Gallery di Massimiliano Di Stefano (@project_photo.it)
L’estate di Yves Tumor è stata un susseguirsi di tappe in tutto il mondo, da Osaka a Brooklyn, passando per i più importanti festival europei. Tra queste date, c’è stato spazio anche per una piccola tappa italiana, a Milano.
L’estate del Castello Sforzesco chiude la rassegna musicale di agosto con il suo ospite probabilmente più enigmatico e controverso. È impossibile infatti definire l’arte e l’immagine di Sean Bowie, meglio conosciuto come Yves Tumor, in banali categorie. Aprendo Spotify, lo si può trovare in playlist che spaziano dall’indie all’alternative, dal queer all’elettronica. Alcuni lo etichettano come glam rock, altri come la rinascita del pop punk. Yves Tumor è uno dei pochi artisti che ha saputo mantenere intatto il suo alone di mistero, nessuno sa con certezza la sua età o la sua città natale. Sul palco, si presenta come un moderno Prince nella sua BRAT ERA con un sottofondo darkwave. Gucci e Louis Vuitton lo scelgono per le campagne di moda, lui continua a spaziare portando look sempre caratteristici, maschere dipinte e capelli colorati.
In ogni caso, a prescindere dal genere, gli ultimi tre album di Yves Tumor hanno ricevuto apprezzamenti unanimi dalla critica, consacrando la sua musica come una delle più influenti della nostra generazione.
Questi presupposti, qualche goccia di pioggia ed una location sicuramente pittoresca, hanno reso l’attesa del concerto molto particolare. Il pubblico è variegato ma non numerosissimo, a riprova della storica divergenza tra critica e mainstream.
Il concerto inizia dopo le 22, con quasi un’ora di ritardo. Sul palco, accanto a Yves Tumor, ci sono due chitarristi ed un batterista che entrano avvolti da una nube di fumo e luci stroboscopiche. Maro Chan e Yves Rothman danno il via giocando con delle distorsioni sulle loro rispettive chitarre, riuscendo a creare un muro sonoro perfetto per l’ingresso di Yves Tumor.
La prima canzone è “God Is a Circle”, uno dei pezzi principali dell’ultimo album “Praise a Lord Who Chews but Which Does Not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds)”. Yves Tumor si posiziona di traverso rispetto al pubblico ed inizia a cantare con un atteggiamento piuttosto statico. Sostituisce i saluti con dei colpi di tosse e prosegue con “Echolalia” e “In Spite of War”, per poi arrivare a “Gospel for a New Century”, il brano che lo ha “mainstreamizzato” di più.
Da questo poker di canzoni iniziali mi sarei aspettato un simil-terremoto, ma la resa finale si è rivelata più simile ad una bomba inesplosa.
La percezione generale è quella del finto disordine, tipico del punk, ma privo della rabbia o dell’urgenza che caratterizzano il genere.
La voce di Yves Tumor è molto particolare, il suo timbro è iconico anche dal vivo ma, a tratti, scompare divorato dai suoni della band. Gli effetti sulla voce la trasformano quasi in uno strumento aggiunto risultando perfetta nei brani più punk, meno efficace nei pezzi più melodici.
La scaletta prosegue senza alcun brano tratto da “Safe in the Hands of Love”, mentre l’ultimo album viene eseguito quasi per intero. “Meteora Blues” si distingue per un finale potente, in cui chitarra e voce trovano finalmente la giusta esaltazione. “Jackie”, invece, dimostra come l’EP del 2021, eseguito dal vivo, risulta più affascinante di alcuni brani più noti.
Il livello musicale della serata è indubbiamente elevato. Rhys Hastings alla batteria domina ogni brano senza mai risultare scontato; Maro Chon non si ferma un attimo, coinvolgendo il pubblico con assoli continui; Yves Rothman, invece, si occupa del “lavoro sporco”, gestendo la seconda chitarra, il synth e gli elementi elettronici. Probabilmente manca qualche elemento in più per rendere l’esibizione davvero incisiva. Non c’è una seconda voce a supportare Yves Tumor ed alcune linee di basso e chitarre acustiche sono pre-registrate limitando la potenza della band che rimane imbrigliata in schemi musicali preimpostati.
“Secrecy Is Incredibly Important to the Both of Them” è sicuramente il brano più ispirato della serata. Yves Tumor finalmente si lascia andare, tira fuori il suo artiglio vocale, si muove sul palco e conclude il pezzo con “Be aggressive, B-e aggressive”, un verso preso in prestito dal celebre brano dei Faith No More. Il pubblico lo segue nei cori con un tiepido coinvolgimento e, con un gesto ironico di stizza, Yves Tumor chiude rapidamente il brano ritirandosi dietro le quinte.
L’encore inizia con “Kerosene!”, il brano registrato con Diana Gordon. Questa ballad dark muove la musicalità di Yves Tumor verso nuovi lidi, mostrando la sua straordinaria capacità di interpretare generi opposti e ricordandoci perché continua a occupare i primi posti nelle classifiche di fine anno di Pitchfork, NME, Rolling Stone e New York Times.
“Ebony Eye” chiude il set dopo circa un’ora. Nessun saluto affettuoso, solo qualche plettro lanciato e subito le luci si accendono illuminando il prato del Castello Sforzesco.
Prima del concerto avevo visto vari video di Yves Tumor live ed in tutti lo si vedeva calcare il palco con aggressività, vivacità, muovendosi in maniera istrionica e coinvolgente.
A Milano, al contrario, è sembrato tutto troppo piatto. Qualche colpo di tosse, pochi virtuosismi vocali, ed una performance generale non in linea con la sua aura ma che sembra l’esecuzione di un compito ben eseguito.
Vedere Yves Tumor dal vivo significa trovarsi di fronte ad un artista totalizzante, che fonde visual, attitude, stile e musica in modo unico e che conquista un pubblico che va dalle ragazzine punk ai signori over 60. Ma a Milano la sua energia è sembrata trattenuta, come un uragano mai esploso. Ci sono stati alcuni momenti di grande bellezza e ispirazione ma il tutto appariva in un contesto offuscato.
Non so se è questa l’essenza rivoluzionaria di Yves Tumor ma sono sicuro che dovrò vederlo ancora e sono sicuro che la prossima volta sarà ancora diverso, sempre nuovo, sempre imprevedibile e sempre capace di portare qualcosa di più in un panorama di artisti poco originali.