“A Casa Tutto Bene”, vinile del cantautore calabrese Dario Brunori, è l’ascolto doveroso di questa settimana. Un vinile che racchiude in se molte, troppe “verità”, come l’omonima traccia di apertura, e che riflette in maniera autentica e spesso disincantata la società attuale.
Lo sguardo di un uomo ormai adulto che trasforma il suo punto forte – l’ironia – in schiettezza, mantenendo inalterato il piglio politicamente impegnato della sua arte, è l’alleato perfetto in questa quarantena che ci sta tenendo a casa, anche se #andràtuttobene
Siete pronti a ripetere il solito rito settimanale dell’alzata della testina? Allora fuori dall’involucro questo vinile, e via con l’ascolto. Lasciamo che l’unica voce a suonare questa sera, sia quella di Dario Brunori, e permettiamo alla sua visione della realtà di aiutarci a riflettere sulla nostra, che possa così dar voce ai nostri pensieri e alle nostre riflessioni in questi giorni così intensi.
Tiro dalla dispensa la mia bottiglia di Tanqueray gin e l’acqua tonica dal frigo, mentre affetto il lime pronta ad immergerlo nel mio gin tonic serale, che si accompagna con l’ultima metà della barretta di cioccolato fondente allo stesso gusto di Primark, nobile regalo anticipato di San Valentino della mia adorata Federica, che ormai voi tutti affezionati lettori conoscerete, parte così tranciante il primo brano di “A Casa Tutto Bene”,
La verità è il primo brano di A Casa Tutto Bene
Un brano che mette subito di fronte al problema di dover fare i conti con le nostre incertezze e la nostra pigrizia, la nostra paura del dolore e della sua elaborazione. La bellezza di questa canzone, che più che cantarla vorresti urlarla nella sua crudezza in faccia a chiunque provi ad essere un limite per la tua esistenza, che ti impone le regole del gioco e ti costringe ad adeguarti a precetti non decisi da te. Ma che succede quando questo limite sei tu stesso?
Accade quello che Brunori cerca di risolvere in un dialogo con un “tu” che ha come destinatario finale se stesso; come quando ti piazzi davanti allo specchio e provi a dialogare con l’altro te rendendoti conto che dalla tua proiezione ascolti le stesse domande che escono dalla tua bocca e non le risposte che invece ti aspetteresti di sentire.
“Te ne sei accorto, sì
Che tutto questo rischio calcolato
Toglie il sapore pure al cioccolato
E non ti basta più”
Un brano che è da subito un pugno nello stomaco, anche per me che di rischiare non ho avuto mai paura, anzi ne ho sempre trovato grandi stimoli. Musicalmente parlando invece, Dario rende chiaro sin da subito che no-questo-disco-non-è-un-volume-quattro; l’uso costante dei cori e l’impiantonazional-popolare si mescolano ad arrangiamenti a più strati, creando un equilibrio in cui la linea melodica è comunque la struttura fondante di ogni brano. Il brano ha vinto la Targa Tenco 2017 come miglior brano singolo, come sarebbe potuto non essere così?
Secondo brano di “A Casa Tutto Bene” è L’Uomo Nero
Su questo brano si potrebbero aprire mille parentesi, ma senza togliere molta attenzione al brano, ricorderei per un secondo tutto il calderone di polemiche dello scorso Sanremo per la vittoria di Mahmood. Si sono sprecati commenti e giudizi, sui social e nelle piazze dei paesi, e l’unica vera certezza che emerge da tutto questo è che, sì, l’Italia è un paese che sta facendo del razzismo la sua katana per combattere il vero male del momento, l’ignoranza dilagante. Un brano terribilmente concreto, vincitore del Premio Amnesty International Italia 2018, che traccia un profilo di questi anni con un dito nel futuro e il resto della gamba nel passato, quello triste e amaro degli anni trenta.
“E tu, tu che pensavi che fosse tutta acqua passata, che questa tragica misera storia non sarebbe più ripetuta, tu che credevi nel progresso e nei sorrisi di Mandela, tu che pensavi che dopo l’inverno sarebbe arrivata la primavera: e invece no”
Nella prima parte del brano Brunori traccia il giusto stigma sociale, del razzista medio attuale. Quello che dice che “noi siamo troppo buoni. E che a esser tolleranti poi si passa per coglioni“. Quello che sempre i medesimi argomenti: “rubano, sporcano, puzzano e allora olio di ricino e manganelli“. Quello che “a casa nostra, a casa loro“. Ma è lui il frutto di una società ormai marcia. Una società in cui su un bus si debba temere per la propria vita “solo perché un ragazzino arabo si è messo a pregare dicendo il corano“.
E di fronte alla forza di questo mostro incredibilmente forte anche il “potente” Brunori Sas si arrende. Una resa amara senza possibilità di rivincita che viene espressa tramite l’ultima strofa cruenta e realistica al contempo.
Durante un colloquio questa settimana mi è stata fatta la fatidica domanda: “perché hai iniziato a scrivere?“. Per incoscienza, perché non essendo fashion victim non mi bastava riempire il mio armadio di nuovi capi, avevo bisogno di esternare più che di accumulare. Pensieri, sensazioni e sentimenti. E anche di immagazzinare esperienze, che può risultare dicotomico.
Ogni pezzo nasce da tutto ciò che mi circonda, la telefonata di una amica, un trasloco, una canzone ascoltata mentre faccio jogging mattutino e a cui ho dato peso per la prima volta. Sono righe estratte da frammenti di vita vera, vissuta, condite da qualche lucina, e un briciolo di immaginazione. In psicologia questa è una patologia e la si definisce “sovrascrittura”, ma a me piace definirla soltanto come emotività creativa, o esternalizzazione di ciò che difficilmente sarei in grado di dire a voce, più per paura del mio stesso giudizio che di quello degli altri.
Ecco in Canzone Contro La Paura, terzo brano di “A Casa Tutto Bene”, Brunori sembra essere affetto dalla mia stessa patologia. È questo un brano in cui l’ironia e la ruvidità vocale fanno capolino per analizzare lo statuto delle canzoni. Avere un pubblico comporta delle responsabilità: sei promotore di un messaggio, di quello che Dario, ma anche io stessa in un messaggio qualche settimana fa, di rimando al destinatario di uno dei miei adorati flussi di coscienza, ha definito come “un pugno nello stomaco” o come “una sberla in faccia”:
“E invece no tu vuoi canzoni emozionanti
che t’acchiappano alla gola
senza tanti complimenti
canzoni come sberle in faccia
per costringerti a pensare
canzoni belle da restarci male”
Quarto brano di “A Casa Tutto Bene” è Lamezia – Milano, non Cosenza – Milano, che già poteva segnare l’annosa questione irrisolta tra nord e sud, bensì Lamezia, una provincia del sud, contrapposta a Milano, la capitale del nord. In questo brano viene fuori forte il provincialismo, non quello ottuso e spesso con i paraocchi verso la contemporaneità e il progresso, ma quello che vede nel suo paese, radici e ricchezza di valori. Ne aveva già parlato nel precedente vinile lo stesso artista, “Il Cammino di Santiago in Taxi, Vol. 3” dove in brani come Le Quattro Volte o Maddalena e Madonna questo senso di appartenenza anche alle tradizioni risuonava forte e limpido.
Insomma un argomento tanto caro al nostro Dario, che anche in questo brano è predominante. Protagonista del testo è la comunità di San Fili collocata tra l’Aspromonte e la Sila, in cui l’empatia si crea per solidarietà e l’egoismo si trasforma in altruismo, in cui si applaude al pilota perché si è attaccati alla vita. È una estensione della società attuale sommersa dalla modernità ma non immersa in essa. Brunori utilizza una voce privata, personale, quasi bucolica, come escamotage del dualismo tra le due questioni pubbliche, universali.
La lontananza temporale e ritmica tra la provincia e la metropoli, tra luoghi incontaminati che pagano lo scotto di uno sviluppo che non è progresso, e luoghi invece votati a un futuro cellulare, impiantato su uno schermo e non nelle facce di chi ci sta attorno. L’altro tema è la scoperta dell’altro, del diverso e del nuovo, che a volte terrorizza e allontana, ma che bisogna affrontare.
Fine del Lato A di “A Casa Tutto Bene”, mi alzo per cambiare il lato del vinile e per aggiungere altre due dita di gin al ghiaccio ormai diventato acqua, e quel che resta della tonica precedente, che fosse per me lo berrei assolutamente liscio. Prima di abbassare nuovamente la testina del grammofono ripenso alle ore appena trascorse, e d’un tratto immagino la mia vita attuale come un block notes bianco, dalle pagine candide e profumate di nuovo, come quell’odore così dannatamente invasivo e quasi assuefacente delle cartolerie, acquistato a fine luglio.
E giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza io stia provando a tracciare nuovi puntini da unire, disegnando profili di ciò che credo sia, o che forse in fondo vorrei fosse questa vita adesso, persone vicine incluse.
“Stai parlando dell’amore?”, vi sento che lo state esclamando fra voi e voi. Anche, ma non solo. In questi giorni ho riflettuto molto sul valore di San Valentino, l’apoteosi del consumismo, la festa di fiorai e cioccolaterie, mi ripetevo fino a qualche anno fa, forte del non avere impegni lavorativi e giornate assolutamente gestibili e non organizzate con giorni di anticipo. In giornate così incerte come queste sarebbe invece bello prendere un impegno, soprattutto infra settimanale, per ricordare ad una persona che donargli il tuo tempo è il regalo più grande che possa fargli, anche quando scendi da un treno dopo una giornata fuori città per riunioni di lavoro e stanchezza in valigia. O quando, come adesso, sei costretto in casa e l’unica cosa che vorresti è correre da lui, abbracciarlo e dirgli che lo ami, forse più della tua stessa vita.
Colpo di Pistola apre il Lato B di A Casa Tutto Bene
Sorso secco al gin tonic, e via con il primo brano di “A Casa Tutto Bene” Lato B, Colpo di Pistola, che sembra cavalcare perfettamente il mio mood attuale.
Un brano che io ho amato già prima di ascoltarlo, fosse per altro che per il fatto che porta il nome del mio brano del cuore dei Subsonica. Il tema che i due omonimi testi perseguono è lo stesso, la fine di un amore; mentre Samuel e band immaginano l’amore come un colpo di pistola inflitto al partner, un gesto estremo senza sesso, compiuto indifferente dall’uomo o dalla donna dopo mesi di vessazioni emotive, Brunori ci va giù più pesante riferendosi senza grandi giri di parole al problema del femminicidio.
“E poi perché è fuggita chi lo sa
Forse perché cercava un po’ di liberta
Ma io non la tenevo prigioniera
La incatenavo solo verso sera
Per stare un po’ con lei
Per stare stretto a lei”
Questa frase apre in me un varco temporale che mi vede affondare un piede nel passato, non tanto remoto in verità. No, non sono mai stata vittima di violenze, nemmeno quando l’alcol e la droga di chi mi stava accanto gli stava consumando cervello e razionalità. Non ho mai subito limitazioni alla mia libertà personale, né di scelta né di azione. Ma è un tema che continua a lasciarmi interdetta perché non riesco mai a giudicare le donne che le prigioni di cui narra Darione se le creano da sole.
Per il troppo amore (che poi chi lo definisce l’amore nelle quantità?), per il troppo bisogno di attenzioni (sane o malate chi ne definisce il limite?), per le eccessive insicurezze umane, per l’effetto di sudditanza emotiva che tutti questi fattori riescono a creare in un mixturing più dannoso di gin e psicofarmaci.
Per non parlare poi della sindrome che ogni donna vede annidarsi dentro di se ma di cui dovrà aver cura di non alimentarla sin dall’adolescenza, la sindrome della crocerossina. Quella del “forse sono io a istigare la sua gelosia per la gonna troppo corta”, “non è lui ma sono i fantasmi del suo passato, se gli sto accanto forse lo aiuto e guarisce”.
Può accadere, a me è successo, e questo – nonostante fra noi sia finita e non nel migliore dei modi – resta sempre una delle cose di cui io più vado fiera nella vita. Ma no, non è una regola universale e non vale nemmeno sul soggettivo. Non è detto che mi riaccada, non è detto che un’altra persona sia disposta a farsi aiutare da me, né che io col passare degli anni e le esperienze accumulate sia più in grado di farlo. O che voglia farlo. Nessuno si salva da solo, sostenevano Margaret Mazzantini nel libro dapprima e Sergio Castellitto, suo marito, nell’omonimo film poi, ma neppure noi siamo salvatori dell’umanità.
La formula sta nel giusto equilibrio tra diritti naturali, quelli che annidano nei geni, quindi egoisti e atti alla sussistenza (mors tua vita mea per capirci) e occasioni sociali.
Gin, dopo tutto questo dispendio di pensieri da psicologa amatoriale certificata c’è bisogno di alcol, così da dare un nuovo respiro al successivo brano di “A Casa Tutto Bene”, La Vita Liquida. Il brano è un richiamo al romanzo del sociologo Zygmunt Bauman recentemente scomparso, in cui cercava di spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. Lo smantellamento delle sicurezze attuali conduce l’uomo ad una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi escluso.
Brunori rimarca questo pensiero postmoderno nel brano descrivendo la condizione di un uomo diviso fra mondi diversi, “figlio di un mondo di pietra, padre di un mondo d’aria, che si trova costretto a diventare liquido per adattarsi a contesti in continua mutazione”.
Ultimo ascolto della serata in vinile, da “A Casa Tutto Bene” è Diego e Io, un brano scritto a quattro mani con Antonio Di Martino, altro cavallo di razza della scuderia Picicca, che prende spunto dalla storia d’amore tra Frida Kahlo e il pittore Diego Rivera, suo compagno di vita e personaggio di spicco dell’intellighenzia di sinistra messicana, con l’escamotage della missiva.
“Due incidenti ho avuto nella vita, uno sei tu!” – scrive Frida.
Quale sia il peggiore ancora non l’ho deciso, risponde Fabiana. Ma entrambi hanno un fil rouge che ormai diventa chiaro e che sto imparando ad accettare giorno dopo giorno: la mia fragilità di fronte ai sentimenti totalizzanti, che danno filo da torcere al mio senso innato di concretezza e praticità, rendendomi vulnerabile ai sogni ed alle aspettative. Questa fragilità è all’origine della comprensione dei bisogni e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati. Perché in entrambi i casi è un limite congiunto di entrambi.
“Nonostante questo io ti amo
Io ti amo più di ogni altra cosa, anche di me!” – ammette Frida.
“Una civiltà dove la tua fragilità dà forza a quella di un altro e ricade su di te promuovendo salute sociale che vuol dire serenità. Serenità, non la felicità effimera di un attimo, ma la condizione continua su cui si possono inserire momenti persino di ebbrezza” mi ricordava spesso la mia analista ai tempi del “primo incidente” (scusa signor R1. spero tu non mi stia leggendo, mi rendo conto che essere paragonato ad un inciampo mentre sei in corsa con annessa rottura del bacino, non sia una grande cosa, ma la metafora è di Frida).
Intanto ripenso a signor R2 (sigle di rimando ad Andrea Pinna e al suo blog che cataloga gli ex con l’iniziale del nome e un numero che ne ricorda la cronologia), a quel nostro primo incontro e al warmhole che è riuscito a creare con il blu dei suoi occhi capaci di generare una distorsione spazio temporale quasi adolescenziale in me. Ma di cui ancora non riesco a unire i puntini sulla pagina bianca ad egli dedicata, e il cui profilo continua a sfuggirmi, sia dal suo reale essere che dalla mia volontà. E la sua nuova veste nella mia esistenza.
“Brucia la mia carne senza te
La mia saliva, il mio sudore
Brucia questa nostra casa azzurra
Brucia il mio corpo per amore, uuh”
Stasera è uno di quei giorni in cui, avrei voluto aver bevuto dopo aver fatto l’amore; vorrei poter ringraziare la mia buona stella più che per come è la mia vita adesso, piena, incasinata, con pochi punti fissi, per come sono io, per la mia capacità di adattamento alle situazioni e per il riuscire a goderne sempre. Anche nella pandemia, fuori e dentro di me. Quando ho imposto a me stessa di utilizzare questi giorni per imparare ogni giorno una cosa nuova, per aver portato a termine questa missione. Per sopportarmi e supportarmi. Per essere la mia peggior nemica e la mia migliore amica. Per sapere sempre in che direzione dirottare il peso della mia ingombrante esistenza, senza pretendere che siano gli altri ad addossarsela.
Mentre anche l’ultimo brano di “A Casa Tutto Bene” è terminato, resto esattamente nella stessa posizione, rimetto a tutto volume “Per Due Che Come Noi” e lascio che le lacrime bagnino il mio viso, lo stesso che meriterebbe essere preda di baci e passione umana, a testimoniare che la fragilità è la mia forza, e l’emotività è la mia marcia in più.
Leggi anche
- Meeting del Mare 2022: un’edizione all’insegna della pace - Agosto 2, 2022
- Una semplice domanda, Alessandro Cattelan [Recensione in anteprima] - Marzo 14, 2022
- La brutalità della polizia italiana e i problemi irrisolti delle politiche aziendali: Genova, esattamente come vent’anni fa - Luglio 20, 2021
1 commento su “A Casa Tutto Bene, è il vinile necessario in questi giorni”
I commenti sono chiusi.