“Pensa che cretino che è l’amore”, l’ultimo libro di Luca Gamberini

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Dal 30 marzo 2021 è in libreria Pensa che cretino che è l’amore, il nuovo libro di Luca Gamberini, edito da Mondadori. Dopo Un etto d’amore (Lascio?), pubblicato con Ensemble nel 2018, e l’esperienza con la sua #PoesiaEspressa, Gamberini conquista la major, che:

“è un po’ come il Real Madrid. Il sogno che si coltiva da bambini palleggiando nei campetti. La camiseta blanca è un privilegio. La vera sfida è poi mostrarsi all’altezza di indossarla nel tempo. Farò del mio meglio.”

Così scrive nei ringraziamenti alla fine del libro; due pagine dalle quali traspare l’essenza di Luca Gamberini, poeta ma prima di tutto uomo: umiltà, gratitudine, eterno entusiasmo.

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Luca Gamberini, Pensa che cretino che è l’amore, Mondadori. Copertina.

E sono questi anche gli ingredienti di #PoesiaEspressa, citata sopra e di cui deve dirsi qualcosa, anche se sfido a trovare qualcuno che non ne abbia sentito parlare in questi anni. Partiamo in soldoni: #PoesiaEspressa è un progetto/performance poetica che consiste nel regalare poesie – scritte appunto sul momento – a degli sconosciuti. Nata per la promozione della raccolta poetica del 2018, è diventata presto virale e a quel punto non solo librerie ed eventi culturali ma anche musei e gallerie d’arte hanno accolto il poeta con la sua Olivetti Lettera 22, pronto a regalare versi a chi lo desiderasse.

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Olivetti Lettera 22. Immagine presa dal profilo Instagram di Luca Gamberini (lucagamberini86).

Il funzionamento è semplicissimo: vedi un poeta seduto a un tavolo – facciamo di una libreria, facciamo che la libreria è di Bologna – con la sua macchina da scrivere. Ti siedi, vi guardate, magari scambiate due parole e da questo contatto verrà fuori una poesia, estemporanea, nata dalle sensazioni del poeta. Ha in mente Marina Abramović, Gamberini, osservatore sensibile e sorridente. E se spesso capita di bloccarsi per un tempo indefinito pensando a cosa scrivere in una dedica di un libro o in un biglietto di auguri, figuriamoci scrivere qualcosa per qualcuno che non si conosce e che nel mentre sta pure guardando in attesa di leggere e scoprire quale dettaglio è stato notato e fissato su carta. Tutto questo, poi, espresso! Insomma, produrre buone cose con questa modalità non sembra per niente facile.

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#PoesiaEspressa alla Pinacoteca Nazionale di Bologna per Card Cultura. Immagine presa dal profilo Instagram di Luca Gamberini (lucagamberini86).

Ma perché Luca Gamberini fa questa cosa? Essenzialmente perché ha idee e obiettivi precisi legati alla poesia e al fare poesia. Secondo lui, la poesia appartiene a tutti (la dedica recita “A nonni, e affini. / Poeti inconsapevoli”) e può far felici le persone. Il come presuppone appunto degli obiettivi: raggiungere le persone, portare la poesia alle persone. Perché? Perché queste se ne sono allontanate. Perché? Perché la poesia è diventata incomprensibile e quindi inaccessibile. Poi aggiunge: deve essere liberata.

Liberare la poesia?

L’obiettivo di Luca Gamberini ha funzionato, la poesia è arrivata nei luoghi più impensati: per le strade, sotto i portici di Bologna, nei musei, ha invaso i social network, ha raggiunto più persone. Al contempo, non è stata liberata, non andava liberata, non va liberata e questo perché non esiste una sola poesia – idea astratta, presenza sacra sopra di noi, da adorare – ma più poesie, e ognuno ha bisogno della propria, da scrivere e da leggere. La poesia incomprensibile, difficile, quella definita spesso elitaria, oppure quella che il più delle volte non consola ma disturba, sconvolge, violenta, non deve essere liberata. Possono coesistere le varie poesie, anzi: deve essere così. E l’esperienza di lettore di Gamberini ne sarebbe poi la prova se tra i poeti che lui legge e ama cita D’Annunzio, Ungaretti, Montale, Pasolini – non esattamente leggibilissimi – accanto a Catalano, poeta pop torinese dalla nota versificazione, criticata e su cui lui stesso ironizza (“vado a capo a cazzo”, Ti amo ma posso spiegarti, Rizzoli, 2018). E ancora, Gamberini ne è la prova perché, pur essendo pop anche lui, dichiara di tenere sempre bene a mente la lezione delle voci del passato, che anzi spesso cita, conscio del fatto che alle persone va portata una poesia che sia comprensibile senza dimenticare che un’alfabetizzazione poetica ad ogni modo è sempre possibile e auspicabile.

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Bologna: la poesia di Luca Gamberini conquista la città. Immagine presa dal profilo Instagram di Luca Gamberini (lucagamberini86).

Pensa che cretino che è l’amore

Per arrivare alle persone Luca Gamberini utilizza il ponte dell’amore, che è il tema principale della raccolta, insieme a quelli della nostalgia e del rimpianto. Sì, perché per essere precisi, più che d’amore i versi del poeta sono pieni di ciò che resta dell’amore, di una passione: i piatti da lavare dopo una cena, “i calici di vino con soltanto il fondo” (pag. 76), i capelli per casa (“un’ultima volta le dita tra i tuoi capelli / (come non ne avessi già raccolti abbastanza / ovunque, ancora, per casa)”, pag. 94). È l’impatto dell’amore sulla vita quotidiana, le tracce che lascia e dalle quali prende via la nostalgia, il dolore del ritorno, il pensiero di ciò che è stato e ora non è più.

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Immagine presa dal profilo Instagram di Luca Gamberini (lucagamberini86).

L’amore – si legge dai versi della raccolta – è qualcosa di indispensabile ma, quando si ha, diventa ingestibile: scombina le vite, i piani, toglie tempo al tempo; è insopportabile, e spesso si lascia andare via, per poi rimpiangerlo dopo. Manca sempre un po’ di coraggio per accettare il rischio di un domani senza certezza (pag. 106) ed è per questo che il modo verbale degli innamorati è il condizionale:

[…]
Il modo condizionale è degli innamorati:
l’indicativo
è la certezza
è la carta che vince il giro
è ubriacarsi per davvero.
Tu invece sei solo bellezza strappata.
Un tassello che proprio non so incastrare.
che non so far quadrare.
[…]

Pag. 90
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Immagine presa dal profilo Instagram di Luca Gamberini (lucagamberini86).

Sullo sfondo la città, Bologna su tutte, ma anche Milano, Rimini, Roma, Pienza, Follonica. Gamberini è senz’altro un poeta urbano, a cui piacciono gli spazi di socializzazione – anche i luoghi non-luoghi come i tram e i supermercati – dove c’è vita, che, ricollegandoci a quanto detto sopra, sta inevitabilmente alla base della poesia. In una poesia anche la meravigliosa Lisbona, teatro di un dicotomico prima-ora che percorre l’intera raccolta e si ricollega ai temi visti prima:

Sul sedile della metro azul
nel panni morbido da centomila sedute
la tua forma sussisteva ancora intatta.
A Baixa-Chiado siamo sempre solo saliti:
con cinque sei rampe di scale mobili
mi conducevi fuori dal ventre
verso il cielo azulejo e Pessoa.
Ora invece ci scendo e basta
calpesto gli scalini improvvisando passi di fado
do le spalle ai ricordi e alla nostra
Lisbona anno duemilatredici
[…]

Pag. 140

E se la città ha peso notevole nei versi di Gamberini, lo hanno anche i fatti e gli eventi che nella città accadono. Non ci si stupisce quindi se alcune poesie presentano temi di attualità e se uno degli otto capitoli che compongono la raccolta è un assaggio di Tra Venere e le Sirene, monologo teatrale dedicato al tema dei migranti. In altri versi, poi, è chiaro e diretto il desiderio di vicinanza all’altro:

Di che colore hai la pelle?
Non te lo dirò. Tu lo vedrai.
A quale divinità offri i ginocchi?
Lo ascolterai nel mio silenzio.
Chi è tuo padre?
Ho un continente per famiglia.

Non ti chiedo altro. Casomai scusa.
Se ho dubitato
del tuo essermi
comunque, da sempre, fratello.

pag. 220
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Luca Gamberini. Foto di Luca Bolognese.

C’è una cosa che Luca Gamberini fa sempre durante le presentazioni: dedicare l’ultima poesia a Bologna, città che ama come fosse una persona e che pure ringrazia alla fine del libro per essere la sua “seconda mamma in forma di città”. Esiste una data a Bologna – e in Italia, ma a Bologna di più – che sanno anche i muri: 2 agosto 1980. In quel giorno di morte, odio, distruzione, strage, due persone si sono conosciute:

Il 2 agosto 1980 lui era lì.
Mio padre era lì forse accanto.
Mio padre vide – senza saperlo –
la bomba. Andava a Trento d’agosto.
L’aria dello scoppio arrivò.
In edicola chiese tracce di vita.
Una ragazza rispose. Era mia madre.

Io sono figlio di quel mancato
sguardo di morte,
di quel pieno sguardo d’amore.

Pag. 166

Sei anni dopo, il 21 aprile 1986, sarebbe nato Luca. Viva la vita e, come spesso dice Gamberini, viva la poesia.

Federica Gallotta
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