I Flower Kings pubblicano il loro ultimo album, Islands.
Era l’autunno del 2019 quando fecero uscire il precedente Waiting For Miracles, e sarebbe dovuto passare un po’ di tempo prima di una nuova pubblicazione. La pandemia di Covid-19 ha cambiato tanti piani, compresi i loro. Ecco quindi che, saltando festival, tour e concerti vari, la band decide di dedicare il nuovo tempo libero a disposizione lavorando a nuovo materiale.
Con le nuove possibilità offerte dalla comunicazione online, i cinque proggers, sparsi nel globo tra Svezia, Italia, Stati Uniti e Austria, si scambiano idee, riff, brani che si completano reciprocamente, realizzando un’opera mastodontica di oltre novanta minuti divisi in due parti.
Facile anche intendere il significato del titolo: Islands individua, seppure in una maniera più epica, fantasiosa e progressive, la vicenda di isolamento, di disconnessione e paura che l’umanità ha provato e continua a provare in questo tormentatissimo 2020.
Il primo punto fondamentale di questa pubblicazione consiste nell’immenso passo avanti rispetto alla precedente di un anno fa.
Islands presenta una maggiore coerenza compositiva rispetto al precedente Waiting For Miracles. La sua forza sta in un concept sapientemente costruito, basato su alcuni leitmotiv facilmente memorizzabili che sbucano lungo tutto l’album, creando ponti tra le varie isole dell’opera. La scelta paga notevolmente, restituendo all’ascoltatore un’esperienza musicale veramente magica, piacevolissima e magnetica: ad ogni ascolto i particolari si fanno più evidenti, arricchendo composizioni già ben tornite.
Il passo avanti principale rispetto a Waiting For Miracles risiede in una maggiore personalità dei Flower Kings, ma di anni luce avanti rispetto allo scorso anno. Ha quasi dell’incredibile una svolta così sensazionale in appena dodici mesi di distanza, tanto da far chiedere perché la penultima pubblicazione fosse così “scarsa” paragonata a questa. I Flower Kings in Waiting si erano persi molto nella imitazione (di ottima fattura, va riconosciuto) delle band storiche del Progressive e Neoprogressive inglese, in cima alla lista sicuramente Genesis, Camel, Marillion e simili, togliendo spessore ai brani e facendoli apparire banalmente quasi come un’ottima cover band priva di grandi doti compositive. Islands non è così.
Islands è uno splendido album, in cui la band mostra di saper comporre brani variegati, molto diversi tra loro per svariati aspetti (intenzioni, stili, sonorità), eppure mantenendo una coerenza di fondo e, soprattutto, senza annoiare, un peccato di cui si macchiano moltissimi proggers.
I Flower Kings sanno spaziare da atmosfere tradizionalmente Progressive, guidate da tempi dispari, sintetizzatori vintage e epici assoli di chitarre (come la opener Racing With Blinders On) ad altre più morbide, delicate, intime, di un Pop adulto, maturo, riflessivo (Morning News). Abbiamo stravolgimenti strumentali (Broken, A New Species)e prestigiosi brani lunghi (Solaris), dove gli strumentisti, tutti, nessuno escluso, riescono a dare prova di sapienti esecuzioni e ricchezza di gusto. Ma non mancano brani che strizzano l’occhio a sonorità Folk o Smooth Jazz (l’intro da piano bar di Man In A Two Peace Suite), senza tuttavia farci arricciare il naso, perché la composizione dell’album lo consente: non sono escandescenze prog di una band priva di idee, assolutamente. Tra l’altro quest’ultimo brano riserva una piccola chicca per il pubblico italiano del Progressive: si avverte, all’inizio e alla fine, uno scambio di battute tra un uomo e una donna (- A te ti piace di più questo…? – Allora, questo mi piace di più… Però…). Visto che ci emozioniamo per la citazione da Nuovo Cinema Paradiso da parte dei Dream Theater…
Come già detto, Islands è un album molto bello, molto piacevole, gli amanti del Prog ci andranno a nozze, sia quelli più nostalgici degli anni Settanta sia quelli più legati a sonorità Prog Metal (qualche scelta stilistica incontra i canoni dei Dream Theater più recenti). Un album che offre sempre qualcosa in più, ascolto dopo ascolto.
Eppure non lo si può definire un capolavoro.
La prima pecca sta in un particolare di una certa rilevanza. Benché si intenda la bellezza di certi testi e una buona dose di fantasia Prog d’altri tempi, la band sembra aver dato alle parti liriche un’attenzione minore rispetto a quella degli strumenti. Le parti cantate raramente riescono a provocare grandi emozioni. Non si tratta di parti cantate male, non è un problema di esecuzione, ma piuttosto di ispirazione. Delle belle parti liriche sono fondamentali, soprattutto nei ritornelli, per focalizzare maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore. Questo non avviene molto spesso in Islands. Nell’album le parti strumentali si lasciano ascoltare molto più volentieri di quelle liriche. E fortunatamente, grazie all’abbondanza di sezioni per soli strumentisti questo è molto positivo per l’album.
La seconda grande pecca di Islands sta nella debolezza della coesione della seconda parte.
Negli ultimi dieci brani sembra quasi che i Flower Kings abbiano voluto concedersi qualche libertà esecutiva in più rispetto ai precedenti undici. Il problema è questo scolla un po’ le canzoni tra di loro, privandole del piacevole amalgama che aveva caratterizzato la prima parte. Se strumentalmente ciò ci permette di apprezzare maggiormente la potenza musicale di ogni brano preso singolarmente (la già citata A New Species, Looking For Answers, Islands, per citarne alcune), dall’altra priva l’album di una complessiva coerenza.
Si tratta di pecche che se non ci fossero state avrebbero portato i Flower Kings alla realizzazione di un capolavoro. Quindi, per chiarire, Islandsè un bellissimo album, una delle pubblicazioni più piacevoli di quest’anno per quanto riguarda questo genere, nonché uno straordinario passo avanti rispetto a Waiting For Miracles. Speriamo quindi che i prossimi mesi ci portino buone notizie: chissà, magari avremo la possibilità di goderci dal vivo l’esecuzione di Islands. Sarebbe un’esperienza meravigliosa.
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