The Pineapple Thief – It Leads to This [RECENSIONE]

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La mano trascina il puntatore del mouse, un singolo click sulla pagina web garantitami dall’ufficio stampa della band per il pre-ascolto dell’album. Ad introdurre l’esperienza, un pianoforte delicato, quasi accennato, ed una voce sommessa, quasi rassegnata. È questo l’incipit del quattordicesimo lavoro in studio dei The Pineapple Thief, It Leads to This (Kscope).

It Leads to This – Venticinque anni di The Pineapple Thief

È stato spontaneo chiedersi cosa potesse celarsi tra le otto tracce proposte dalla band anglosassone in un album che si porta sulle spalle ben venticinque anni di carriera. Di fatto, erano quattro gli inverni trascorsi sulla mia testa quando Bruce Soord e soci decisero, nel 1999, di lanciarsi nel rarefatto mondo di un rock senza una vera e propria etichetta con Abducting The Unicorn.

The Pineapple Thief It leads to this recensione

Schizzi batteristici posti con sapienza (e forse troppa parsimonia) mi ricordano della presenza di un certo Gavin Harrison alle pelli. Proprio il Gavin Harrison storico batterista di quei Porcupine Tree che, tante volte, sono stati accostati ai ladri di ananas, quando con raziocinio e quando senza motivazioni. Vero è anche che gli episodi di maggior pregio dei The Pineapple Thief giungono proprio quando il paragone con la bestia di Steven Wilson si fa più giustificato arrivando, tra l’altro, a superare quest’ultima in cura, qualità, estetica ed efficacia.

Put It Right, la prima traccia dell’album, intanto prosegue placida, quasi ipnotica. Un episodio coerente con quanto la band aveva già fatto ascoltare con il precedente Version of the Truth. La batteria divide e separa spazi e tempi in maniera elegante. Il basso si gonfia e sgonfia mentre tastiere e chitarre creano intarsiature quasi psichedeliche.

Un incipit tormentato, rassegnato ma non angosciato. Si percepisce, di fatto, la preoccupazione di un Bruce Soord che ormai padre non può non chiedersi “che mondo stiamo lasciando ai nostri figli?”. Domanda più che giusta la cui risposta filtra nelle atmosfere di un lavoro che, apparendo timido nel complesso, si rivela invece compassato, dotato di una compostezza malinconica individuabile proprio nella title track It Leads to This, nonostante qualche breve fuga più dura in grado di trovare compimento unicamente in un crescendo finale comunque mai troppo esasperato.

Anche necessità più “rock” si fanno spazio in pezzi come Rubicon o The Frost, tracce dove sfoghi chitarristici mai portati all’eccesso si alternano a linee vocali dal tono accidioso e disteso, risultanti però in un’orecchiabilità in grado di renderle davvero difficili da schiodare dalla testa.

Con All That’s Left prende spazio la più classica delle ballate dei ladri di ananas. Delicata, orecchiabile, trascinante ma, questa volta, spezzata da brevi e improvvise eruzioni chitarristiche. Una durezza che viene poi del tutto abbracciata da una Now It’s Yours che strizza prepotentemente l’occhio, nel modo giusto, ai Porcupine Tree di The Incident.

Energica e allo stesso tempo orecchiabile, Every Trace of Us porta con sé le ultime energie e gli ultimi dinamismi di un album destinato a sciogliere la rabbia in disperazione, la frustrazione in malinconia, chiudendosi con una To Forget diluita e rarefatta, lenta ed inesorabile nel portare alla conclusione un ascolto tormentato, settato su decadenze e sfumature di grigio.

Mentre le dita obbedienti stendono pensieri e parole mi rendo conto di quanto, con It Leads to This, siano riusciti Soord e compagni nel loro intento. Qual è il suono dei 25 anni dei The Pineapple Thief? Il suono della frustrazione, del vorrei ma non posso. Il suono della malinconia di chi assiste al disfacimento, alla dissoluzione, con mani e piedi legati. Queste sono le sensazioni che emana dalla prima all’ultima nota il nuovo album della band anglosassone.

Un album che, in una raffinatezza e maestria compositiva innegabile, fatica però ad emergere risultando privo di veri e propri momenti di picco, esplosioni, attimi memorabili. Si fa ascoltare agevolmente faticando però a colpire a fondo. Pecca in incisività rimanendo comunque un prodotto dotato di una sua raffinatezza e, soprattutto, coerenza.

Un ascolto, quello di It leads to This, estremamente coerente con le sue narrazioni.

Sono proprio le sfumature di grigio ciò che resta di questo quattordicesimo album con un’esperienza che lascia in uno stato di accidiosa malinconia, che dilania ogni esaltazione, che trasmette un enorme senso di vuoto e rassegnazione dissuadendo da ogni reazione. Ed è così che si vuole ritornare ad ascoltarlo, una volta, due volte, un’altra e un’altra ancora, senza saperne il perché. Quel grigiore, così facilmente riconoscibile, diventa conforto in cui cullarsi. E allora ancora una volta, pianoforti accennati e voci sommesse tornano a sussurrare nelle orecchie, le serrande le apriamo più tardi (forse).

Lorenzo Natali
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