Uscito il 14 febbraio, Che Vita Meravigliosa rispecchia l’essenza artistica di Diodato. E’ un disco nostalgico e malinconico, ma anche riflessivo e consapevole.
Mi hanno sempre detto che “la musica ti salva”. Non ho mai capito bene perché, ma ci ho creduto. Ci ho creduto talmente tanto che in uno dei momenti più difficili della mia vita ho preso in mano le cuffiette ed ho cliccato “play”. Volevo viaggiare lontano, andare via. Perché quando non si ha più il privilegio di essere nipoti, si smette anche di essere bambini. È un pezzo che si stacca prepotentemente, nonostante lo si voglia custodire con gelosia.
Bisogna crescere e bisogna farlo in fretta, perché questo mondo gira troppo veloce e non puoi perdere tempo. E allora ho affidato il mio silenzio assordante alle undici tracce di Che Vita Meravigliosa. Ho chiesto a Diodato di aiutarmi a ricucire una parte di me che non tornerà più, a riempire un vuoto incolmabile, a raccogliere i cocci e rimetterli al loro posto. Con le sue parole ho provato a guardare avanti, a razionalizzare, a capire che, piaccia o non piaccia, questa è la vita e bisogna prenderla così com’è, con i suoi pregi ed i suoi difetti.
Dunque eccomi qui, con in mano un album fresco d’uscita e un dolore troppo grande da sopportare. Avrei voluto ascoltarlo prima, lo aspettavo da tempo, ma ho dovuto rimandare a causa di forza maggiore. E’ proprio quando fuori è buio e il sole non ne vuole ancora sapere di alzarsi che riesco ad esprimermi meglio. E’ sempre stato così, oggi ancora di più.
Il coraggio di essere grandi
Metà Italia ha conosciuto Diodato con il brano Che Vita Meravigliosa presente nella colonna sonora de La Dea Fortuna di Ferzan Ozpetek, l’altra metà durante il Festival di Sanremo. Eppure il cantautore tarantino ha una lunga gavetta alle spalle, fatta di sacrifici e successi condivisi, spesso, con una cerchia ristretta di pubblico. Perché Diodato ha ben poco di mainstream, mi piace definirlo il “nuovo Tenco”, perché lui ha un cantautorato sentimentale proprio di un sognatore che non si vuole arrendere alla realtà. Le sue canzoni d’amore non sono semplici canzoni d’amore, ma versioni intimistiche della propria esperienza.
In un panorama artistico italiano dove spesso la qualità viene subordinata al pacchiano e l’apparire a tutti i costi diventa una fissa, Diodato rappresenta una boccata d’ossigeno. Il suo è uno stile riconoscibile, in cui si porta dentro un pizzico di pop cantabile, di intensità dei suoni e delle atmosfere romantiche della musica italiana, e un taglio del nuovo cantautorato. Tutti ingredienti che lo rendono un artista unico nel suo genere. Con la sua vittoria inaspettata al Festival della canzone italiana, ci ha insegnato tanto: ci ha insegnato a non arrenderci ai tanti no, che le ferite bisogna cicatrizzarle, che la passione e i sacrifici alla fine, se ci credi, ripagano sempre.
Che vita meravigliosa: il trionfo del bello
Ha detto Mina: “La canzone di Sanremo che mi è piaciuta di più è quella di Diodato”. Era il 2014 e il cantautore arrivò secondo nella sezione Nuove Proposte con il brano Babilonia. Eppure ci sono voluti non uno, ma ben sei anni per convincere il pubblico del suo immenso talento, vincendo non solo il Festival, ma portandosi a casa anche il Premio della critica Mia Martini e quello della Sala Stampa Lucio Dalla.
Perché Fai Rumore ha fatto innamorare tutti, ma proprio tutti. Perché in quelle parole lui ci crede e ci convince, perché ci fa capire che a volte l’orgoglio bisogna metterlo da parte, che bisogna avere coraggio di gridare “fai rumore” anche a costo di sembrare “sottoni”. E allora che ben venga un uomo che non ha paura di dire che quello che è stato, è meglio di quello che c’è oggi, che tornare indietro è l’unica strada per essere felici: «E faccio finta di non ricordare, e faccio finta di dimenticare, ma capisco che, per quanto io fugga, torno sempre a te».
Apri pista dell’album non poteva che essere una delle canzoni più belle di sempre: Che vita meravigliosa. Un brano dolce, sapiente, suggestivo, evocativo. E’ una mano delicata poggiata sulle spalle, un inno alla vita. E’ un grido a cielo aperto. E’ il mio grido a cielo aperto. «Tra le cose non fatte per poi non doversi pentire le promesse lasciate sfuggire soltanto a metà, mentre pensi che questo non vivere sia già morire, chiudi gli occhi lasciando un sospiro alla notte che va». Non mi stupisco che un animo sensibile come quello di Ferzan Ozpetek l’abbia scelta come colonna sonora, d’altronde chi fa arte non può non riconoscerla negli altri.
Nella seconda traccia si parla d’amore. Fino a farci scomparire è una sorta di sfogo personale, racconta la fine di una storia, una di quelle a cui hai creduto tanto fino a farti male. Perché quella persona non la vuoi lasciare andare via, non sei pronto. Perché è tutto qui e adesso. «Sembrava evidente che non c’era più niente da fare, ma tu amavi insistere col tuo accanimento morale e perdevamo tutto anche la dignità».
Ma Diodato non è solo “canzoni d’amore”. Testimone di questo è Lascio a voi questa domenica, un bellissimo brano, struggente e realistico, ispirato ad una storia vera. Il testo parla di un suicidio di una persona nella stazione di Cattolica e dell’indifferenza spiazzante delle persone che girano intontiti in una società che ha smarrito l’empatia. «E ora che i treni sono fermi alla stazione è scoppiata la rivoluzione, gente che grida ad un telefono in cerca di una soluzione, chi se la prende con la sfiga, col destino e chi ci crede con Dio, coi deputati con i gestori telefonici e pure con gli immigrati che vanno in giro la domenica». Il tutto è orchestrato da un sound allegro che contrasta con il racconto della tragedia.
L’instabilità, l’evanescenza e l’equilibrio precario sono narrati in Alveari. Il ritmo elettronico accompagna delle parole che sanno di quotidianità. «E poi cadere un giorno, cadere un giorno e ricordarsi che è tutto così fragile, un equilibrio facile da perdere ma cadere non è inutile, cadere non è inutile cadere è ritrovarsi, ricordarsi di nuovo dell’essenziale invisibile».
Le tastiere e l’ironia li ritroviamo anche in Ciao, ci vediamo, che tratta di un rapporto a cinquanta per cento amicizia e l’altro cinquanta flirt. «E l’amicizia lo sai non ci riuscirà mai, che se a te negano qualcosa diventi più pericolosa con quel tuo fare da innocente, tu ne hai fregata tanta di gente ma io che ormai ti conosco resto sul filo più che posso».
Stile anni Sessanta è Non ti amo più, una delle canzoni più belle dell’album, già singolo da qualche mese. Un brano che racconta i momenti complicati e quella sensazione di consapevolezza che anticipa la fine di un amore. Una canzone sincera e forte, che sebbene tragga origine da emozioni dolorose, porta con sé energia, libertà e voglia di rinascita. Nessuno è bravo a raccontare i sentimenti e l’amore come fa Diodato. Il video è divertente ed irresistibile, come l’autore di questo brano.
La forza della solitudine arriva con Solo, un vero pugno nello stomaco. «Qualche volta sei rimasto solo perché gli altri non volevano condividere con te la noia dello stare al mondo senza alcuna gioia e qualche volta sei rimasto solo perché tutto il resto non aveva niente che ti appartenesse davvero niente per cui poi davvero valesse la pena». Quanta verità in queste parole, perché un po’ tutti noi ci siamo sentiti soli almeno una volta nella vita, per scelta o costrizione.
Ne Il commerciante, canzone a me già nota da qualche mese, Diodato racconta una storia alla Niccolò Fabi, di quelle storie che piacciono a me: semplici, dirette e dirompenti. «Ed io ho pensato che è diventato difficile trovare persone competenti innamorate di un lavoro normale. Ho pensato che è tutto un grande centro commerciale con le passioni in saldo, tutte in offerta».
La rinascita, il riscatto, la voglia di evadere dalla routine quotidiana e rimettersi in gioco è presente in E allora faccio così, in cui le chitarre elettriche la fanno da padrone. Un brano positivo, che guarda al futuro dando un calcio al passato: «Oh quanto tempo perso nel cercare a tutti i costi di non essere me stesso, per somigliare a chissà che, a chi che cosa e poi perché se sono già un gran bel casino da me».
Il disco si chiude con Quello che mi manca di te, una ballade devastante, che mi trapassa. Un misto di dolcezza e malinconia struggente. «E quello che sento adesso è così forte che non riesco a tenerlo chiuso qui dentro, vorrei urlarlo più forte che posso, più forte che posso anche se. Quello che manca davvero di te non te lo so spiegare». Il finale lasciato alla sola musica rende perfetta la chiusura di un album eccezionale.
Che vita meravigliosa è la conferma di quello che già pensavo di Diodato: un artista sincero e coerente, intimo ed intenso, mai uguale a sé stesso. Il suo romanticismo confidenziale ed elegante, trasuda bellezza. Perché di bellezza si tratta quando si ha a che fare con un’anima nobile e una voce limpida come quella di Diodato che se non si tratta di perfezione, si avvicina molto. E allora ho forse capito da cosa ti salva la musica: dal silenzio e dal dolore.
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