The Outland, Gleb Kolyadin: recensione

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L’espressività pianistica in tutte le sue possibili sfumature trova spazio in The Outland, nuovo lavoro del pianista e arrangiatore russo Gleb Kolyadin. Meglio conosciuto per le raffinatezze proposte con gli Iamthemorning in un duo che, completato dalla talentuosa voce di Marjana Semkina, ha incantato la scena musicale più ricercata degli ultimi anni, Kolyadin giunge così al suo terzo lavoro solista.

Pubblicato sotto l’egida della Kscope lo scorso 21 Luglio, The Outland si mostra come un catalizzatore di esperienze, un tentativo di creazione e strutturazione di nuovi mondi che, nati dalla mente e dalle mani dell’arrangiatore di San Pietroburgo, esprimono la necessità di scoperta e separazione, esplorazioni e nuove vedute. Elementi necessari in particolar modo, come affermato dall’artista stesso, dopo il lungo periodo di “blocco” dovuto all’appena trascorsa pandemia.

In un lavoro che vede proprio nell’avorio il protagonista fondamentale (ma non il solo attore in scena), Gleb Kolyadin da sfogo al suo istinto creativo mettendo su spartito colori e sensazioni differenti, rimescolando influenze e creando suggestioni, rivedendo commistioni e dando vita a tele variopinte impreziosite da pennellate variegate ma eleganti.

La mano pianistica di Gleb Kolyadin, duttile e dinamica, incisiva quanto delicata a seconda delle necessità, viene valorizzata da arrangiamenti di tutto rispetto che donano ai pezzi quei colori differenti e necessari in grado di far loro toccare dalla classica al prog, dalla fusion al folk in un asse temporale che taglia l’album in modo trasversale unendo dagli anni ’70 alla contemporaneità in maniera spontanea, naturale e omogenea.

Durante i sei pezzi che animano la riproduzione di The Outland, Gleb Kolyadin centellina barocchismi e classicismi in una fusione che, spesso, richiama alla cultura progressive rock di complessi come Genesis e Gong. L’animo più fusion, alternato tra il pathos classico e la stravaganza progressive, aiuta a mantenere freschezza e colore aggiungendo imprevedibilità e dinamismo.

Delicati tocchi e melodie si alternano a ben più gravi e possenti esecuzioni su un pianoforte che va ad intrecciarsi tra archi e fiati, colori aggiuntivi che creano differenti scenari e disegnano differenti sensazioni. Il tutto viene supportato, immancabilmente, da una sezione ritmica solida e che in maniera tutt’altro che banale riesce a seguire le complessità proposte dalle componenti tastieristico/orchestrali senza risultare fuori luogo ma, anzi, valorizzandone le intenzioni.

Gleb Kolyadin

Un eclettismo, quello di The Outland, che stupendo durante i quarantuno minuti di riproduzione non disturba o distoglie l’attenzione, non si perde in orpelli eccessivi garantendo comunque un’omogeneità ed ascoltabilità. Sintomo, questo, della raffinatezza, complessità e maturità di un lavoro che non ha bisogno di rinunciare ad una relativa orecchiabilità per stupire e attestare la propria forza. 

Condito dalle partecipazioni di artisti d’eccezione come Tony Levin (basso) e Gavin Harrison (batteria), The Outland si impone come dimostrazione del talento musicale di un Gleb Kolyadin che, come già mostrato con gli Iamthemorning, va ad inserirsi nell’eccezionalità dei pianisti del panorama musicale contemporaneo senza nulla da invidiare a nomi più blasonati come Tigran Hamasyan, eccellendo per competenza, duttilità e, soprattutto, freschezza di idee. Elemento, quest’ultimo, non esattamente tra i capisaldi di quanto proposto dalle recenti discografie in questi primi tre anni di nuova decade.

Lorenzo Natali
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