Di Sara Zambon
“Nyarlathotep, il caos strisciante… Io che sono l’ultimo, parlerò al vuoto in ascolto…”
Come spiega lo stesso Lovecraft, i suoi racconti sono descrizioni carnose dei suoi incubi notturni e nel 1920 decide di mettere su carta “Nyarlathotep”; una novella al limite tra sogno e realtà pubblicata da mondatori in differenti volumi: “Chtulhu i racconti del mito” e “Howard Phillips Lovecraft tutti i racconti”
In un clima di profonda angoscia sociale, Nyarlathotep compare e rivela profezie a chi ha il coraggio di ascoltarle. Costui è il messaggero ed anima degli Dei del pantheon Lovecraftiano e loro, chiamati i Grandi Antichi, sono la raffigurazione della Natura in quanto si mostrano illogici e spietati agli occhi dell’umanità.
Viene anche definito “il caos strisciante” e tutta la novella è incentrata su questo punto: dove Nyarlathotep mette piede lascia alle sue spalle una scia di follia e paranoia generale. Le sue profezie non sono parole, ma fredde e crude immagini ingigantite da un video proiettore che rivelano una feroce guerra tra persone contro altre persone con delle maschere sul viso.
Adesso, dove è il confine tra fantasia e realtà? Dove è la differenza tra incubo e sogno premonitore? Ma soprattutto, dove è la differenza tra futuro e passato?
E’ questo di cui ha principalmente paura l’uomo: non di orrori cosmici arrivati da una dimensione lontana, ma di una verità proiettata su un maxi schermo. Infatti, Nyarlathotep, non ha svelato nulla di recondito e misterioso perché tutti sanno che è nell’animo umano odiare e distruggere. Il suo compito è stato solo quello di mettere, chiunque ne avesse il coraggio, faccia a faccia con la verità.
Dopo queste visioni i personaggi appaiono uguali e “tanti”, come se l’intero organismo sociale fosse formato da milioni di cellule uguali tra di loro e che brulicano senza meta. Il protagonista del racconto, che non viene descritto apposta per enfatizzare la sua condizione di cellula, non prova a separarsi dall’organismo e a mettere in salvo la propria vita. Anche questo dettaglio riflette perfettamente i giorni attuali: per quanto ogni singolo individuo provi a distaccarsi dalla società, verrà sempre ostacolato non dalla società, ma dalla propria idea di “società”.
Agli atti pratici tutti noi, come il protagonista, siamo liberi di scegliere di seguire o meno quella che viene definita, spesso con disprezzo, “la massa”. Spesso la massa viene seguita non perché si è costretti, ma perché si ha paura di rimanere isolati; quindi si pattuisce il compromesso sociale del lemming: o ti butti conformato o sopravvivi e sei solo.
Che cosa è meglio? Seguire le regole sociali e conformarsi oppure rimanere soli e vedere il Sole che si spegne come ha profetizzato Nyarlathotep?
Essere entità liberamente pensanti ha il profumo della conquista, ma il retrogusto della difficoltà. Non biasimo chi sceglie di vivere conformi alle regole sociali, perché in questo modo l’unione agisce come “cuscinetto” per tutte le difficoltà che verranno incontrate nel corso dell’esistenza. Rinunciare a parti di sé per vivere secondo dei canoni sociali dettati da nessuno è una scelta comoda e pratica, perché solo un folle sceglie deliberatamente di vivere in modo difficile e spesso scomodo.
Solo un folle può parlare al vuoto in ascolto e ammirare il movimento fluente di Nyarlathotep mentre continua a risvegliare la massa e invogliare gli altri a vedere le sue profezie.
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