

Stiamo parlando di una creatura abominevole, un essere incapace di morire eppure non più vivo, esistente da secoli, il cui unico nutrimento è il sangue e il cui unico giaciglio è la bara. Il risultato è qualcosa di raccapricciante e perfetto, dotato di eleganza antica come si addice a un conte di tempi dimenticati, alimentato da un istinto, una fame e un eros viscerali e vecchi quanto il mondo. Una forma di esistenza violenta, orribile, famelica, parassitaria.

Le scene dei suoi nutrimenti e del suo epilogo sono delle assolute punte di diamante della rappresentazione cinematografica del vampirismo. Forse era dai tempi del primo Alien di Ridley Scott che l’idea di mostro nel cinema non veniva realizzata con tale dose di originalità, completezza e coerenza.

Nosferatu è un capolavoro di coralità di intenti al servizio dell’opera, capace di regalarci un altro entusiasmante capitolo nella filmografia di Robert Eggers (forse il suo migliore?), nonché un’opera decisamente canonica per il cinema, horror e non solo.

Daniele Carlo
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