Tra i tanti scrittori contemporanei che mi vengono in mente, nessuno mi ha colpito emotivamente come Raymond Carver. La sua poetica arriva direttamente al cuore e al cervello non per lo stile, non per la padronanza della lingua, ma per la sua semplicità.
Ciò che rende veramente speciale Carver è la sua innata e indubbia qualità nel descrivere la semplicità. La semplicità della vita, il cammino dell’essere umano su questa terra, un percorso che si divincola sempre tra la passione e il tradimento, tra la libertà e la tragedia.
Nei suoi racconti brevi il buon Carver si erge come uno strimpellatore, un folk-singer dylaniano misto a Springsteen: questo perché nella sua scrittura esiste sì una “maestà della vita”, ma è una maestà cittadina, comune ed immortale.
In Principianti, la versione originale della sua seconda raccolta Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, lo scrittore statunitense mette in tavola tutte le sue carte: la suspence, l’amore, l’alcolismo formano il trittico sopra il quale si poggia l’esistenza dei suoi racconti e della sua personale visione del mondo.
Per Carver non esiste mondo senza amore, anche quando è questo a distruggere interiormente una persona. Sin dal primo racconto della raccolta, Perché non ballate?, lo scrittore presenta una scena quasi di impatto teatrale.
I dettagli del racconto, la minuzia nel descrivere gli spazi aumenta ancora di più la poetica carveriana; gli oggetti della casa di un uomo, probabilmente divisosi dalla moglie, sono gli ultimi ricordi che lui ha di lei.
Il letto, il televisore, il giradischi: in questo turbinio materialista sopraggiunge l’ingresso di due giovani fidanzati, i quali, vedendo la possibilità di ottenere un’occasione, decidono di entrare dentro la casa dell’uomo.
Dopo essersi scambiati delle battute, i tre iniziano a bere. Notando questo giovane amore, l’uomo propone a loro di iniziare a ballare, forse per cercare di ricordare, una volta per tutte, questo sentimento perduto.
In un’eterna danza che prima balza sul sentimento della passione e successivamente verso l’attaccamento al materiale, Carver liquida un amore ormai finito e ne fa iniziare uno nuovo, come in un giro di giostra.
Anche in Mirino vi è un nuovo connubio tra gli oggetti e il sentimento dell’amore. In questo racconto l’occhio della fotocamera scatena una piccola serie di eventi che porteranno uno dei protagonisti, un uomo abbandonato dalla moglie e dai figli, sul tetto di casa sua.
Vedendo la griglia che copre il comignolo del tetto piena di sassolini, l’uomo decide di iniziare a tirarli via, lontano da lui. Un atto apparentemente normale quello immortalato dalla Polaroid dell’altro uomo, ma che in realtà nasconde dietro di sé una simbologia molto forte, ovvero quella di scagliare via tutti i pesi che lo stanno soffocando.
Come si è potuto vedere da questi due racconti, la semplicità di Carver tira avanti la narrazione. Ovviamente tutto questo non significa assolutamente che la vita sia semplice, ma che per vivere meglio servirebbe più semplicità, condita anche da una piccola dose di complicità.
Si potrebbero citare molti altri racconti di questa tipologia, come La vuoi vedere una cosa? o lo stesso Di cosa parliamo quando parliamo d’amore (quest’ultimo omaggiato anche da Birdman di Iñárritu); tuttavia Carver si è cimentato in racconti come Dì alle donne che usciamo, un vero gioiello della letteratura contemporanea, un racconto di sconvolgente bellezza.
Quello che, apparentemente, inizia come un ennesimo racconto di una giornata tra due amici con le rispettive famiglie, di punto in bianco si trasforma in una narrazione thriller, un inseguimento, una battuta di caccia da parte dei due protagonisti.
Annoiati da questo inizio giornata noioso, Bill e Jerry decidono di fare un giro in macchina accompagnati da una buona dose di lattine di birra. La marcia sembra proseguire normalmente, quando, ad un certo punto, i due incrociano per strada due ragazze in bici.
La storia inizia improvvisamente a cambiare direzione, ed anche noi lettori ci troviamo persi tra le parole dello scrittore americano. L’insistenza di Bill e Jerry preoccupa le due ragazze e aumenta l’ansia di chi legge.
Il vortice della violenza incontrollata è causato dalla noia, spettro che circonda costantemente i protagonisti di questo racconto. Tuttavia, la cosa che spaventa ancora di più è la trasformazione del lettore in spettatore: tutto questo è dovuto, in gran parte, alle capacità narrative di Carver, grande burattinaio della letteratura, contemporanea e non.
Quando pensiamo alla letteratura, la mente arriva subito a grandi nomi e a grandi romanzi, a personaggi epici e ad antieroi, ma mai (o quasi mai) all’uomo comune e alle sue azioni. Il compito dell’arte della scrittura è quello di non dimenticare e di non far dimenticare, e per quanto un racconto possa risultare banale nella sua totalità, in realtà non lo è. Per citare lo stesso Carver: “Un buon racconto vale quanto una dozzina di cattivi romanzi.”
Ogni anno, ogni giorno, ogni ora veniamo sconvolti da racconti di questo genere, che non dovrebbero esistere in una normale quotidianità. Per questo motivo Eligo in Summum Pontificem Raymond Carver, uomo e scrittore che ha avuto il coraggio di dimostrare e denunciare la banalità della violenza.
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