Nonostante il conduttore e direttore artistico del Festival di Sanremo 2020 abbia rispedito al mittente le accuse di sessismo, la bufera non si placa. Ma se vi dicessi che Amadeus non è più maschilista dei precedenti “padroni di casa” della competizione?
Nelle ultime ore, le frasi di Amadeus sono il caso sociale e politico che sta invadendo l’Italia da nord a sud. “Mi dispiace che sia stata interpretata malevolmente la mia frase, sono stato frainteso”, così si è giustificato, o almeno ha provato a disinnescare una bomba ormai esplosa. Eppure, il direttore artistico del Festival della canzone italiana non è il solo che ha scelto una donna “per la bellezza, ma anche per la capacità di stare accanto a un grande uomo, stando un passo indietro”.
In settant’anni – settanta – Sanremo ha visto padroneggiare solo ed esclusivamente dei conduttori, che per carità, alcuni veramente bravi, attenti e all’avanguardia, ma pur sempre soggiogati da una mentalità bigotta e maschilista, una mentalità che vede la donna alla mercé di un uomo, non in grado di tenergli testa e utile solo come accessorio di abbellimento del maschio alfa della situazione. Una mentalità figlia della nostra società e della nostra cultura.
Certo, la cosa che ha indignato di più sono quei “bella”, “bellissima”, “splendida” o “sexy” ripetuti da Amadeus per undici volte di seguito per presentare le donne che saranno con lui durante le serate, come se fosse circondato da manichini senza cervello, irrispettoso della formazione di ognuna di loro. Perché parliamoci chiaro, avere un complimento sull’estetica fa piacere a chiunque, quante di noi si sono sentite compiaciute dopo un “sei bella”? Il problema è quando veniamo scelte solo per la boccuccia a cuore e l’occhietto azzurro, per il metro e settantotto e il sedere a mandolino. E’ svilente. La bellezza dovrebbe essere un valore aggiunto, non una conditio sine qua non.
Ma le parole di Amadeus sono di fatto la scelta delle classiche “vallette” sanremesi.
Vi ricordate no? La “mora” e la “bionda”, come se non avessero dei nomi. O come dimenticare la scelta di Carlo Conti su Rocio Munoz Morales e Marica Pellegrinelli, o la sfilata che fece fare alle “figlie di”: Anouchka Delon, Annabelle Belmondo, Dominik Garcia e Sistine Rose Stallone. Purtroppo Sanremo è da sempre una vetrina troppo ghiotta per chiunque volesse dire “no, non sono d’accordo”, durante la conferenza stampa alcune delle donne sedute intorno al tavolo potevano alzarsi, potevano interrompere quelle parole, potevano dire “caro Ama, grazie per la scelta, ma io oltre ad un viso piacente sono laureata, ho un curriculum di cui ne vado fiera, i sacrifici fatti per la mia formazione sono oggi ripagati e che se il mio bel faccino ti piace sono contenta, ma non è indispensabile per la mia carriera professionale”. Eppure c’è stato silenzio. Quel silenzio, se vogliamo, è stato più forte di quelle parole.
Una non reazione che avalla il pensiero di molte persone che concepiscono la figura della “valletta” come donna di bella presenza e non parlante.
D’altronde in settant’anni solo quattro donne hanno condotto Sanremo e nessuna mai è stata direttrice artistica, come se non fossero capaci di salire sul palco dell’Ariston da sole o non fossero capaci di scegliere i cantanti in gara. E no, non è una questione di “passo avanti” o “passo indietro”. In una società civile, lungimirante, moderna e che mette al centro la cosiddetta e così sconosciuta “pari di genere”, non ci dovrebbe mai essere il discorso di avanti e indietro, di “fidanzate di” o “figlie di”, non ci dovrebbe mai essere l’esaltazione di un genere, maschile o femminile che sia.
Per questo, il Festival di Sanremo di Amadeus non è né più e né meno di quelli precedenti con la medesima arretratezza culturale di una società patriarcale. Semplicemente ci ha dimostrato, ancora una volta, che la strada è ancora lunga e per questo dobbiamo lottare e non possiamo stare in silenzio.
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