Caliban: Dystopia [Recensione]

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Dystopia è il tredicesimo album in studio dei Caliban, band metalcore tedesca “fondatrice” del genere in Europa. Un lavoro di qualità ma che a causa di alcuni difetti risulta essere un’occasione sprecata.

Possiamo considerare i Caliban come una delle band “fondatrici” del metalcore, almeno in Europa. Un genere che negli anni si è sempre evoluto, arrivando anche ad essere più vicino alle sonorità pop invece che quelle metal, mettendo in difficoltà quelle band che invece sono sempre rimaste fortemente attaccate alla parte più pesante del genere, proprio come nel caso dei protagonisti di questa recensione.

Il sound dei Caliban unisce il metalcore europeo a quello americano della scuola dei Killswitch Engage ma negli anni, cercando di adattarsi all’evoluzione del genere, si sono allontanati facendosi influenzare da sound più moderni. Con Dystopia però la band ha deciso di fare qualche passo indietro mantenendo comunque quel pizzico di sonorità moderne che ormai fanno parte del loro DNA. Un lavoro che potrebbe far gola ai fan che apprezzano di più la vecchia scuola.

I Caliban sembrano essersi ormai adeguati alle sonorità più moderne del metalcore, ma in Dystopia decidono comunque di non mollare il sound più old school di cui sono “fondatori”

In Dystopia i Caliban, oltre a mantenersi “buoni” i fans di sempre, vogliono cercare di attirare a loro anche quelli più occasionali, ascoltatori per cui basta una canzone dal sound old school ed ecco che riesci a tenerli “incollati alle cuffie”. In questo caso parliamo di tracce come “Darkness I Became” e “Hibernate”, due singoli molto vecchia scuola metalcore, tanto che la prima trasmette molte vibes sullo stile di Sempiternal dei BMTH.

Dystopia

Ma oltre ai sound più old school, in Dystopia c’è spazio per tracce come “The World Breaks Ebryone”, in cui a farlo da padrone è più il groove ed il sound “divertente” rispetto ad altro. Altro punto saliente dell’album dei Caliban è la traccia “Phantom Pain”, in cui troviamo un riff di chitarra potente che riesce a risultare tale anche nel ritornello che porta un po’ di melodia all’interno della canzone. Se proprio vogliamo trovare qualcosa di veramente completo nell’album, in cui trovare sound old school, parti melodiche e parti più moderne abbiamo la title-track “VirUs”.

I Caliban cercano di raggiungere il loro obiettivo seguendo la logica del “minimo sforzo, massimo risultato”, quasi ci riescono con Dystopia, ma forse ci soo troppi difetti per far sì che venga raggiunto il risultato

In Dystopia troviamo vari punti salienti, come, per esempio, il fatto che nelle varie tracce ogni strumento ha il suo spazio lasciando respirare tutti gli altri, permettendo così all’ascoltatore di concentrarsi per bene su ogni singolo brano. Ma i pregi sono troppo poco rumorosi rispetto, purtroppo, ai vari difetti dell’album. Un peccato per questo lavoro dei Caliban che poteva avere del potenziale pur non essendo chissà quale capolavoro.

Principalmente abbiamo due, grossi, difetti in Dystopia: il primo è ripetitività delle varie strutture delle tracce, insomma, anche se di grande potenziale se potrebbe fare a meno dei continui ritornelli melodici seguiti dal classico riff potente seguito dal breakdown. Certo ci sono delle eccezioni, ma sono troppo poche e non riescono a salvare i Caliban dalle critiche.

L’altro difetto, forse il più “pesante”, riguarda l’impressione che Dystopia da di se nei confronti degli ascoltatori. Infatti manca quel pizzico di qualità in più per far sì che chi ascolta possa rimanere impressionato, una mancanza che fa sì che le tracce che vengono ascoltate non rimangano nella memoria dell’ascoltare, andando praticamente sprecate. La strategia dei Caliban di sforzarsi poco cercando di ottenere il massimo risultato funziona a metà, con brani che sì funzionano ma solo per un breve periodo e non riescono ad essere totalmente apprezzati.

Dystopia
Marco Mancinelli
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