Cos’è quella tristezza che ti avvolge quando un artista scompare?
Sono i tuoi momenti felici legati alla sua musica che vedi scivolare via, come se insieme a quell’artista andassero via anche loro. Improvvisamente li senti tutti insieme, come un improvviso ritorno di fiamma che prelude al buio. È un lampo, un groppo alla gola, un morso allo stomaco.
Ora che i club sono chiusi da un anno, che le serate nei locali cominciano ad essere uno sbiadito ricordo, proprio adesso arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia della scomparsa di Claudio Coccoluto, che ha fatto del mestiere del DJ un’arte.
Si è spento troppo presto Claudio Coccoluto. Aveva 59 anni il famoso dj e produttore nato a Gaeta che da un anno combatteva silenziosamente contro una malattia che se l’è portato via. Negli anni Ottanta e Novanta era diventato uno dei dj di musica house ed elettronica più conosciuti in Europa. Con le sue serate su e giù per lo stivale e nei più importanti club europei ha tirato su intere generazioni di amanti della cultura del clubbing. Un dj senza compromessi capace di portare la vecchia scuola, sempre rigorosamente in vinile, in pista fondendola con le nuove sonorità provenienti da tutto il mondo. Nel 1997 aveva ottenuto un grande successo commerciale in tutto il mondo con il brano “Belo Horizonti”, ma le sue collaborazioni spaziavano anche in altri ambiti come nel famoso brano prodotto con i Subsonica “Il mio dj“.
Ma non era solo la pista da ballo il posto in cui Claudio Coccoluto si è sentito a suo agio, perché ha saputo essere persona lucida, commentatore e testimone del tempo che passava, candidato con la Rosa Nel Pugno, sempre impegnato nel sociale, presente spesso in televisione ha sempre avuto una voce netta e non scontata. Non a caso il coro unanime del mondo della società civile si unisce a quello della musica in modo assolutamente trasversale. Aveva condotto anche un programma su Radio Deejay, C.O.C.C.O, e nel 2007 aveva pubblicato un libro autobiografico, intitolato Io, DJ.
Prima della musica condivisa sui social, quando ancora circolavano le cassette delle serate nelle discoteche Claudio Coccoluto era la vera rockstar del dancefloor. Le nottate stipati in qualche macchina per andarlo a sentire nei locali come il GOA da lui stesso fondato, allo Zen o in qualsiasi altro posto dove campeggiava il suo nome sul manifesto. Le foto con gli amici che aspiravano a diventare come lui. Andarsi a comprare i piatti, il mixer, cercare di capire quale disco avesse passato senza l’aiuto di shazam. Imparare a mixare pezzi diversi come faceva lui, l’elettronica, l’hip hop vecchia scuola, l’afrobeat, il drum’n’ bass. È questa la nostalgia che sentiamo chiudersi dentro la sacca coi vinili, in cui ogni disco è una storia come la nostra. Come quando a fine serata ci accampavamo sotto la consolle gridando “se non metti l’ultimo noi non ce ne andiamo” e poi la musica è finita. Le luci si sono accese, le nottate sono finite e i locali hanno chiuso come le nostre adolescenze.
Quelle notti, quei locali, quelle consolle e quelle storie che non saranno più come prima.
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