È passato esattamente un anno da A Star is Born, il film autentico e compiuto capace di esaltare la parte umana e profonda dei protagonisti, regalando al pubblico una delle coppie cinematografiche più amate di sempre
A Star is Born è l’opera prima di un Bradley Cooper esigente e meticoloso in uno dei suoi ruoli cinematografici più introspettivi, in cui la sua regia è capace di cogliere l’essenza stessa della narrazione. Lady Gaga, la cui disarmante e impeccabile presenza naturalistica è cruciale per la riuscita del film, è stata completamente spogliata dalla sua immagine più trasgressiva per vestire i panni di un personaggio vulnerabile e irregolare. Questo smascheramento – dove Gaga sembra poco Gaga e più Angelina Germanotta – fa sì che il personaggio interpretato dalla popstar sembri del tutto genuino. Una qualità che il film promuove e che serve come una sorta di incipit tematico.
A Star is Born è un grande classico per Hollywood
Non stupisce che lo star system statunitense continui a raccontarlo e tramandarlo. Negli anni Trenta, William Wellman diresse Janet Gaynor e Fredric March. Judy Garland e James Mason ripresero i ruoli nel remake del 1954 di Cukor, creando il modello musicale specchiato nelle versioni successive. Invece, negli anni Settanta, Barbra Streisand e Kris Kristofferson furono diretti da Frank Pierson in quello che per molti è considerata la pellicola più debole.
Così, dopo quarant’anni dall’ultimo rifacimento, Bradley Cooper e Lady Gaga hanno ripreso la storia e l’hanno raccontata alla generazione del XXI° secolo in maniera convincente e contemporanea. Le loro prestazioni naturali, riconoscibili e persuasive rendono questa, la versione migliore fino ad oggi portata in scena sul grande schermo.
La nuova incarnazione di una storia vista dipinge un ritratto pericoloso e instabile dell’industria musicale. Siamo testimoni di una caduta fisica e psichica dove amore e successo sono due universi paralleli, che incontrandosi generano una sorta di bellum omnium contra omnes letale. Un viaggio melodrammatico che è emozionante e soffocante allo stesso tempo, dove musica e cinema sono montati perfettamente, incontrandosi in una maniera fluida ed efficace.
Il successo: gioia e dolori
Bradley Cooper, che ha fatto il suo esordio dietro la macchina da presa, interpreta Jackson Maine. Un country-rocker brizzolato, un bluesman consumato dall’alcool che, quando il film si apre, si esibisce in un modo rovinoso, quasi cadendo durante le note di Black Eyes. Lui ha lo straordinario potere di farti star male. Lo guardi e stai male. Lady Gaga, al suo primo ruolo da protagonista sul grande schermo, invece porta in scena Ally Campana. Si potrebbe dire una sopravvissuta agli eventi che il destino le ha riservato e che sgomita per diventare una cantante, un sogno infranto più e più volte dai tanti “no” spesso ingenerosi.
Jack e Ally s’incontrano per la prima volta in un locale di Hollywood: lui è lì per bere dopo un concerto, lei è lì che canta in modo strepitoso La Vie en Rose con le sopracciglia arcuate e artificiali che aggiungono una punteggiatura interrogativa al suo viso perfettamente imperfetto. Agli occhi di Jack, Ally appare come una sorta di deus ex machina.
Ma per il momento cardine del film, la sequenza più potente, dobbiamo aspettare qualche minuto dopo. Maine, in un atto temerario, spinge Ally sul palco di fronte alla sua folla adorante, per esibirsi sulle note di Shallow canzone pregnante e riuscita. I risultato è spettacolare, è un momento incantato, la loro chimica sul palco è di una perfezione assoluta. La loro performance è pura simbiosi, l’uno è la forza dell’altra. E’ l’inizio del loro amore, ma anche di tante, troppe, cadute.
Il loro cammino è sopraffatto dagli eccessi di lui, da un cocktail autodistruttivo di alcool e pillole. Per quanto riguarda lei, la fama le presenta il conto, così il suo manager, esperto di pop, modella la sua immagine e la sua musica con ballerini, acconciature eccentriche e foto pubblicitarie. Trasformando completamente la vera Ally e gettandola in pasto al mondo commerciale. Maine, ormai assuefatto e turbato dal successo di Ally, lo ritroviamo come una vecchia tigre ferita da quel mondo che lo ha visto brillare ma che non è più il suo.
Come sarebbe stato A Star is Born senza Lady Gaga? Non sarebbe stato.
La regia di Cooper è lineare e rispettosa. Tra una sequenza e l’altra lo spettatore ha il tempo per riflettere e godere su ogni passaggio, immergendosi nelle vite altalenanti dei personaggi. Tuttavia, la vera regina di A Star is Born è lei: Miss Germanotta, capace di mettersi a nudo e imprimere emozioni intonate.
Un ruolo che sembra nato per essere interpretato da lei, un’artista capace di portare in scena le varie sfumature del pop, solo come le grandi personalità sanno fare. Proprio la sequenza finale, sulle note di I’ll never love again, sembra cucita perfettamente su Lady Gaga, per esaltarne la sua bravura artistica a 360 gradi. Una scena in cui Cooper sembra volerci dire: “Visto? Nessuno meglio di lei poteva interpretare Ally!”. E come dargli torto
È vero anche che il tutto è incorniciato da una colonna sonora magistrale. Questa meritatamente premio Oscar, che ancora oggi, a distanza di un anno, mantiene un posto speciale tra gli amanti del cinema. Ogni singola canzone di A Star is Born si muove cronologicamente attraverso la storia e dimostra ancora una volta come puoi avere un cast eccellente, ma se non hai un supporto musicale importante rischi di cadere nell’oblio.
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