Fra i superospiti dell’edizione 2019 del Lucca Comics & Games, indubbiamente, c’è stato Chris Claremont.
Una personalità che i più non conoscono, ma con i cui lavori sono sicuramente entrati a contatto: Iron Fist, Daredevil, ma soprattutto gli X-Men. Originariamente creati dal mitologico Stan Lee, ma portati al successo da Chris Claremont. Mezzo ebraico mezzo inglese, Claremont nacque nel 1950 a Londra ma ben presto con la famiglia si trasferì a Long Island. Iniziando poi a coltivare sogni di una carriera ben diversa da quella che poi la vita gli ha dato: voleva fare l’attore. E, stando ad interviste dell’epoca, non credeva minimamente nel mondo del fumetto.
La storia, poi, sappiamo tutti come si è svolta: uno dei più grandi autori contemporanei di fumetti, colui che ha reso la diversità la chiave del successo degli X-men. Inglesissimo, con un tè davanti, nella cornice della fiera del fumetto più grande d’Europa, Chris Claremont sciorina aneddoti a briglia sciolta di fronte ad una focalizzatissima sala.
Oltre alla soddisfazione di aver visto i suoi personaggi più cari – Wolverine e Magneto – interpretati da professionisti come Hugh Jackman e Sir Ian McKellen, che Claremont rivela essere già al corrente di chi lui fosse, e che già lo ammirasse! – nell’autore non c’è solo orgoglio per il comportamento della 20th Century Fox col suo materiale:
Noterete che non ho deto nulla riguardo i film, Giorni di un futuro passato è un ottimo film, mancava solo il mio nome e quello di Byrne ENORMI durante i titoli di testa, come in Legion che, peraltro, è un’ottima serie: guardatela!
Dark Phoenix è un ottimo film ma che non parla affatto della saga Dark Phoenix [ride], che si è ritrovato la concorrenza spaventosa della Marvel che tutto asfalta. Al regista, che ha fatto comunque un discreto lavoro, direi: Benvenuto a Hollywood, Amico!
Chris Claremont è un autore che ha visto l’evoluzione del fumetto, che ha contribuito a plasmare (“Leggo molto più ora che non scrivo più”). Entrato in Marvel agli inizi degli anni ’70, nell’epoca d’oro di Lee e Jack Kirby, come fattorino e porta-caffè, fu poi accolto fra le grazie di Roy Thomas, uno dei curatori editoriali più fidati di Lee stesso: da lì iniziò la sua avvenutra prima in Daredevil, nel 1973, ed, infine, gli X-Men. La serie, però, era da anni che presentava solo ristampe ed era, fondamentalmente, in pausa. Nel 1975, Claremont fu assegnato alla testata (inizialmente sotto la supervisione di Len Weir, originario creatore di Wolverine), che non aveva altro da perdere. E apportò una netta evoluzione a quanto già coniato da Stan Lee – i supereroi con superproblemi – approfondendo, in maniera quasi attoriale, tridimensionale, come fece Marlon Brando, come ha fatto recentemente Joaquin Phoenix in Joker, esattamente come nella vita reale, i drammi, le gioie, gli impulsi, i difetti, i pregi, gli orrori, dell’essere mutanti. A volte mostruosi, a volte splendidi, sempre temuti. Sempre odiati. L’approccio innovativo, esistenzialista, di Claremont, alla scrittura della sua Tempesta, del suo Wolverine, del suo Nightcrawler, fu immediatamente riconosciuto sia dalla critica che all’interno della Marvel stessa. La semplicità di un’avventura, che può racchiudere in sé svariate chiavi di lettura e infinite sfumature: come la vita vera.
L’obbiettivo è semplice: entrare in contatto con i lettori – tutti – nel mondo; venendo qui ho incontrato una bimba di otto anni che mi ha fatto autografare una copia di X-Men e questo è ancora fantastico per me; quando ho iniziato il settore era governato dal comics code authority, in sostanza il materiale doveva essere adatto ai bambini, ma questo non era un problema: ad un primo livello di lettura la storia è adatta ad un bimbo di dodici, ma tornando a leggere quella storia, per esempio,a venticinque anni noti cose prima perse. Tornandovi a quaranta puoi cogliere ancora più particolari e a quell’età puoi anche iniziare i tuoi figli alla lettura.
Gli anni ’70, nel fumetto americano supereroistico, erano strettamente regolati e pensati per un target giovanile, tramite il comics code authority. Come spesso accade nella letteratura però – Charles Dickens, dei brevi capitoli dei romanzi d’appendice, l’espressività di una storia ben raccontata, fece la sua fortuna – determinati paletti, di fronte al talento puro, apportano una strana forma di libertà:
L’unica cosa che queste restrizioni hanno fatto è stata darci l’opportunità di scrivere con più profondità e più sottigliezza: lo hanno fatto Frank Miller, Walt Simmons [storico autore di Thor, NdR]. Io l’ho fatto, non è cosi difficile. I libri sono accessibili e sono per un determinato mercato che è ampio, ma si può sempre migliorare. Per me la cosa più divertente è guardare le immagini e immaginare cosa succede tra una vignetta e l’altra: lo spazio dell’immaginazione deve essere assolutamente preservato. Non ho bisogno di vedere Batman nudo, lo vedo molto meglio meglio con gli occhi della mente e questo ci porta ad un’ora di confessione con il prete ma questa è un’altra storia [ride].
Una delle maggiori rivoluzioni apportate da Chris Claremont, nell’intrattenimento letterario e, successivamente, televisivo, del terzo millennio, è stata l’introduzione di una netta trama orizzontale. Fino a che i suoi X-Men non ebbero preso vita, le storie supereroistiche erano composte da brevi cicli a sé stanti (escludendo la storyline di Spiderman), non di una singola storia ben congegnata; Stan Lee proveniva dal fumetto rosa, ed era dunque per sua formazione attento alla pianificazione dell’opera, ma mai ciò era stato fuso con tale efficacia ad un’ambientazione sci-fi – tanto da divenire suo tratto distintivo. La stessa innovazione che si deve, nei serial tv, a Twin Peaks di David Lynch e a Babylon 5, il cui autore è un altro scrittore di fumetti, Joseph Michael Straczynski.
Tra X-Men 94 e X-Men 279 è tutta una storia come la vita, ci sono momenti salienti e lunghe pause, deviazioni; ma si tratta sempre di una sola storia, se fossi rimasto su quella stessa storia per trent’anni sarebbe stata la stessa cosa, perchè per me quei personaggi erano persone, quello che capita loro sono eventi reali all’interno del loro mondo. Se riesco a far sì che si comportino in modo realistico, spero ciò sia credibile anche per i lettori; quindi, così come nella vita qualcosa di imprecisato può capitare nel numero 100 e poi avere un effetto nel numero 200 e portare ad un risultato inatteso nel numero 300.
“Se non fossi entrato in Marvel a 18 anni, magari avrei persistito nel tentare di fare l’attore, non sai mai dove possa portarti il percorso della tua vita ed è esattamente lo stesso con gli X-Men.”
I sodalizi artistici più importanti, per gli esordi e l’affermazione di Claremont, sono stati quelli con Dave Cockrum e con John Byrne, sebbene quello con Jim Lee sia decisamente più famoso. Entrambi condividevano la sua volontà innovatrice, e allo stesso tempo analizzatrice e realistica. Big Chris non può fare a meno di ricordarli (sia Cockrum è venuto a mancare nel 2006).
Quando abbiamo iniziato la serie il personaggio preferito di Cockrum era Nightcrowler, che sostanzialmente ha l’aspetto di un classico demone ma è il personaggio più profondamente religioso, spirituale; la visione di Nightcrowler è provvidenziale: “Io sono così perchè l’ha deciso Dio, chi sono io per mettere in discussione Dio? Per cui se Dio è responsabile di come sono, tanto vale che me la goda, guardate quanta roba figa riesco a fare! Byrne, invece, non capiva quel che provavo per Kurt [Wagner, NdR, nome di Nightcrawler], il suo personaggio preferito era Wolverine, perchè lui era canadese anche Logan era canadese, John, per dirla all’americana, voleva fosse il più grande figlio-di-puttana-spaccaculi che ci fosse.
Una delle creazioni, dunque, meglio riuscite di Chris Claremont è appunto il ghiottone canadese, Wolverine, Logan – o più recentemente, James Howlett, abbattuto per un paio d’anni in casa Marvel e recentemente resuscitato (e nel 2020 tornerà ad avere testata a sé dedicata, dopo ben cinque anni) – personaggio che, assieme al disegnatore e autore Frank Miller, è stato protagonista di uno dei tanti excursus extra-USA degli X-Men. In verità, fu Len Wein a scrivere pe rla prima volta di Wolverine, come avversario di Hulk: il vero padre adottivo ne è, però, Chris Claremont.
Poi è arrivato Miller, abbiamo parlato dei modi in cui volevamo usare il personaggio: benvenuti in Giappone! Ancora una volta, come per Nightcrowler, Wolverine potrebbe facilmente essere definito con un clichè. Quando è stato creato gli artigli erano parte del guanto, chiunque indossasse il guanto avrebbe potuto essere Wolverine. Dave [Cockrum] ed io eravamo in disaccordo su questo punto: perché praticamente sarebbe stato come l’armatura di Tony Stark, chiunque la indossi diventa Iron Man, a differenza di Superman che invece è esclusivamente lui. Nel numero 96 di X-Men, Dave ha disegnato Wolverine con gli artigli che uscivano direttamente dalla mano, la mia reazione è stata prima di shock, la seconda è stata: fighissimo! Terribile ma figo.
Se volete sapere di cosa sto parlando andatevi a vedere X-Men in cui Rogue chiede a Jackman fa male? E lui guarda lei la strada il suo pugno di nuovo la strada e dice: tutte le volte. Quando ho visto quella scena alla prima del film sono saltato in piedi e ho gridato: SI! Poi mia moglie mi ha dato un pugno e mi ha detto: “siediti, ti stai rendendo ridicolo”. In quel momento il personaggio ha trovato la sua definizione. Ogni volta che utilizza gli artigli si sta in realtà pugnalando. Sono dei momenti che vanno tenuti sotto controllo, devono essere ben calibrati e distinti nella storia, un po’ come un pistolero che estrae l’arma. Era il momento fondamentale della storia! Ma d’altra parte ci vuole anche una reazione di quasi repulsione, perché, sotto sotto, Wolverine non è un tipo raccomandabile.
Chris Claremont, però, ha riconosciuto che l’essenza a tuttotondo dei suoi personaggi è sì un suo merito, ma lo è anche delle fortunate contingenze. Annoverando William Shakespeare fra i suoi modelli, Claremont aggiunge:
Gli editor sono necessari come occhi esterni, ed averne come Ann Nocenti è stato un dono. Quando Stan Lee e Jack Kirby lavoravano assieme sui Fantastici Quattro, Jack aveva sempre centinaia di idee, Stan, d’altro canto, guardava la storia e nel leggerla tagliava i rami secchi, in modo che andasse nella direzione giusta e che arrivasse con la giusta intensità. Jack, invece, odiava la cosa perchè credeva che così facendo Stan buttasse via molte idee valide. Fu questo il motivo per cui andò alla DC per fare New Gods [personaggi appartenenti alla famosa saga del Quarto Mondo iniziata da Kirby nel ‘71]. Nel primo numero di New Gods ci fu un’esplosione con un centinaio di idee fantastiche, nel secondo anche, lo stesso nel terzo e così via, ma quando uscì il dodicesimo numero fece esplodere la testa alla dc cosi come ai lettori, perchè per quanto le idee fossero fantastiche nessuno riusciva a stargli dietro. Jack tornò alla Marvel e la DC ha sfruttato il lascito dei New Gods per trentacinque anni. In sostanza, il valore dei buoni editor come Lee o Nocenti è quello di prendere ciò che di buono ha l’artista e guidarlo verso una storia potente e coerente, che è sostanzialmente un lavoro di sinergia. Ci vogliono persone giuste al posto giusto al momento giusto, il punto è capire quando esso avviene. E, infine, quando si mettono insieme queste condizioni, accettare che stia succedendo. Sfruttare il momento e divertirsi.
Chris Claremont è attualmente sotto contratto con la Marvel, per la quale continua a scrivere salturiamente storie degli X-Men. Al Lucca Comics&Games l’autore è stato presente tutti i giorni, fra workshop, talks, e firmacopie.
Giulia Della Pelle e Claudio Franzò
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