Pino Scotto: Dog Eat Dog [Recensione]

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E’ uscito il nuovo album di Pino Scotto, “Dog Eat Dog”, purtroppo. Dico purtroppo perchè Pino Scotto è uno di quegli artisti che riesce ad andare avanti, come tanti altri del suo genere, solo grazie al nome. Inoltre è definito uno degli intoccabili dai metalheads cattivoni della scena italiana. Ma io con questa recensione lo toccherò, eccome se lo toccherò.

Mi ricordo quando seguivo Pino Scotto, su Rock Tv. Era lì a fare la sua trasmissione, dove sparlava di chiunque, sparlava di tutti quelli che, secondo lui, fossero poco metal o non fossero degni di stare al mondo concludendo le sue “critiche” (visto che nella maggior parte dei casi mancavano di argomentazione) con, prima un dito medio, poi una qualche parolaccia per concludere il tutto con la celebre frase “io ho lavorato 35 anni in fabbrica”.

Ora, un personaggio come Pino Scotto, che non ha più nulla da dare alla musica rock/metal, che diventa la parodia di se stesso ogni giorno che passa, dovrebbe essere caduto nel dimenticatoio da anni, ed invece non è così. Forte del suo essere stato reso intoccabile da molti nostalgici degli “anni d’oro” della musica rock/metal, continua a sfornare album e a fare tour passando per quello che non è più, ovvero un musicista.

Non mi dovrei stupire del fatto che le canzoni suonino tutte maledettamente uguali. Infondo Pino Scotto deve far sì che i nostalgici abbiano ancora più nostalgia di quanta, purtroppo, non ne abbiano già.

Questo è quello che chiamo “effetto nostalgia”, ovvero quando l’artista in questione, Pino Scotto, sfrutta la nostalgia dei suoi fan, o anche dei nostalgici in generale per avere successo. Ma c’è un problema, questo effetto funziona solo se a farlo è qualcuno già molto famoso, ancora meglio se ha vissuto gli “anni d’oro” del genere (in questo caso del rock e del metal). Se a farlo è invece un artista giovane o una band di giovani questo “gioco” non funzionerà, anzi, si ritroveranno solo critiche che si basano sull’idea che i giovani non siano degni di suonare generi “old school”.

Ed ecco quindi che con “Don’t Waste Your Time”, di cui ho già parlato, si apre questo Dog Eat Dog. Dopo “Not Too Late”, arrivano due ballad, “Before It’s Time to Go” e “Right from Wrong”, da cui mi rendo conto, ancora di più, di quanto sia fastidiosa la voce di Pino Scotto, soprattutto se durante una ballad.

Come se non bastasse durante “Dust to Dust” mi accorgo di un “piccolo” plagio, o meglio, la ritmica della canzone, in alcune parti, mi ricorda un’altra canzone di un grande gruppo italiano, ovvero la PFM. E guarda caso “Dust to Dust” risulta essere la prima delle due canzoni ascoltabili dell’album, riuscendo a far risultare ascoltabile anche la voce del nostro Pino.

L’album finisce, anzi forse non è mai iniziato, ma se proprio vogliamo dare una fine all’album possiamo dire che finisca alla sesta traccia su dodici.

La sesta traccia corrisponde alla title track “Dog Eat Dog” che come previsto fin dall’inizio corrisponde perfettamente alla linea ritmica seguita in altre canzoni, in questo caso la similitudine è tra appunto “Dog Eat Dog” e “Rock This Town”. Dopo queste due tracce c’è un colpo di scena, ovvero la seconda, ed ultima, canzone ascoltabile dell’album senza che perda attenzione dopo un secondo, la canzone in questione è “One World One Life”, di cui ho molto apprezzato l’inserimento del sassofono.

Pino Scotto

Si arriva così alle ultime quattro canzoni prima della vera fine dell’album, per fortuna. La prima delle quattro è “Talking Trash”, la canzone che serve a Pino Scotto per dire il solito “fuck you” giusto per sembrare dei veri duri. Dopo “Same Old Story” arriva il turno di “Don’t be Lookin’ Back”, una power ballad quindi vale il discorso fatto per le due ballad precedenti, ovvero, non si sopporta la voce del nostro Pino. L’album termina con “Ghost of Death”.

Probabilmente è inutile dire che l’album non sia sufficiente, tanto sicuramente la vostra devozione verso Pino Scotto vi farà urlare al capolavoro, permettendogli ancora di andare avanti, permettendogli di togliere spazio a band più giovani. Perchè non serve fare delle canzoni con CaparezzaClub Dogo e J-Ax per avvicinarsi ai giovani. Serve spazio, tanto spazio. E di certo Pino Scotto non lascia nessuno spazio, sfruttando la nostalgia di tanta gente, purtroppo.

Pino Scotto
Marco Mancinelli
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