La quinta stagione di The Crown – in uscita su Netflix il 9 novembre – descrive uno dei momenti più bassi della storia della monarchia britannica: il divorzio estremamente mediatico tra la principessa Diana e il principe Carlo. Abbiamo visto e recensito in anteprima i nuovi episodi.
Peter Morgan è tornato a raccontare la storia della famiglia reale, umanizzandola, per certi aspetti. Ma questa volta è diverso. La quinta stagione di The Crown porta sullo schermo il decennio più complicato per la monarchia britannica e lo fa esattamente due mesi dopo la morte della Regina Elisabetta II e l’ascesa al trono di Carlo, colui che ha contribuito a far tremare la corona alla fine degli anni ‘90, decennio carico di scandali racchiusi nella definizione di “annus horribilis” gridato con forza e dolore dalla sovrana durante la festa dei suoi quarant’anni di regno.
Siamo nel 1991. John Major è Primo Ministro. Elisabetta II entra inconsapevolmente in un decennio tumultuoso segnato dall’annus horribilis del 1992. Sembra più fragile, ma è ancora inflessibile e rigorosa, spinta dal senso del dovere, ma allo stesso tempo scossa dal ricordo di decisioni passate e da voci che chiedono la sua abdicazione. I drammatici eventi che hanno colpito la corona dal 1991 al 1997 – culminata con la morte della “principessa del popolo”, che non viene raccontata nella quinta stagione -, segnarono in modo netto e profondo la società britannica, gettando i remi per un cambiamento epocale e ponendo le basi per una profonda ed irreversibile crisi costituzionale della Monarchia che passa metaforicamente dalla scelta di mandare in ‘pensione’ il Britannia, l’ultimo yacht reale.
La durabilità della monarchia inglese è una delle sue caratteristiche più ampiamente rimarcate. Tra i grandi regni imperiali dell’Europa antes 1914, solo gli inglesi sopravvivono. Una longevità data soprattutto dalla capacità del Palazzo di creare un contatto con il popolo. Eppure c’è stato un momento in cui il gradimento popolare per la corona era così basso che si è temuto seriamente per la sua sopravvivenza: gli intimi colpi di scena dei loro drammi familiari, i loro amori, le inimicizie, le lotte intestine e vite sessuali sono state un’ombra per secoli, ma sempre risolte.
A far tremare le mura di Buckingham Palace è stato il divorzio tra Carlo e Diana. È risaputo che Diana non era una della ‘cricca di Windsor’, ma un’estranea che entrò rapidamente in conflitto con suo marito e il resto della famiglia. Le ragioni di questo scontro sono note, ma il fatto è che l’immagine pubblica della Principessa del Galles era diversa dagli altri reali, tanto che appariva come più umana, più naturale, una donna del popolo che andava a trovare i ricoverati negli ospedali, che voleva fare shopping e andare al cinema camuffata.
Nella quarta stagione di The Crown ci eravamo lasciati con la crisi del matrimonio tra i principi del Galles e li ritroviamo così, profondamente divisi e in conflitto tra di loro. Nemmeno ‘la seconda luna di miele’ sul Britannia è riuscita a ricucire i rapporti tra Diana (Elizabeth Debicki), sempre più vulnerabile, fragile e sofferente all’interno di una famiglia nella quale si sente un’estranea, e Carlo (Dominic West), soffocato nella sua vita coniugale continua a spingere la madre (Imelda Staunton) ad acconsentire al divorzio.
L’esplosione del sentimento anti-monarchico o, meglio, anti-Carlo, è probabilmente degenerato con lo scandalo “Tampongate”.
Nella serie vengono riproposte le conversazioni private e un po’ cringe di Carlo e Camilla (Olivia Williams) datate 1989, ma pubblicate nel 1993. Morgan aveva già scoperchiato parecchi vasi di Pandora nelle precedenti stagioni, fatti di scandali, tradimenti, pettegolezzi, giocando in modo magnetico tra fiction e realtà, drammatizzando passaggi importati nella storia della vita reale. Ma la crisi della monarchia generata dal tradimento di Carlo, che è diventata una questione mediatica, è il pezzo forte e principale di The Crown, condita dal libro su Diana scritto da Andrew Morton e dall’intervista che Lady D rilascia alla BBC dove viene presentata la controversa figura del giornalista Martin Bashir (Prasanna Puwanarajah) ed il suo raggiro dei confronti di Diana.
In questo contesto si muovono personaggi vicini alla monarchia: il primo ministro conservatore John Major (Jonny Lee Miller), con il quale Carlo intrattiene conversazioni private complottando un modo per far abdicare la madre e salire sul trono; Mohamed Al Fayed (Salim Daw) che, spinto dal desiderio di essere accettato e far parte, in qualche modo, della nobiltà, sfrutta l’immenso patrimonio e il potere che si è guadagnato negli anni da solo per ottenere un posto alla tavola reale per lui e per il figlio Dodi (Khalid Abdalla).
In tutto ciò non vengono tirati indietro i pettegolezzi sul principe Filippo (Jonathan Pryce) – anche se mitigati rispetto alle stagioni precedenti -, annoiato dalla vita di corte, trova in Penelope Knatchbull, la contessa Mountbatten di Birmania, quell’amica intima e “compagna intellettuale” e di calesse di cui aveva bisogno. Tra i momenti più intensi c’è stata una sorta di chiusura del cerchio per quanto riguarda la storia della principessa Margaret (Lesley Manville) con l’amore della sua vita Peter Townsend (Timothy Dalton), la quale è stata la prima ‘vittima’ sacrificale della regina. Un momento di straordinaria tenerezza tra le due sorelle dove a fare l’assist involontario è stata la principessa Anna (Claudia Harrison), la cui storia sentimentale ricalca in qualche modo quella della zia.
Ma mentre Elisabetta II viene descritta come una madre assente e poco interessata alle vite dei figli, sempre dedicata al suo ruolo di sovrana e impegnata nella conservazione tradizionale della casa monarchica, le cose si invertono con il nipote William (Senan West), ritratto come un adolescente triste e malinconico, come se presagisse quelle che sarebbe accaduto di lì a poco. Nella quinta stagione di The Crown, Morgan ci mostra per la prima volta una regina nelle vesti di nonna, affettuosa e premurosa, attenta al benessere dell’erede al trono, con quei tè settimanali le cui chiacchierate hanno avvicinato i due in modo inconfutabile.
La vicenda Britannia, gli Al Fayed, il divorzio tra Diano e Carlo, ‘l’abito della vendetta’, il ‘tampongate’, l’amore tra la principessa e il cardiochirurgo pakistano Khan, gli screzi tra Andrea e Sarah Ferguson, la storia di casa Ipatiev ed Eltisin, l’incendio di Windsor, i tormenti di Margaret, la pacatezza di Major, l’indipendenza di Hong Kong e l’arrivo di Tony Blair sono tutti ingredienti miscelati con cura e che condiscono una pietanza servita in 10 porzioni, ognuna studiata nei minimi dettagli.
Da un punto di vista tecnico, The Crown rimane uno dei migliori drammi che si siano mai visti in tv. La scenografia opulenta non ha eguali, la fotografia è estasiante ed il cast è eccezionale, Elizabeth Debicki regala una performance eccezionale dei panni della principessa Diana, con quegli occhi comunicativi e quelle movenze silenziose che la ricordano così bene da far venire i brividi. Non mi stupirei se vincesse un Emmy o un Globe. Mentre Imelda Stauton scava in profondità, regalandoci un ritratto di una sovrana calma ed inquieta, addolorata e preoccupata, catturando le sue emozioni più intime.
Non c’è stato alcun calo nella qualità della produzione in The Crown 5, il che rende la narrazione ancora più attraente. Nonostante la stagione sia estremamente episodica, gli argomenti sono tutti connessi tra di loro e ci sottolineano non solo come la narrativa rifletta fedelmente i fatti, ma di come possa effettivamente influenzare l’opinione pubblica. Un lavoro che continua a offrire la propria versione dei fatti e che non è un documentario, al di là delle polemiche. Sta a chi la guarda capire – se vuole – dove si posizione la verità, tra pettegolezzi e pura propaganda monarchica.
Alla fine della fiera, la quinta stagione di The Crown riprende la quarta, dove lo spettacolo critica in modo feroce la famiglia reale per la sua ignoranza, caratterizzandola come una cerchia anacronistica, ostinata e devota alla tradizione che li rende degli ‘sciocchi’ fuori dal mondo, colti alla sprovvista dal cambiamento. La regina non è più un’eroina impeccabile, ma immersa nelle crisi esistenziali dei suoi figli.
The Crown 5, con le sue caratteristiche voyeuristiche, analizza la reale natura della monarchia e la sua posizione come pilastro dell’establishment britannico. Osserva, inoltre, che i fallimenti della monarchia britannica possono essere il più delle volte autoinflitti e, così facendo, lo spettacolo è riuscito a consegnarci la sua stagione più elettrizzante e pungente, con quel velo di nostalgia per un paese che dopo settant’anni non ha più la sua The Queen.
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