Ray Bradbury: il fascino della macchina non vale il pensiero dell’uomo

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Il 2020 è l’anno della fantascienza. Non tanto perché cose inimmaginabili si sono abbattute sul pianeta con un nemico invisibile che lo minaccia, ma perché, fortunata coincidenza, cent’anni fa nascevano due dei protagonisti del genere: Isaac Asimov e Ray Bradbury.

La fantascienza, genere amato e odiato

C’è chi studia le stelle per fare luce sui misteri dell’universo, chi le contempla e ne trae spunto per dei versi struggenti di inaudita bellezza. E, in mezzo a tanti astronomi e poeti, c’è chi viaggia fra le stelle come un astronauta nel buio spaziale: questo è lo scrittore di fantascienza, questo è l’uomo che si perde nel cielo e ci incoraggia a volare con lui sulle ali della fantasia. Come genere, la fantascienza o la ami o la odi.

Avventure in mondi distopici, robot umanoidi, calamità naturali e invasioni aliene non mettono d’accordo tutti. Anzi, per alcuni è veramente troppo. Ma questa è l’immagine classica, l’idea, e forse il pregiudizio, che ci accompagna fin dalla prima scoperta del genere, con molta probabilità leggendo uno dei brani che immancabilmente trovano posto nelle antologie scolastiche. Esiste però un’altra via, un’altra porta d’accesso ai misteri della fantascienza ed uno dei primi a batterla, a proporre questa alternativa meno convenzionale è stato proprio lui, Ray Bradbury.

Spettacoli di magia, fumetti e cinema

Ray Douglas Bradbury nasce a Waukegan, in Illinois, il 22 agosto 1920. Prima di diventare scrittore darà sfogo alla sua immaginazione in molti altri modi. Si improvviserà prestigiatore, per esempio, e leggerà con inesauribile voracità i fumetti di Buck Rogers e Tarzan anche alla radio, per il pubblico dei più piccoli. Sarà un cultore di cinema, e non il cinema pieno di effetti speciali come quello a cui siamo abituati oggi, ma un cinema che valorizzava le riprese, gli attori e che da poco aveva scoperto le novità del sonoro.

Pensate che il gusto per l’orrido, che in certa misura si ritroverà spesso nelle opere dello scrittore statunitense, può essere fatto risalire proprio a uno dei capisaldi del cinema muto, Il gobbo di Notre Dame, con un raccapricciante Lon Chaney nei panni di Quasimodo. Ray Bradbury vedrà il film, uscito nel 1923, ad appena tre anni, rimanendone assolutamente meravigliato. Ma il suo rapporto col cinema non si limiterà a questo, al ruolo di spettatore pagante. Nel 1954 si occuperà della sceneggiatura di Moby Dick, su esplicita richiesta del regista John Huston, e nel 1956 scriverà diverse sceneggiature per il programma di Alfred Hitchcock Alfred Hitchcock presents.  

Ray Bradbury e la sua dichiarazione d'amore: "Fahrenheit 451"

Bradbury, un marziano sulla Terra

Le prime esplorazioni spaziali con destinazione Marte risalgono agli anni Sessanta, ma, tra difficoltà tecniche e errori di calcolo, in quel decennio si contano più fallimenti che missioni andate a buon fine. Un notevole passo avanti si avrà nel 1976, quando la sonda Viking 1 atterrerà sul suolo di Marte, dando il via a una serie di nuovi atterraggi che forniranno informazioni preziosissime alla comunità scientifica, come la temperatura del pianeta e l’esistenza passata e presente di risorse idriche. Prima di questi sviluppi, però, l’uomo non poté far altro che fantasticare attorno al pianeta rosso, elaborando teorie stravaganti, tollerate, proprio perché palesemente inventate.

A Marte Bradbury dedicò nel 1950 una delle sue prime opere di successo: Cronache marziane. Quando il pianeta rosso costituiva ancora l’ultima frontiera, quando la Luna stessa era guardata come un traguardo ambizioso, Ray Bradbury si interrogò, come tanti, sull’esistenza di forme di vita sul pianeta, dando una visione tutt’altro che stereotipata dei marziani. I suoi “alieni”, se così li vogliamo chiamare, non sono mostri assetati di sangue necessariamente in guerra con gli abitanti della Terra. Con gli umani, piuttosto, hanno molto da spartire e non sono neppure esenti da quelle preoccupazioni e paure che assillano la nostra specie. Avranno la pelle di un altro colore, ma il cuore…quello ci assomiglia tantissimo.    

Fahrenheit 451 e il successo planetario

La consacrazione dello scrittore americano sul panorama internazionale arriverà però con un romanzo uscito pochi anni più tardi, nel 1953. Fahrenheit 451 è la temperatura, secondo Bradbury, a cui si innesca il processo di autocombustione della carta e, quindi, dei libri. Vero o falso che sia – fisici e chimici potranno certamente obiettare che tanti fattori concorrono a creare situazioni differenti, anticipando o ritardando il processo di combustione – il titolo vuole farci riflettere. Ray Bradbury immagina un mondo, ovviamente ambientato nel futuro, in cui i libri sono stati messi al bando.

Il perché è semplice: leggere ci impone di pensare e pensare può far mettere in discussione il sistema in cui si vive. Per questo i governanti hanno trasformato i libri in animali da abbattere, causandone la quasi totale estinzione. E il protagonista, Montag, li distrugge pure per lavoro, visto che in una società del genere i pompieri, anziché estinguere gli incendi, li appiccano per distruggere quei pericolosissimi libri. La svolta arriverà quando Montag, dopo aver conosciuto una giovane vicina che sembra sottrarsi alla malattia generale che vuole tutti presi da una smania di svago e dal culto della velocità, si fermerà a riflettere e inizierà a domandarsi se effettivamente quello che tutti conducono sia l’unico stile di vita possibile.

Questo lo porterà a trasformarsi da distruttore a paladino dei libri, diventando però a sua volta uno dei tanti ricercati da braccare come animali feroci. Il romanzo a tratti non tiene – inspiegabile, per esempio, l’improvvisa scomparsa di Clarisse, la vicina di casa, che senza valide motivazioni viene rimossa dalla vicenda -, ma il messaggio che l’autore vuole comunicarci è assolutamente incisivo: attenzione a diventare troppo succubi del progresso, si rischia di perdere ogni riferimento morale e legame affettivo.

The Stage Show - "Ray Bradbury Live (forever)" The Stage Show

Bradbury, uno scrittore di fantascienza “anomalo”

Se si ragiona secondo la logica tradizionale, quella che vede negli scrittori di fantascienza delle persone così attratte dal futuro da dimenticare il tempo presente, le soluzioni narrative di Ray Bradbury ci sembreranno perlomeno un tantino eretiche. Il ragionamento non fa una piega. In effetti Bradbury ha spesso rivendicato il fatto di praticare una fantascienza che mette al centro di tutto l’uomo, non la macchina. In certe interviste risulta addirittura incredibile pensare che a parlare sia proprio uno scrittore di fantascienza.

Non è raro, infatti, leggere articoli in cui denuncia la congestione provocata dall’eccessiva quantità di automobili sulle strade e nelle città americane; come non è difficile ritrovare dichiarazioni assai polemiche nei confronti del condizionamento mediatico dovuto alla televisione. Ray Bradbury non scriveva per compiacere qualcuno, ma scriveva per assecondare un intimo bisogno, lo slancio creativo che, col passare degli anni, si faceva sempre più insistente. E gli stimoli gli provenivano soprattutto da ciò che gli stava attorno. Molto spesso gli furono attribuite doti profetiche, in virtù di intuizioni che, poco tempo dopo, sarebbero diventate realtà.

Bradbury e la sua idea di fantascienza

Per capire meglio questa diversità rispetto ai filoni tradizionali occorrerà approfondire ciò che la fantascienza significava per Bradbury. Innanzitutto è libertà, libertà assoluta. Secondo Ray Bradbury con la fantascienza si può discutere dei problemi dell’umanità, dall’inquinamento alle guerre, fino ad arrivare al razzismo.  In questo lo scrittore è un po’ come il giullare medievale: può sferzare i potenti, puntando il dito verso di loro e le loro colpe. Allo stesso tempo la fantascienza è un bacino di idee. Per Ray Bradbury nacque addirittura al tempo dell’uomo delle caverne. Ne sarebbero testimonianza le prime pitture rupestri.

L’uomo fin dall’antichità dovette scontrarsi con numerosi problemi che minacciavano ogni giorno la sua sopravvivenza. Come riuscire ad abbattere una gazzella, persino un mammut? Con l’ingegno, ecco tutto. Che altro è la fantascienza, ci dice Ray Bradbury, se non constatare l’esistenza di un problema e arrivare, dopo essersi abbondantemente grattati il capo, a una possibile soluzione? Solo i ripetuti tentativi e la costanza nel portarli avanti ci diranno se è una soluzione di valore. È così, però, che nascono i coltelli, le lance, il fuoco. Da un problema che richiede una soluzione per trionfare nella lotta per la sopravvivenza.

Questa è la fantascienza. E sempre, vero artefice di tutto ciò che in un dato momento storico non si può che immaginare, è l’uomo. Per questo Ray Bradbury è una spanna più in alto di tanti altri scrittori di fantascienza del Novecento. Perché scelse sempre con cura i suoi personaggi e anche quando decise di impiegare esseri meccanici non dimenticò mai questo: che l’uomo pensa, la macchina no.

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Massimo Vitulano
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