Paul Gauguin (1848-1903): il pittore alla ricerca della spiritualità primitiva in epoca moderna

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Quando si parla di Paul Gauguin si pensa immediatamente ai suoi ritratti di donne orientali e al suo viaggio a Tahiti, dove rimase fino alla morte, ma, in realtà, questo pittore abitò in moltissimi paesi differenti, tra cui Perù, Panama, Martinica, Polinesia. Non male per un uomo nato e vissuto nell’800.

La vita di Gauguin, per quanto stravagante e avvincente da conoscere, fu tutt’altro che semplice. Le ristrettezze economiche lo accompagnarono per gran parte della sua vita a causa del poco sostegno che la pittura ricevette da parte del pubblico e della critica.

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Paul Gauguin, La madre dell’artista (1890-93), olio su tela, 41×33 cm, Staatsgalerie, Stoccarda

Nato in Francia da madre sudamericana e padre francese, vive i primissimi anni della sua età in Perù, dove impara a parlare in spagnolo. Questo particolare, per quanto possa sembrare influente, è in realtà fondamentale per comprendere la personalità di questo artista. Il suo accento spagnolo rimase invariato anche una volta tornato in Francia all’età di sette anni e sappiamo suscitasse molte ilarità tra i compagni di classe.

Nonostante la tenera età, Gauguin memorizza i colori, i volti, i paesaggi e gli scenari più suggestivi del Perù, linfa vitale per il suo futuro artistico. Paul non ha ottimi rapporti con la famiglia, tranne che con sua madre, l’unica che riesce ad ascoltarlo in una situazione molto frantumata; lui stesso la ricorda «leggiadra e graziosa» dallo «sguardo così dolce, così fermo, così puro e carezzevole».

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Paul Gauguin, La famiglia del pittore nel giardino (1881); olio su tela, 87×114 cm, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen

Gauguin si sente un pesce fuor d’acqua a Parigi e così inizia a viaggiare. Arruolato nella Marina francese, torna in Perù, visita l’India ma è anche costretto a tornare in patria nel 1870 per combattere la guerra franco-prussiana. Da questo momento in poi capisce che la sua strada è un’altra: si appassiona alla pittura.

Inizia così il periodo della pittura francese, conosce gli artisti più acclamati dell’epoca: Delacroix, Courbet, ma si appassiona maggiormente ai grandi impressionisti Sisley, Monet, Cézanne, Degas prediligendo la pittura di questi ultimi per l’elaborazione intellettuale del dato naturalistico.

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Paul Gauguin, Paesaggio in Martinica (1887)

La pittura di Gauguin non piace, la critica non lo supporta e, anche spostandosi in Inghilterra e a Copenaghen, la situazione non migliora. Nasce in lui l’esigenza di ricercare nelle sue opere una risonanza interiore e spirituale che la frenesia cittadina non riesce a restituirgli. Si trasferisce prima a Panama e poi in Martinica, dove la vita immersa nella natura tra mare ed alberi di cocco modificano anche il suo modo di dipingere, che si fa più vitale, con pennellate più brevi e luminose.

L’abbandono di Gauguin e il taglio dell’orecchio di Vincent van Gogh

La malaria costringe il pittore a tornare in Francia dove conosce un artista sconosciuto: Vincent van Gogh. I due stringono un’amicizia molto profonda al punto da decidere di vivere insieme, ma la convivenza, secondo le testimonianze scritte, fu molto difficile:

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Paul Gauguin, Van Gogh mentre dipinge girasoli (1888) olio su tela, 73×91 cm, Van Gogh Museum, Amsterdam

«Ad Arles mi sento un estraneo […] Vincent e io andiamo ben poco d’accordo, in genere, soprattutto quando si tratta di pittura. Lui ammira Daudet, Daubigny, Ziem e il grande Rousseau, tutta gente che io non posso soffrire. Invece disprezza Ingres, Raffaello, Degas, tutta gente che io ammiro: io gli rispondo “sissignore, avete ragione”, per avere pace. I miei quadri gli piacciono, ma quando li faccio trova sempre che ho torto qui, ho torto là. Lui è romantico, io invece sono portato verso uno stato primitivo. Dal punto di vista del colore, lui maneggia la pasta come Monticelli, io detesto fare intrugli»

Paul Gauguin

Così, all’ennesimo litigio, Gauguin abbandona Vincent, il quale di conseguenza ebbe una fortissima crisi di nervi che lo portò all’amputazione dell’orecchio. La famosa vicenda, quindi, si lega proprio al finire di un’amicizia tanto sincera quanto complicata.

Le tele gialle e la fuga dalla Francia:

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Paul Gauguin, Il Cristo giallo (1889); olio su tela, 92×73 cm, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo

Le tele gialle sono tra le opere più note del pittore. Quando furono esposte nel 1889 a Bruxelles suscitarono ilarità e scherno da parte del pubblico. Eppure, la sua pittura era ormai maturata, aveva raggiunto un sincretismo tra un accesissimo uso del colore e un profondo spiritualismo primitivo, che si palesa in opere come Il Cristo giallo.

La Francia non era pronta alla sua pittura e decide quindi di abbandonarla per l’ennesima volta, così come sua moglie e i suoi cinque figli, per finire la sua vita a Tahiti. Qui, dopo poco tempo passato nella troppo civilizzata capitale Papete (ci racconta di come «Tahiti sta diventando tutta francese a causa del colonialismo), si trasferisce nel villaggio di Mataiea dove vive con una giovane donna che lui definisce “vera selvaggia”. L’artista riuscì ad integrarsi perfettamente nell’ospitale villaggio, imparando la lingua maori e praticando la loro cultura.

Gauguin scrisse :

«la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni».

Paul Gauguin

E poi Polinesia

Ma la salute di Paul vacilla e le ristrettezze lo costringono a tornare in Francia dove vuole stare il meno possibile. Recuperato un bottino, parte alla volta della Polinesia, luogo in cui confida per la ricerca della vera essenza primitivistica. In realtà, qui comprenderà quanto forte fosse la solitudine che provava. Solitudine che lo portò ad un tentato suicidio.

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Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897-1898), olio su tela, 139×374,5 cm, Museum of Fine Arts, Boston

Risale a questo periodo l’opera Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? In cui l’artista proietta i propri dissidi interiori e dubbi esistenziali. Il dipinto fu eseguito su una grande tela fatta con i sacchi di juta e spedita immediatamente in Francia per essere venduta dal mercante Vollard.

La lettura dell’opera è molto complessa perché risponde nell’ordine rispettivo delle domande poste:

1) Da dove veniamo? La risposta è posta nella parte destra della tela, dove si vede un neonato che si gode i primi momenti della sua vita, quelli più spensierati e sognanti.

2) Chi siamo? La risposta pittorica a questa domanda è molto filosofica, si apre uno scenario al centro dell’opera primeggiato da una natura posta come scenografia di un atto teatrale: la vita dell’uomo. Un giovane, figura centrale del dipinto, alza le braccia al cielo stringendo tra le mani un frutto. Mostra la spensieratezza e il vigore della gioventù, senza dimenticare un velo di malinconia per le incertezze del proprio futuro, rappresentato da due giovani donne vestite di porpora sullo sfondo, intente a discutere sul proprio futuro.

3) Dove andiamo? Nell’estremità sinistra della tela è rannicchiata una vecchia, raffigurata durante un assalto dei ricordi, dei rimpianti e dei rimorsi, spaventata per il sempre più vicino destino di morte.

Nonostante il tentato suicidio, Gauguin sopravvive e morirà più tardi, malato di sifilide, a Hiva Oa, nelle isole Marchesi, in un vecchio villaggio, consapevole della sua solitudine:

La solitudine non è consigliabile a tutti, perché bisogna essere forti per sopportarla e per agire da soli.

Paul Gauguin

Eleonora Turli

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