Una crepa nel muro, da lì passa tutto. Intervista a Blindur sul nuovo disco Exit.

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Exit è il terzo album di inediti di Blindur, progetto dietro cui troviamo Massimo De Vita, l’album esce con La tempesta dischi. Attraverso i vari album della sua discografia Blindur è stato sempre qualcosa di diverso, in occasione della presentazione in anteprima del disco a Napoli abbiamo approfittato per fargli qualche domanda su cosa ha significato scrivere un disco durante il lockdown e come si trova la strada per rimettere insieme i pezzi dopo anni complicati.

Partiamo da una citazione del libro di Denis Jhonson, Jesus Son: “Le carte erano sparpagliate sul tavolo a faccia in su, a faccia in giù, come a predire che qualunque cosa ci fossimo fatti sarebbe stata lavata via dall’alcol o giustificata da una canzone triste” cosa giustificano le canzoni di questo disco uscito da due anni di pandemia?

Uno si aspetterebbe un disco triste dopo questi anni, invece paradossalmente è il contrario. Se ogni disco è una fotografia questo fotografa un finale positivo. Anche gli eventi meno belli e quelli dolorosi hanno contribuito a preparare il terreno ad una svolta positiva che abbiamo messo nelle canzoni.

Hai parlato di album come fotografie che fermano un momento della tua vita, che cosa fotografa Exit?

Questo disco è una sorta di ufficializzazione di una famiglia musicale che era cresciuta nel tempo a partire dal 2019. Carla Grimaldi agli archi era già dei nostri, si sono aggiunti Luca Stefanelli e Jonathan Maurano (che si alterna con Walter Marzocchella). Le canzoni tengono insieme un po’ tutti quelli che hanno condiviso, chi più chi meno, il nostro percorso negli ultimi tempi. L’atmosfera che si è creata tra noi si ritrova nella luminosità di questo disco. La nostra alchimia è stata la vera benzina di tutto.

Una crepa nel muro, da lì passa tutto. Intervista a Blindur sul nuovo disco Exit. 1

A proposito di famiglia allargata, scorrendo la tracklist dell’album si trovano molte collaborazioni. A loro modo anche le persone che hanno partecipato ai diversi brani rappresentano tappe di un percorso lungo molti anni o sbaglio?

Il percorso compositivo, contrariamente a quello che si può pensare, è stato complesso. Ricco di andate e ritorni e incroci inaspettati. I featuring sono nati in questo modo, nello scrivere il disco noi siamo arrivati fino a un certo punto. Avevamo alcune canzoni e delle persone in mente, quelle persone servivano per guardare, ascoltare e suonare le canzoni da una prospettiva diversa.

Penso a Rodrigo D’Erasmo che aveva in mente l’orchestrazione di Stati di agitazione, alla chitarra di J Mascis che ha completamente stravolto Mr. Happytime. Poi nel caso di Honeybird inizialmente lei doveva solo aggiungere un pezzo strumentale, siamo finiti a scrivere completamente dal nulla una nuova strofa in inglese con lei. Infine, Roberto Angelini che ha preso una canzone come Eclisse che credevamo finita e le ha dato una nuova vita.

La famiglia è anche quella che sta dall’altra parte del Mixer o sbaglio?

Non sbagli, anche per questo disco ho avuto con me collaboratori storici italiani e stranieri. Paolo Alberta che lavora con noi dall’inizio si è occupato delle registrazioni e del missaggio mentre la masterizzato è toccata al fido Birgir Birgisson allo splendido studio Sundlaugin di Reykjavik dove registrano band del calibro dei Sigur Ros.

C’è qualche brano che ha richiesto più impegno e fatica di altri per essere portato a conclusione?

In effetti un brano c’è, è una canzone che abbiamo provato ad arrangiare in quattro o cinque modi diversi per poi farla arrivare su disco in una forma molto vicina a quella in cui è nata. La canzone è La casa degli spiriti, che non a caso è uno dei brani più intensi di tutto il disco. Questo brano in particolare, ma il disco in generale mi è servito per trovare il coraggio di accettare dei limiti e di affrontarli in qualche modo. Abbandonarsi anche alla nostalgia invece di contrastarla è un modo per provare a crescere e ad accettarsi.

Tra le canzoni che hai scritto c’è una canzone invece più difficile da cantare?

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Ci sono sempre brani più “difficili” da cantare dal vivo, sta nella natura delle canzoni e nel materiale da cui nascono. In questo disco c’è una canzone che allo stesso tempo è speciale e complicata, quella che chiude il disco.

È stato molto difficile scriverla, ma allo stesso tempo è una canzone speciale, talmente importante che ho deciso di darle il titolo del disco, Exit, appunto. Il testo mi aveva messo in difficoltà perché è molto breve, ma al contempo essenziale, dentro c’era tutto quello che volevo dire. Persino Niccolò Fabi, venuto alla presentazione Roma mi ha detto che avrei potuto scrivere un’altra strofa ma alla fine a me piaceva così.

La realizzazione di questo disco, fisicamente parlando, ha preso la forma di un gioco da tavola. Lo si può vedere aprendo la copia del vinile che avete realizzato. Com’è nata questa idea?

Nel corso di questi ultimi anni, insieme ai componenti della band è nato una specie di scherzo. In ogni imprevisto che ci capitava dicevamo tra noi che era una prova del grande gioco che ci vedeva protagonisti. Ogni problema, ogni situazione surreale erano una sorta di prova da superare per accedere al livello successivo. Così quando l’album ha preso forma ci è sembrato naturale portare nella realtà anche di chi ci segue questo gioco.

Il progetto grafico è stato realizzato e reso reale dai bravissimi Vincenzo Del Vecchio e Sigiu Bellettini, io invece mi sono messo addirittura a scrivere un regolamento che troverete all’interno dell’album, con tanto di dadi per giocare. Un vero e proprio disco interattivo. Il gioco è un modo per dire che non abbiamo controllo sulle cose, che dobbiamo scendere a patti con la fatalità e con l’imprevisto, in questo i dadi sono la metafora più potente.

Raffaele Calvanese
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