Zeit è il primo singolo dell’omonimo album dei Rammstein, in uscita il 29 aprile.
Qui la recensione dell’album Zeit.
Cos’è il tempo?
Una concatenazione di eventi; eppure, in assenza di eventi, esso continua ad esistere. La vita sulla Terra ha tre miliardi di anni; tre miliardi di rotazioni attorno al Sole, tre per dieci alla nona successioni di afelio e perielio. Questo è un tempo ristretto. Trasformabile in matematica, comprensibile su carta, sebbene su scale inimmaginabili per noi, scimmie nude.
La cattura di un fotone da parte di un fotocentro di un qualsiasi batterio schiavo di una pianta, un cloroplasto, avviene in pochi femtosecondi. Dieci alla meno quindici secondi. Anche questo è un evento.
Il secondo, di per sè, è definito è “l’intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133”. L’oscillazione del Cesio, un solitario elemento disperso ai confini della tavola periodica, è un evento.
Ma nella vita umana, l’unico, reale, insieme di descrittori e parametri che possediamo, ab initio, cos’è che definisce il tempo? Dov’è che la storia diviene un lago, e quand’è che essa è un nastro che si snoda, ed è ripercorribile come una pellicola di nitrocellulosa – esplosiva, pericolosa?
I granelli di polvere della clessidra cadono e salgono, nell’eternità; bambini nascono e muoiono; la vita reinventa se stessa e si muove contro la termodinamica, nel videoclip di Zeit, nuovissimo singolo dei Rammstein. Seguendo la felicissima tradizione iniziata da Ohne Dich, la band berlinese ha continuato nel solco di videoclip di altissima qualità già tracciato dallo splendido Deutschland del 2019, in cui la Germania – o meglio, il suo spirito – era interpretato da una donna di colore.
Il protagonista di Zeit, invece, del lavoro di Robert Gwisdek, è il tempo stesso. È una creatura incappucciata, è un fantasma senza volto; è l’ombra di eventi che furono e saranno, eterno testimone. È mai stato vivo? È mai nato da donna? E se esso è, quand’è iniziato?
Il lavoro, in sé , deve in realtà moltissimo ad A Ghost Story, geniale pellicola di Robert Lowry, e deve moltissimo al suo, finora anonimo, montatore. Cos’è, il montaggio, il taglia e cuci cinematografico, se non un imbrigliamento, una dominazione del tempo stesso?
Così, vediamo dei moderin apostoli nel mar di Galilea galleggiare fra i flutti tempestosi attoniti; e solo dopo capiamo che l’orrore che li ha spinti all’estremo gesto è stata la visione abominevole del Tempo stesso, il suo infinito maelstrom di particelle quantiche, in grado di camminare sulle onde come Gesù Cristo. Un monolite di fronte alle scimmie.
Ominidi che erano soldati durante la Prima guerra mondiale, nei boschi; e che, prima, erano solo bambini. Il tempo era lì, a vegliarli in silenzio. Testimone, e indispensabile attore, del delicato corso degli eventi.
Ma torniamo alla domanda iniziale. Quand’è che il tempo ha un inizio?
L’unico parametro affidabile che un Homo sapiens ha, per misurare il tempo, è quello presente nel suo orologio interiore, nel suo cervello; ciò che si attiva al momento che la luce della coscienza si accende, illuminando pian piano gli abissi ancora bui dei neuroni, che guizzano sempre più veloce. Nel profondo di quelle sinapsi, è nell’energia che c’è in ogni minuscolo sparo, che c’è Dio. L’unica divinità accettata, accettabile, concepibile, realisticamente possibile è una, dunque: il tempo. Ed è esso che porta alla luce i neonati, nei quali, poi, dopo un certo tempo, i neuroni inizieranno a sparare. Ma esso, il momento della nascita, è un luogo al di fuori del tempo stesso: i granelli di polvere salgono e cadono, in un equilibrio termodinamico e cinetico che, in un mondo nel quale gli eventi accadono, è inconcepibile ed impossibile. È la radice quadrata di un numero negativo. Eppure esiste, deve esistere. Il momento prima del tempo: per tutti noi, esso, è esistito. La band assume il ruolo di levatrici di quei bambini atemporali, di semidei collaboratori del tempo stesso.
Sono poi molti i riferimenti pittorici presenti nel videoclip di Zeit. Uno fra tutti, i poverissimi contadini di Jean Francois Millet. Il tempo è là, effettore ed attore degli eventi, reale attuatore della vita umana: che procede a salti, come una pulce, come una lepre, come la tropomiosina sull’actina. E così nascita e morta si uniscono in un luogo al di fuori del tempo: così come nelle cellule morenti vengono trascritti, forse per errore, o forse perché il Tempo ha un crudele sarcasmo, gli stessi geni che regolano la divisione di uno zigote. Inizio e fine si toccano, ed in essi il tempo non esiste.
La fotografia ambrata di Fabian Gamper trasporta il tutto in un’atmosfera mistica, da Olimpi: divina.
I Rammstein si riconfermano come la rock band metal di riferimento mondiale: capaci, prima di tutto, di donare dignità al tedesco, alla propria lingua madre, sfoggiata con orgoglio e impreziosita delle splendide liriche composte da Lindemann; in secondo luogo, di comprendere la necessità di stupire un pubblico picky, quello dei millennials, che ha bisogno di molteplici stimoli, di giocare a caccia al tesoro quando fruisce l’arte; in terzo luogo, la capacità di creare una performance artistica completa, quali sono i concerti dei Rammstein stessi.
Zeit è la bellissima promessa di un nuovo, eccellente album.
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1 commento su “Zeit, singolo dei Rammstein: è il tempo l’unico Dio necessario”
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