Clint Eastwood non delude mai: è suo l’ultimo successo cinematografico dal titolo «Richard Jewell» e datato 16 Gennaio 2020. Il film, ambientato negli USA, è basato sulla storia di vita vera dell’omonimo protagonista e sul processo sociale che ha dovuto affrontare.
La scena si apre con i festeggiamenti dei giochi olimpici di Atlanta del 1996. Durante una delle manifestazioni, Richard (interpretato dall’attore Paul Walter Hauser), allora guardia giurata, salvò la vita di migliaia di persone scoprendo per primo una bomba piazzata sotto una panchina del Centennial Park.
Da quel giorno la sua vita non fu più la stessa: accusato ingiustamente non solo dalla legge, ma anche dalla stampa e dai media di esser stato l’artefice dell’attentato, Jewell, si trovò ad affrontare un durissimo processo mediatico e sociale sotto gli occhi di tutto il mondo. Perse di credibilità e ogni aspetto della sua vita privata, anche quello più insignificante, fu messo sotto una lente d’ingrandimento. L’incubo cessò dopo 88 giorni solo grazie all’avvocato Watson Bryant (interpretato da Sam Rockwell) che con coraggio accettò di difenderlo e di far riconoscere definitivamente la sua innocenza.
Dopo aver visto la storia di Richard Jewwll mi sono chiesta: la sua vita, sarà stata la stessa?
Come ha influito la falsa colpevolezza sulla sua persona? L’esperienza del protagonista è ancora attuale? La sua vita fu completamente stravolta nonostante il suo nome fosse stato riabilitato dallo Stato e negli anni a seguire la vicenda lasciò un torbido ricordo di Richard. Ebbene, credo che il tutto sia ancora tremendamente attuale.
Se in passato, ad etichettarti come un potenziale criminale o deviato sarebbero bastate due parole stampate su un foglio di giornale, come nel caso del protagonista del film, accusato da un falso scoop della fanatica e avida giornalista Katy Scruggs (interpretata dalla bellissima Olivia Wilde) disposta a tutto pur di diventare qualcuno, oggigiorno non è più così; o meglio, sono solo i mezzi ad essere cambiati.
Nella maggior parte dei casi, tramite i social, siamo portati alla diffusione immediata di contenuti della cui veridicità poco ci importa.
Ci sentiamo potenti dietro uno schermo ed una tastiera e soprattutto ci sentiamo in grado di poter giudicare o ingiuriare l’altro. Non pensiamo quasi mai al riverbero che tutto ciò potrebbe avere sulla vita del malcapitato che, ahinoi, godrà di uno stigma sociale non indifferente; lo stesso che caratterizzò la vita del povero Richard. «La stigmatizzazione è il fenomeno sociale che attribuisce una connotazione negativa a un membro (o a un gruppo) della comunità in modo da declassarlo a un livello inferiore».
In Richard Jewell, dove tutti sono alla ricerca del colpevole individuato nella figura del protagonista solo per comodità, i precetti sociali hanno giocato un ruolo fondamentale ed oggi accade lo stesso
Complice anche l’aggravante dell’utilizzo inappropriato del web all’interno del quale confluiscono tutte queste credenze. Abbiamo poca percezione del mondo virtuale e della sua vastità, tanto che è come se questa mancanza di consapevolezza ci dia l’autorizzazione ad esprimere tutto quel che ci passa per la mente o che entra in nostro possesso solo «per sentito dire».
Il nostro è un passaparola molto più rapido e pericoloso rispetto al passato e che potrebbe decidere le sorti di qualcun altro; per cui, quando riteniamo opportuno far ascoltare la nostra voce è sempre bene filtrare il messaggio, ciò che vorremmo trasmettere ed essere consapevoli delle conseguenze, più o meno spiacevoli, che si possono generare nella vita altrui.
Abbiamo tecnologie potentissime ed è bene farne un uso più consapevole: riducendo le barriere del pregiudizio e favorendo la formazione di un pensiero critico indipendente dalla collettività al fine di evitare che ci sia un nuovo Richard Jewell 2.0
Martina Rocchio
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