Debutta oggi nelle sale cinematografiche Ti mangio il cuore, il film di Pippo Mezzapesa che è stato presentato in concorso nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Gli altopiani del Gargano fanno da scenario ad un’antica faida tra due famiglie, i Malatesta e i Camporeale, che si contendono il controllo del territorio da moltissimo tempo. Negli anni le due famiglie si sono già sfidate in contese che hanno portato solo a sangue e morte. Stavolta a riportare i clan in guerra è un amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale.
Ti mangio il cuore è liberamente tratto dal romanzo inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini che porta alla luce un pezzo della nostra storia che in molti ancora non conoscono.
Si basa infatti sul familismo mafioso, quel fenomeno in cui i legami di mafia corrispondono a legami di sangue. A ribellarsi alla catena di comando che consiste nel passare il testimone di padre in figlio è Andrea, interpretato da Francesco Patanè che abbiamo intervistato.
Come descriveresti Ti mangio il cuore a chi si prepara ad andare al cinema?
Uno spaccato di una storia di mafia del nostro paese che purtroppo è stata troppo a lungo silente, non attenzionata. Una storia di amore e di vendetta, di passioni, sia nel bene che nel male, di faide familiari.
Sbaglio o c’è una certa somiglianza con Romeo e Giulietta?
Ricordo bene la prima volta che ho letto la sceneggiatura ho pensato che se la fossero inventata talmente era scritta bene. Comunque sì, la prima parte soprattutto, poi la storia tra i protagonisti prende una piega completamente diversa.
In che modo?
Mentre l’amore tra Romeo e Giulietta rimane puro, quello tra Andrea e Marilena si macchia di sangue, si corrompe. Mentre nel dramma shakespeariano è la loro morte a fare da pacificatrice, in Ti mangio il cuore è la famiglia dei Montanari ad intervenire per cercare di calmare le acque.
Il film quanto è fedele al libro?
Sono stati fatti degli adattamenti liberi. In primo luogo hanno evitato di riportare i nomi originali per tutelare le persone sopravvissute. Per esempio la persona che ha ispirato il personaggio di Elodie è tuttora in protezione testimoni. Così come alcune dinamiche: la storia infatti si sviluppa tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni del Duemila e per motivi di tempo in alcuni casi abbiamo dovuto riportare soltanto alcuni eventi cruciali. Però di fatto non c’è niente di inventato, sono tutti fatti reali, più o meno documentati.
Ti mangio il cuore è stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Cosa ha significato essere presenti in una vetrina così importante?
È stato motivo di soddisfazione per il lavoro di gruppo che è stato portato a termine più che a livello personale. È stata sicuramente una bella festa per il film. Una cosa che mi ha insegnato proprio Elodie è che una bella conquista per una persona, prima ancora che per un artista, è riuscire a capire di valere aldilà di quello che fa.
Allo stesso tempo però si è ancora più esposti alle critiche. Per esempio alcuni hanno paragonato alcune scene del film ad uno spot di Dolce & Gabbana. Cosa ne pensi?
Il film è stato fatto con molta onestà sia da parte di noi attori sia da parte del regista e sceneggiatore. Non c’è mai stato l’intento di cercare di strizzare l’occhio ad una semplicità, ad una complicità commerciale.
In Ti mangio il cuore Elodie ha esordito nelle vesti di attrice. L’anno scorso con Il cattivo poeta al suo posto c’eri tu. Com’è stato condividere l’esperienza sul set?
Elodie ha questa forza enorme, è una persona molto sincera e spontanea che va dritta per la verità. In qualche modo questo incontro mi ha dato tanto, il suo concepire la recitazione in modo molto più immediato mi ha portato a sbloccare delle energie che non conoscevo.
Quanto è stato difficile per un genovese recitare in dialetto pugliese?
È stata una sfida perché il pugliese, soprattutto il foggiano, ha delle vocalità che non abbiamo in italiano. È stato interessante scoprire dei suoni nuovi.
Dopo questa esperienza quanto hai lasciato ad Andrea di Francesco e quanto invece ti porti dietro di Andrea?
Andrea è un personaggio che mi ha cambiato molto, che mi ha permesso di lavorare su alcune corde che non avevo ancora esplorato. Credo che ogni attore debba dare del suo ad ogni personaggio anche quando tutto sembra indicare il contrario: di mio c’è sicuramente l’essere estraneo rispetto al contesto, infatti nei momenti di ferocia emerge una certa fragilità.
Considerando il periodo in cui siamo, con una pandemia ancora in corso e una guerra così vicina, quanto è importante andare al cinema?
L’arte in generale e soprattutto il cinema parla di uomini, di emozioni, di dinamiche umane ti fa riflettere. Sull’umo e in momenti drammatici come la pandemia e la guerra è ancora più importante riconnettersi e riflettere su che cosa è umano, su cosa può sentire, su cosa può pensare. Sarebbe bello che l’arte avesse un’attenzione importante prima che queste cose accadano; se uno fosse abituato ad entrare in contatto, ad ascoltare, a condividere le proprie storie umane, certe cose si potrebbero evitare o affrontare in modo diverso.
Una storia come quella di Ti mangio il cuore che fa riflettere sulla follia della vendetta, della prepotenza e della violenza quando è reiterata negli anni se uno la guarda con il cuore aperto si rende conto che farsi la guerra non ha alcun senso.
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