A 28 anni da Ferie d’Agosto, Paolo Virzì è tornato dietro la macchina da presa per raccontare, ancora una volta in modo dissacrante e satira mordente, i vizi e le virtù di una società decadente. Un altro Ferragosto è un’amara riflessione su un paese alla deriva dal punto di vista morale, sociale, politico, ideologico ed economico.
Il regista livornese si è imposto da anni come il principale erede del più nobile filone della “commedia all’italiana”. Il tono agrodolce si riflette anche in Un altro Ferragosto, l’ultima fatica in cui Virzì tratteggia con divertito disappunto il bozzetto di una società che fruga nella melma del ridicolo e riversa in un inquietante immobilismo dove Ventotene fa da sfondo a vicende storiche che si mischiano con le vite delle famiglie Molino e Mazzalupi.
Nello stesso luogo in cui Sandro Molino (Silvio Orlando) aveva scoperto che sarebbe diventato padre nel 1996, tutta la famiglia si stringe attorno al lui, affetto da una malattia incurabile, e alla moglie Cecilia (Laura Morante), sempre alla ricerca del “grande amore”; a darle un barlume di speranza è Roberto (Gigio Alberti), il quale la metterà di fronte all’illusione della possibilità di un amore passionale.
L’ex giornalista de L’Unità è stanco e sfinito ma non rinuncia all’ultimo gesto di profonda generosità verso la comunità: scrive una lettera a Ursula von der Leyen per ricordare all’Europa l’importanza di Ventotene, luogo di confino per intellettuali e politici dissidenti del regime fascista. Un gesto di resistenza politica e intellettuale di enorme valore storico, oltre che di congiunzione tra il passato e presente.
L’idea di riunire amici e parenti nella casa dell’isola è stata di Altiero Molino (Andrea Carpenzano), un giovane e ricco imprenditore che ha avuto fortuna ideando un’app di messaggistica. Il ragazzo è determinato nel riallacciare i rapporti con il padre Sandro, con il quale in passato ha avuto screzi e incomprensioni. Ad accompagnarlo è il marito Noah, un modello vittima di omofobia.
Ventotene però è in fermento per le nozze dell’influencer Sabrina Mazzalupi (Anna Ferraioli Ravel) che si appresta a diventare moglie di Cesare (Vinicio Marchioni), un ex paracadutista senza arte né parte che strizza l’occhio all’estrema destra. Al matrimonio sono attesi tutti, tranne Ruggero Mazzalupi e suo cognato Marcello, i quali sono scomparsi proprio come i loro interpreti originari Ennio Fantastichini e Piero Natoli.
Non mancheranno però tante altre “vecchie” conoscenze come la zia Marisa (Sabrina Ferilli), determinata a boicottare il matrimonio della nipote perché certa che il fidanzato non la ami, e suo marito Pierluigi Nardi Masciulli (Christian De Sica), un ingegnere apolitico con problemi finanziari. Ad arricchire le dinamiche è l’arrivo Daniela (Emanuela Fanelli), ex moglie di Cesare.
Molino e Mazzalupi sono la rappresentazione incrociata delle due facce della società italiana. I primi si sentono portavoce della Sinistra intellettuale e idealista; i secondi sono burini e hanno idee chiaramente tendenti a Destra. La sceneggiatura firmata dalla stesso Virzì insieme al fratello Carlo e Francesco Bruni mette entrambe le famiglie l’una contro l’altra. Una frizione tendente al grottesco, in cui i personaggi sono bloccati nelle loro posizioni di non-cambiamento.
Virzì intesse un dialogo amaro tra ieri (Ferie d’Agosto) e oggi (Un altro Ferragosto). È abile e lucido nell’intercettare le fratture insite nella società attraversata dal ventennio berlusconiano, dall’affermazione del populismo qualunquista e dalla profonda crisi della sinistra. Il regista livornese si fa promotore di un’attenta e accurata analisi sociologica, affiancata a uno studio del tempo che passa, raccontando le nuove mode e i nuovi costumi della modernità, il cui finale sospeso incarna il presente che ci abita.
Le parabole discendenti dei personaggi, spesso schiavi di un successo mai raggiunto, che vanno incontro imperscrutabili al loro catastrofico destino, sono raccontate da attori di razza. Christian De Sica tira fuori probabilmente la performance meglio riuscita della sua carriera. Silvio Orlando è perfetto nel descrivere l’impietosa involuzione della classe intellettuale odierna.
E che dire, invece, dell’ennesima prova da maestra di Emanuela Fanelli, il suo monologo-verità apocalittico sul finale vale tutto il film: “La gente fa schifo, apposta c’arriva addosso solo la merda. Pure il virus, la guerra, la crisi del caldo, sti cazzo de duemila gradi che fra un po’ annamo a foco, ce l’ha mannati nostro signore gesucristo pe sterminacce tutti, perché ce odia, je stamo sul cazzo e manco poco, e c’ha ragione. Stamo a morì. Stamo a morì e annamo in giro a salva’ le balene. Ma chi se le incula le balene. È finita. Avemo rovinato tutto perché famo cacare. Nessuno vuole bene a nessuno, ognuno je frega solo delle cazzatine sue. Dovemo morì tutti, se lo meritamo. Dovemo morì tutti, e pure male. Questo è quello che penso io. Voi fate un po’ come ve pare, sai che me frega a me”.
Un altro Ferragosto centra l’obiettivo di satireggiare alcuni comportamenti della società italiana, mostrando personaggi viscerali, scoraggianti e sconfitti, individui disperati senza spina dorsale, inseriti in un contesto senza speranza.
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