Sky Void of Stars, Katatonia: recensione

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Sky Void of Stars è il dodicesimo album in studio dei Katatonia, uscito il 20 gennaio per Napalm Records, anticipato dal singolo Atrium.

Dell’emozione i Katatonia hanno fatto il proprio vessillo: oscurità di città abbandonate, di tazze di thè ormai fredde, malinconia di fiori appassiti e, infine, cieli senza stelle. Dopo City Burials, i Katatonia hanno trovato tempo ed energie per scrivere un nuovo, ottimo album: forse il migliore della loro ultima parte carriera. Il cielo di Katatonia non è privo di stelle, bensì ne è stato privato: una belva feroce ha spento tutte le luci in cielo con un soffio gelido.

Sky Void of Stars è uscito in gennaio 2023, ed è un album gaslamp fantasy – forse involontariamente. Si definisce gaslamp fantasy un mix fra steampunk e fantasy puro ma dai toni più oscuri, mescolati all’estetica del romanzo gotico vittoriano. Sky Void of Stars è un album, in effetti, dai toni narrativi, da cantastorie, mentre corvi pascolano felici sul cornicione di una città ottocentesca, al riparo dalla pioggia.  Siamo in un album torbido, come già espresso dall’introduttiva Austerity, che vede una voce di Jonas Renkse particolarmente in forma, vibrante ma romantica e gelida allo stesso tempo: efficacissimi cambi di accordo forniscono dinamismo, cosa che – forse – mancava in City Burials, che appare quasi piatto e monotono in confronto. Per tutto l’album, la batteria di Daniel Moilanen compirà un estremo ma efficace sforzo di movimentazione: Sky Void of Stars, infatti, come gli altri album dei Katatonia, si gioca su pochi accordi, poche combinazioni musicali, al fine di mantenere il proprio stile oscuro e malinconico; stavolta, però, la malinconia è energizzata, galvanizzata, come nell’esperimento tempestoso di un certo famoso racconto di Mary Shelley. Laddove City Burials era la sezione finale di The Last Man, Sky Void of Stars è Il Moderno Prometeo.

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Ecco, dinamicità narrativa: Sky Void of Stars è un romanzo gotico dai mille colpi di scena, ma anche composto di momenti di necessaria introduzione e riflessione – come in Colossal Shade.  Non mancano influenze nu metal in Opaline, che riporta alta l’adrenalina dell’ascoltatore con un’iniezione di pop metal ricercatissimo ed un refrain memorabile. Birds, terzo singolo, come gli uccelli in copertina, si avvale di un energico wall of sound nell’intro, che va poi a sfumare delicatamente all’ingresso della voce di Renkse, finora vero e proprio trait d’union fra gli episodi musicali di Sky Void of Stars – che torna, però, all’atmosfera iniziale con Drab Moon, alla quale, l’aggiunta di alcuni effetti elettronici conferisce rotondità e complessità.  Va però ricordato che la chitarra è elemento centrale della composizione dei Katatonia, come in  Impermanence, lugubre e disperato duetto con Joel Ekelof dei Soen: la ballad dell’album, che forse, tocca il punto più alto dell’intero platter – seppur non manchino le influenze non tanto dei Tool, quanto di Maynard Keenan in persona, coi suoi Puscifer, nei giri più gloomy e torbidi.

Sclera ed Atrium, al contrario della diversità espressa nel resto dell’album, suonano come un unico brano e, forse, potevano essere fuse in un’unica suite, mentre No Beacon to Illuminate our Fall risulta essere di una bellezza quasi disarmante: complessa articolazione delle strofe ed eccellente scrittura delle sezioni ritmiche, dinamica e sfuggente in improvvise pause post accelerazioni. La finale Absconder, infine, tiene il proprio meglio proprio per i minuti conclusivi dell’album: la soave voce di Renkse in un tappeto sonoro di chitarra ritmica, effetti elettrici, dubbing, ed un inaspettato climax conclusivo – All I ever wanted was to make you smile again.

Sky Void of Stars non è ruvido o squadrato, anche se tale potrebbe apparire: dopo numerosi ascolti, ne noterete la malinconica e quasi tenera espressività, che va ad inserirsi, poeticamente, nella discografia dei Katatonia, in perfetta continuità. È però anche un album che possiede un sentore di epico che mancava in City Burials: i Katatonia hanno sviluppato un sound etereo e accessibile, che farà storcere il naso ai fan più accaniti e cattivi dell’extreme metal nordico. Cosa c’è di sbagliato nel voler comporre musica elegante ma stilisticamente propria e riconoscibile? Semmai, ai Katatonia sarebbe più da imputare una certa ripetitività lirica: unico, grande, argomento di discussione, nelle loro produzioni, è, infatti, la miseria intrinseca del vivere. Declinata in migliaia di modi e con migliaia di leggerissime differenze.

Ad ogni modo, Sky Void of Stars è un album che farà conoscere i Katatonia anche all’ascoltatore casuale di playlist di Spotify, e che renderà magica l’estate dei festival 2023 europea.

Giulia Della Pelle
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